venerdì 22 agosto 2008

RICHARD K. MORGAN PARLA AI SUOI FAN ITALIANI


RICHARD K. MORGAN

Ha appena completato il suo primo romanzo Fantasy, mentre il terzo capitolo della saga di Takeshi Kovacs è prossimo alla pubblicazione in lingua italiana. Richard Morgan, uno dei più interessanti autori contemporanei di sf, ci svela alcuni retroscena delle sue storie e aspetti inediti del suo pensiero…

Intervista di Francesco Troccoli, diritti riservati.

Ciao Richard, iniziamo con una domanda facile: puoi dirci quanto dovremo aspettare in Italia per la traduzione di ‘Woken Furies’? Sarà davvero l’ultimo capitolo della serie di Takeshi Kovacs?

Be’ posso dire che si tratta di certo dell’ultimo capitolo della serie per il momento. Penso proprio di aver espresso la gran parte del potenziale del protagonista e del suo ambiente, e dal momento che questi romanzi sono incentrati essenzialmente sul protagonista, temo che scavare ulteriormente nel suo potenziale possa avere un effetto di indebolimento. Qualunque personaggio di una serie che io abbia incontrato e amato ha avuto il destino di entrare in una spirale di progressiva riduzione della sua resa, usurata da una ripetizione di romanzi senza fine, e non vorrei mai che questo accadesse a Kovacs. Detto questo, se dovesse venirmi un’idea per un romanzo davvero efficace e nuova, sicuramente inizierei a scriverla. Quel vecchio bastardo mi manca, almeno quanto manca a voi.
In merito alla traduzione italiana di Woken Furies, se non sarà già in commercio al momento in cui questa intervista sarà pubblicata, non ci vorrà ancora molto. Mi tengo in contatto piuttosto regolarmente con il mio traduttore italiano, Vittorio Curtoni, che tutti gli appassionati del genere conoscono, e con gli altri coinvolti nella produzione del libro, e a quanto ho potuto intendere la traduzione è stata terminata e rivista, quindi, ancora un pochino di pazienza e ci siamo!


Puoi darci qualche novità sulla produzione cinematografica basata sul romanzo ‘Bay City’?

No, al momento non c’è nessuna novità. L’opzione è stata prolungata e il film è ancora in preparazione, ma ovviamente questo significa tutto e niente. Tenete le dita incrociate!


In una intervista rilasciata lo scorso anno hai detto che dovresti odiare P. K. Dick perché ogni volta che hai avuto una buona idea, hai poi scoperto che lui l’aveva avuta prima di te. Inoltre c’è chi sostiene che le atmosfere che tu crei possano ricordare le sue; francamente Kovacs sembra un essere umano degno di questo nome, nonostante i suoi “super-poteri” e il suo cronico cinismo. Hai fiducia nell’essere umano?


Se ho fiducia negli esseri umani? Be’, ad esser sinceri non c’è molta scelta, è tutto quel che abbiamo. Per me, l’aspetto più frustrante dell’umanità (ed è questo che emerge dal cinismo di Kovacs) è il terrificante senso dello spreco, ossia del potenziale che abbiamo e che sprechiamo con il nostro comportamento. Naturalmente questo senso dello spreco è un’illusione; siamo ciò che siamo in quanto umani, e una parte di quel che siamo è la nostra aspirazione ad andare ben oltre ciò che è nelle nostre (immediate) capacità. Sogniamo cose come la giustizia, l’uguaglianza, e poi ci disilludiamo quando non ci riesce di tirarle fuori dal cilindro in un istante. Ma è come se io aspirassi a correre una maratona e mi arrabbiassi perché ho collassato ai primi chilometri. Vuoi correre la maratona? Devi allenarti. Vuoi una società giusta ed egualitaria? Devi ragionare a lungo termine. Ci vuole molto tempo per ottenere obiettivi di elevato valore, e per farlo bisogna essere consapevoli dei propri limiti. Ovviamente il problema è che l’unico prezzo da pagare per un lento e costante allenamento alla maratona è il tempo, magari un po’ di fatica e di dolore (oltre forse a un leggero calo di auto-stima!), mentre il prezzo da pagare per la lentezza del progresso sociale si esprime in termini di miseria umana drammaticamente tangibile, e la miseria umana è dura da sopportare. L’impulso a far qualcosa in fretta, con la violenza, pur di contrastarla, è ineludibile, ma come la storia dimostra, quel tipo di impulso è ostinatamente errato e del tutto controproducente nella maggior parte dei casi. Dovremo capire bene tutto questo, prima di poterci arrivare. Per rispondere alla domanda quindi, sì, sono fiducioso che l’uomo abbia la capacità di realizzare un mondo migliore, ma penso che ci vorrà un po’ per riuscirci, e che sarà possibile solo prendendo coscienza dei nostri difetti, e questo riguarda tutti noi. Questo genere di realismo dovrebbe appartenere ad ogni singolo individuo.


Nel futuro distopico che hai creato, la mente umana può essere trasferita per via digitale da e nei corpi. La scissione fra corpo e mente è parte integrante della filosofia del cosiddetto mondo occidentale, a partire da Platone (con il concetto delle “idee innate” nell’uomo) ed altri pensatori della Grecia antica, fino alla filosofia cartesiana del XVI secolo, ovvero la teoria della divisione fra la RES COGITANS (la mente) e la RES EXTENSA (il corpo fisico). Per contro, nella cultura orientale, corpo e mente sono più compenetrati fra loro, fino quasi a costituire un tutt’uno; sulla base di questa visione, si potrebbe ipotizzare che la separazione corpo/mente alla maniera occidentale possa essere causa di malattia mentale. Qual è il tuo punto di vista?

In sostanza, Bay City e i suoi due sequel rappresentano una variante della letteratura noir, ed il noir tende ad aggirare i grandi quesiti filosofici (quelli posti nelle loro forme più esplicite) e a focalizzarsi su aspetti molto più pratici. Quindi, non la grande ingiustizia sociale dello sfruttamento sessuale, ma lo squallore soffocante e sordido della stanza di una prostituta qualunque. Non l’ingiustizia della guerra come concetto esistenziale, ma la brutale esperienza personale di un singolo soldato sul campo. E così via…. I personaggi dei romanzi della serie di Kovacs raramente si soffermano a ponderare, a meditare sui massimi sistemi (Kovacs stesso, dopotutto, è un individuo molto intelligente e sofisticato) ma si concentrano su aspetti più specifici, che rientrano in una scala minore. Mi auguro quindi che la narrazione lasci emergere l’effetto concreto prodotto da questa scissione fra mente e corpo, ovvero cosa ci si guadagna, cosa ci si perde, qual è il costo sociale di questa tecnologia. E certamente la storia contiene l’idea di un danno che si produce nel processo di scissione, sia a livello emozionale che sociale; insomma, stiamo parlando di una tecnologia che è tutt’altro che “pulita”.


Ritieni che la mente abbia una natura divina? Che sia “superiore” al corpo? Credi in Dio?

No, sono un ateo materialista. La mente non è affatto superiore al corpo, come il tessuto muscolare non è superiore al tessuto grasso, come i cani non sono superiori ai gatti. Ogni componente ha la sua funzione, la sua validità intrinseca, e c’è un’interrelazione costante d’influenza reciproca. La mente è formata dal corpo in cui essa si ritrova, e questo è fin troppo ovvio. Nascere in un corpo più forte significa una maggior probabilità di sviluppare una predisposizione all’attività fisica; nascere in un corpo maschile significa una maggior probabilità di sviluppare una forte tendenza al confronto e a modalità di interazione più violente, e così via. Ma c’è anche un vantaggio in tutto ciò: via via che invecchiamo facciamo scelte, con la mente, che hanno un impatto importante anche sull’acquisizione di benessere a livello del corpo. Diventerò un pugile o no? Mangerò troppi cibi zuccherati? E così via. Ritengo sia utile vedere corpo e mente non come due elementi scissi, ma come due aspetti di un singolo evento biologico in corso, ovvero la nostra vita.


Quando la mente viene scaricata in una nuova “custodia”, si potrebbe ipotizzare che accada qualcosa di potente; quando la luce colpisce gli occhi del nuovo corpo possiamo parlare di una “nascita”? Qual è la tua idea?

Ah be’, se rispondessi a questa domanda direi troppo. Leggete i romanzi e andate a vedere cosa succede!


Spostiamoci ora agli altri romanzi. ‘Market Forces’ (‘Business’ in Italia, ndt) e ‘Black Man’: due rappresentazioni diverse di un futuro prossimo. Possiamo considerarle come una fase intermedia verso il futuro più lontano in cui vive Kovacs?

Assolutamente no. Ci sono alcune idee in comune con il mondo di Kovacs, questo è vero, come lo strapotere delle grandi compagnie, la colonizzazione di Marte, l’attitudine alla violenza dei protagonisti. Ma si tratta solo di aree della rappresentazione narrativa che prediligo. Oltre a questo, non c’è alcuna relazione intenzionale.

Qual è lo stato dell’arte di ‘ Land Fit for Heroes’? Avendo letto gli altri romanzi, è davvero difficile pensare a un mondo fantasy creato da un autore come te…

La stesura di Land fit for Heroes (il cui titolo attuale è The Steel Remains, almeno in UK) è terminata. Ho consegnato la bozza finale la settimana scorsa (fine febbraio 2008, ndt), e dovrebbe essere pubblicata ad agosto. Penso che il modo più corretto di descrivere il romanzo sia un ‘low fantasy’ ambientato in un mondo di genere tipicamente ‘high fantasy’ ma con personaggi e comportamenti che sono l’antitesi di quelli che ti aspetteresti di trovare in un romanzo ‘high fantasy’ propriamente detto. E’ brutale, amorale, noir; per intenderci, la perfetta colonna sonora di quel mondo sarebbero i pezzi dei Rolling Stones, cose come Street Fighting Man, Gimme Shelter, Respectable, Sympathy for the Devil


Stai lavorando anche sulle tue storie a fumetti?


No, non in questo periodo. La mia esperienza con Black Widow per la Marvel non ha avuto un gran successo (almeno non in termini di vendite) e non mi è stato chiesto di continuarla. Non posso biasimarli!!! Ho in effetti delle buone idee per storie a fumetti ed ho anche ricevuto diverse cortesi proposte editoriali, ma fino a un paio di settimane fa sono stato troppo impegnato con The Steel Remains per pensare anche a questi progetti. Ora che ho finito il romanzo, ed ho un po’ più di tempo a disposizione, vedremo…


In un’intervista, hai affermato: " la società è sempre stata e sarà sempre un sistema per la strumentalizzazione e l’oppressione della maggioranza attraverso metodi di potere politico dettati da un élite, attuati da criminali con o senza uniforme, e sorretti dall’intenzionale ignoranza e stupidità della maggioranza stessa oppressa dal sistema." Ritieni che questa idea si possa applicare anche a quella che siamo soliti definire come ‘democrazia’?


Be’, potremmo considerare la democrazia, la democrazia attiva, come un antidoto a questa visione. In realtà penso però che nelle nazioni moderne, la democrazia sia continuamente esposta alle dinamiche che ho espresso in questa frase. Guardate Bush in America, Berlusconi in Italia. Entrambi hanno violentato la democrazia, e la gente dei due paesi è stata a guardare senza muovere un dito, anzi in qualche caso hanno persino applaudito a questo stupro (in UK, Blair ha fatto qualcosa di meno violento ma altrettanto squallido – nel suo caso potrei chiamarlo uno stupro sotto l’effetto di sostanze stupefacenti dopo una cena romantica). Ho davvero paura che gli esseri umani siano soliti affrontare argomenti complessi con un loro ‘hardware’ settato sulla rigidità delle gerarchie, sulla xenofobia e sulla stupidità. Bisogna sforzarsi di combattere questa tendenza, di rifutarla usando la conoscenza, la giustizia e l’intelligenza.


Quali sono i tuoi autori preferiti di fantascienza? a parte P. K. Dick…

Ad esser sinceri, Dick non è affatto uno dei miei preferiti; voglio dire, ho un infinito rispetto per la sua incredibile inventiva, ma stilisticamente penso che fosse abbastanza limitato, e che il suo livello qualitativo sia stato estremamente mutevole. E’ quello che devi aspettarti; se uno si fa di amfetamine e pubblica mezza dozzina di libri all’anno, il controllo di qualità è a dir poco difficile a farsi. Perciò, se da un lato penso che Ma gli androidi sognano pecore elettriche? e Scorrete lacrime, disse il poliziotto siano pezzi ispirati di autentica fantascienza, d’altra parte non posso dire che ho voglia di leggerli una seconda volta. I romanzi di William Gibson, invece, potrei leggerli e rileggerli perché l’intensità della cifra stilistica ti ricompensa abbondantemente per il tempo che spendi per rivisitarli continuamente. Penso che Gibson sia tuttora il mio autore preferito nel genere.


Vedi differenze fra la fantascienza scritta da uomini e quella scritta da donne? (penso ad esempio a Ursula K. Le Guin)…

Assolutamente sì. Ogni scrittore mette la sua sensibilità personale nel suo lavoro, e non c’è dubbio che la sensibilità femminile e quella maschile, benché in alcuni casi siano collegate, siano ben diverse. Parlando della Le Guin, I reietti dell’altro pianeta è uno dei miei romanzi preferiti fra tutti i generi, il tipo di libro che avrei voluto aver scritto io. Ma penso che una versione al maschile di quel romanzo sarebbe stata parecchio diversa, e tutto sommato non a quell’altezza. Sarebbe stata più rabbiosa, molto più violenta, e in sostanza, molto più disperata. Il valore de I reietti dell’altro pianeta è proprio che cortocircuita questi sentimenti e ti obbliga alla speranza nonostante tutto. Le donne sono in generale molto più inclini degli uomini alla speranza, nella letteratura come nella vita reale.


Vuoi darci qualche impressione su autori di lingua non anglossassone? S. Lem? M. Ende? altri?

Be’, probabilmente il mio autore preferito fra tutti i generi è Haruki Muratami, e direi che sia corretto annoverare la sua produzione nel genere FS, soprattutto il suo ultimo romanzo Kafka sulla spiaggia (nonostante io non abbia dubbi che quest’affermazione scandalizzerà molti critici mainstream). Ma devo riconoscere che non leggo molta FS tradotta. Non si tratta di una scelta, è solo che c’è già così tanto materiale pubblicato in inglese, che diventa statisticamente molto improbabile che mi capiti di leggere un autore non anglofono, a meno che non mi sia stato caldamente raccomandato. Sì, ho letto qualcosa di Lem, come Le storie del Pilota Pirx e mi sono abbastanza piaciute, ma non ho molte altre esperienze di lettura in tal senso.

Nel tuo gradevolissimo blog/ sito internet si legge “Wow - Sapete quanto molti lettori abbiano odiato Black Man/Thirteen? L’hanno odiato MOLTISSIMO! - come definiresti il tuo rapporto con i lettori?

Il più rispettoso possibile. Penso che scrivere sia un atto (o almeno il tentativo di un atto) di comunicazione. Nei miei libri ci sono sia cose da dire che una storia da raccontare, e la mia speranza è che il lettore possa coglierne almeno una parte. Cerco da un lato di provocare una reazione emotiva, ma anche, dall’altro, di stimolare il pensiero, la riflessione. Quando questo avviene, quando il lettore fa “click” con il libro, è una sensazione meravigliosa. Quando invece questo non succede, quando cioè il lettore si arrabbia per qualcosa che posso aver scritto, in genere le possibili cause sono due: il lettore si ritrova in forte disaccordo rispetto a quanto scrivo, oppure non ha colto il punto. In quest’ultimo caso, che per me è un gran peccato, io tento continuamente, sul sito, per e-mail, negli incontri, di spiegare quello che non è stato inteso, in altre parole cerco di riaprire una linea di comunicazione con il lettore. Ma se la rabbia proviene dal disaccordo, allora non c’è molto da fare.


Qual è la cosa più bella che ti abbia mai detto un tuo lettore? e quale invece la peggiore?

Una volta un lettore mi disse che nel finale positivo di Woken Furies lui aveva trovato l’ispirazione per combattere e vincere una lunga malattia di cui soffriva, e questo mi ha davvero toccato. Un altro mi rivelò che i romanzi di Kovacs lo avevano aiutato a concludere il suo divorzio (il che, ad esser sinceri, mi è parso un po’ allarmante!) Inoltre, molti lettori mi hanno contattato dopo la pubblicazione di Business per dirmi quanto il romanzo corrispondesse al loro personale incubo di essere dipendenti di aziende americane –ed è stato bello sapere di averci azzeccato– ma ancora una volta mi sono allarmato quando un lettore mi domandò se davvero io ritenessi che la violenza brutale e nichilista di Chris Faulkner (il protagonista del romanzo, n.d.t.) fosse la sola soluzione per uno nella sua situazione. Oh-oh… No! Abbassa la pistola… lentamente… e parliamone a fondo…

Per quanto riguarda i commenti negativi, be’ fate un giro in Amazon, è pieno! Business e Black Man soprattutto hanno ricevuto insulti pesanti, penso principalmente per motivi politici. Ma per essere onesti, la cosa peggiore per un autore non è una critica ferocemente negativa, che rappresenta comunque una reazione emotiva che sei riuscito a indurre, ma la classica “alzata di spalle”, la frase “bah….non male…” che significa che hai fallito completamente. Il contrario dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza.


Quali sono le condizioni ideali in cui scrivi?

Sfortunatamente, sono una persona molto poco organizzata. Scrivo quando ne sento l’impellenza, qualunque sia l’ora del giorno o della notte, o quando una scadenza si avvicina e devo davvero concludere il lavoro. La verità è che lavoro meglio quando sono sotto stress. Se pensate che alla mia età dovrei aver raggiunto un approccio più maturo alla questione, uhm, no, direi che a quarantadue anni sono ancora quello che fa i compiti sullo scuolabus…

C’è qualcuno che ti assiste nel darti consigli sulla storia, a cui magari sottoponi i tuoi capitoli prima di continuare nella stesura, o vai dritto alla fine senza permettere a nessuno di interferire?

Non mi da fastidio che qualcuno legga le mie cose mentre sto ancora creando, non sono una “prima donna” su queste cose. Mia moglie qualche volta si affaccia sulla mia spalla e da una sbirciatina, ma lei non è un’appassionata di questo genere, perciò non capita spesso. Altre volte succede che un amico o un editore diano un’occhiata a un paio di capitoli se sono interessati e se gli capitano fra le mani. Sarò brutalmente sicero: non mi importa molto dell’opinione di nessuno prima che il lavoro sia terminato. Se gli piace, bene, altrimenti, fa nulla. Sei tu il solo ad avere la visione d’insieme quando scrivi il romanzo, e se da un lato non ti fa male sentire le opinioni altrui, non puoi certo star lì a tagliare e cambiare per far piacere ad altri. In genere ho un’idea abbastanza precisa di dove la storia sta andando (in termini di argomenti e temi, se non di trama vera e propria) e non è un percorso che altri possano fare al tuo posto.


Cosa trovi più importante ed emozionante: finire la storia o pubblicarla?

La prima volta, è la pubblicazione, non c’è dubbio. Niente può eguagliare l’ebbrezza dell’essere pubblicati per la prima volta in assoluto. E’ come perdere la verginità nella situazione sessualmente più eccitante possibile. Ma dopo quella prima volta, direi che terminare un lavoro è quel che conta. Quando batti i tasti delle ultime parole del romanzo, e senti che hai detto ciò che volevi dire, quella è davvero una sensazione potentissima.

Hai mai scritto un romanzo che poi non hai pubblicato?

No, be’, ad esser sinceri, forse sì: la mia prima storia Ethics on the Precipice, che scrissi nel 1988-1989, non esiste più. Era proprio imbarazzante a guardarsi, e la distrussi. Onestamente penso che nemmeno il mio editore sarebbe stato felice di pubblicarla, non era affatto un buon lavoro. Se invece ti riferisci alla possibilità di scrivere qualcosa di valido che non sia poi stato pubblicato, no, non lo farei mai. Non ho così tanti soldi, né tempo da perdere!

Cosa ti senti di dire a qualcuno che sogni di diventare un autore di FS a tempo pieno?

Di prepararsi ad un cammino lungo, faticoso e solitario. Di essere certo che sia davvero questo che vuole. Se la tua speranza è il successo, o il denaro, lascia perdere. Le possibilità di far tanti soldi con un romanzo sono prossime a zero, sarebbe meglio cercarsi un posto di lavoro in banca o in borsa. Se è per la fama, posso dire che sarai molto più famoso se fai vedere le tette (o qualunque succedaneo) alla televisione nazionale. In realtà, io sono stato incredibilmente fortunato; l’80% degli scrittori non riesce a lasciare la sua professione d’origine, e persino quelli che ci riescono si ritrovano a far fatica a vivere dei soli proventi dei loro libri. Nella letteratura di genere, tutto ciò è doppiamente vero. Robert Sheckley, uno dei narratori migliori della FS dell’epoca d’oro, morì in povertà, alla disperata ricerca di benefattori che gli pagassero le fatture dell’ospedale. Questo è ovviamente un caso estremo, ma lo è anche la storia del mio successo. La realtà è in un punto intermedio fra questi due estremi.
Ma se sei pronto ad accettare tutto ciò, e vuoi ancora scrivere FS, allora, ti auguro la miglior sorte possibile, perché… ne avrai davvero bisogno.
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(Original version in English:

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