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mercoledì 1 ottobre 2008

Tempus fugit

Questo racconto, il primo di questa brevità che io abbia mai scritto, ha incontrato una serie piuttosto numerosa di successi:
-Vincitore del Premio Adeia 2008
-Vincitore del Premio Archimede per il miglior racconto fantastico nell’ambito del Premio Letterario Internazionale Siracusa Trofeo Papiro D’oro -Decadramma D’argento
-Secondo classificato al Premio Akery 2008 sezione fantascienza
-Secondo classificato al Trofeo RiLL 2008
-Segnalato ai Premi Loris Biagioni e Giorgio La Pira.
-Finalista al Premio Duerre 2008.
E' stato pertanto pubblicato in Fuga da Mondi Incantati (Nexus Ed. 2008), nella rivista Tangram, e successivamente online su Continuum.

Tempus fugit

Quel mattino, Marco faticò più del solito a svegliarsi.
Per qualche istante aveva pensato che quel trillo prolungato e pungente che sentiva fosse l’epilogo di un brutto sogno.
Poi invece si era reso conto che non aveva sognato affatto; a pensarci bene, sembrò che la notte fosse passata in un baleno, e nelle notti brevi, si sa, non c’è alcun posto per i sogni.
Si alzò e si gettò sotto la doccia fredda. Si vestì, poi fece colazione davanti alla finestra che dava sul Tevere.
Quella domenica d’inverno Roma era più bella che mai; mentre l’alba lambiva la città ancora addormentata, il ragazzo si preparò per uscire.
La giornata si preannunciava eccitante: la bella ragazza di Bucarest che aveva conosciuto a Villa Borghese il pomeriggio precedente gli aveva dato appuntamento davanti al suo albergo.
La sera prima, dopo la cena a Trastevere, quando si erano salutati, lui non aveva avuto il coraggio di farsi avanti per accompagnarla all’hotel.
Era un disastro con le belle donne, ma per fortuna le belle donne gli davano sempre una mano; quando era rientrato si era ritrovato in tasca un biglietto, scritto in stampatello con dolce ironia:

Evita questa donna: Tanya, Hotel Antico Impero, Piazza dell’Amore, ore 11.00.

Uscì di corsa, felice di recarsi da lei e poterla vedere di nuovo.
Alla sera, rincasò esausto.
Che giornata splendida. E quanto era bella Tanya! I suoi baci erano soffi di vento liquido e caldo sulle labbra, i fianchi stretti e morbidi sembravano fatti per le sue mani, i grandi occhi verdi gli toglievano il respiro.
Avevano fatto l’amore tutto il giorno.
Prima di addormentarsi, il ragazzo provò la sensazione che quella giornata si fosse svolta troppo in fretta. Come un film mandato avanti a velocità più alta del normale.
Quando stai bene, pensò, il tempo ti sfugge via.
Che peccato, con quella donna lui ci avrebbe passato giorni e giorni, possibilmente in un letto.
Il giorno dopo, di mattino presto, andò a cercarla, ma lei era partita. In albergo, stranamente, nessuno si ricordava di quella bella ragazza che il giorno prima occupava la stanza 777. Eppure non era di certo una che passava inosservata.
Ieri alla reception c’era un altro, pensò.
-Ho preso servizio stamattina, signore- aveva detto il nuovo addetto per giustificarsi.
Per un attimo Marco ebbe un brivido. Aveva sognato tutto? O, peggio, se lo era immaginato?
Ma no! Il ricordo di lei era reale, nitido, intenso, caldo.
Se la sentiva ancora addosso, quella pelle ambrata, eppure… era già passato un giorno, anzi, due.
O forse… tre?
Marco si ritrovò a cena con gli amici, mercoledì sera, in pizzeria. Era stordito, confuso. Pensava ancora a Tanya: perché se n’era andata in quel modo? Non lo aveva nemmeno avvisato.
Che giorno è oggi?, dovette chiedersi al mattino seguente, sempre più disorientato. Per stabilirlo ci volle del tempo: era già venerdì; ma della settimana successiva.
Erano passati undici giorni? No, non era possibile. Cercava di ricordare cosa avesse fatto per tutto quel tempo; c’erano delle tracce nella sua memoria, ma sbiadite e frammentarie.
Qualche ora in ufficio, una partita di calcetto, la visita in ospedale a sua sorella… pochi ricordi per riempire tutto quel tempo. Diamine, erano passati undici giorni! Cos’altro aveva fatto in undici giorni?
Le mie giornate si somigliano un po’ tutte, pensò, depresso e sconsolato.
Quella notte il caldo eccessivo lo svegliò; strana temperatura per essere febbraio, rifletté nella semi-incoscienza. Ne approfittò per alzarsi e andare in bagno.
Il mattino seguente, facendo colazione accese la TV per guardare il telegiornale; continuava a fare un gran caldo.
Lo speaker gli diede il buongiorno ed annunciò che era il sedici maggio.
Si alzò di scatto, gli occhi sbarrati, i brividi lungo la schiena, le mani tremanti, la voce strozzata in gola nel tentativo di gridare.
Ne era certo, era andato a dormire in una fredda sera d’inverno; aveva quasi perso il conto, ma doveva essere il 12 febbraio!
Che diavolo stava succedendo?
Chiamò il suo amico più caro, Andrea, e senza dare troppe spiegazioni gli chiese il numero di telefono del suo psicoterapeuta.
Dall’inizio alla fine della telefonata con l’amico si era già fatta notte.
Arrivò allo studio dello psichiatra ad agosto inoltrato, e quando ne venne fuori le foglie iniziavano a cadere dagli alberi; l’asfalto era arso dal sole al suo ingresso, ed era coperto di foglie gialle all’uscita.
Stava impazzendo? Delirava? Lo psichiatra aveva fatto delle strambe ipotesi, tutte poco piacevoli, e alla fine gli aveva dato delle gocce per la notte e un nuovo appuntamento per l’indomani.
Lui cercò di rispettare quell’impegno, ma tornò dal terapeuta che faceva già molto freddo; per strada gli alberi straripavano di palline colorate e festoni natalizi. E, quel che era peggio, lo psichiatra cercò di convincerlo che erano al quarto mese di terapia, ormai, e che i progressi erano stati ben pochi, per non dire… zero.
Questo lo vedo da me, pensò Marco.
Comprò un regalo per Tanya. Da qualche parte doveva avere il suo indirizzo, glielo avrebbe spedito in Romania.
Pochi giorni dopo, arrivò una lettera della ragazza. Lei lo ringraziava, si ricordava bene di lui, anche se era passato tanto tempo, e gli diceva che il fatto di aver ricevuto a Pasqua il suo regalo di Natale l’aveva divertita; forse di quel ritardo doveva incolpare le poste italiane o magari quelle del suo paese.
Marco aveva amato Tanya solo pochi giorni prima, ma era già passato più di un anno.
Non sapeva più cosa pensare.
Certe volte si alzava con la barba lunga, altre con un taglio diverso di capelli, spesso si ritrovava in luoghi o città dove non rammentava di essere mai arrivato; scoprì in ritardo che suo fratello era emigrato negli Stati Uniti, e mancò al secondo matrimonio di sua madre con quello che seppe esser diventato il suo amato patrigno.
Non c’erano molte alternative: o era pazzo, o l’intero universo stava prendendosi gioco di lui.
Dovette scegliere la prima opzione, ipotizzando che aver formulato la seconda fosse prova lampante di follia in fase già avanzata.
Si ritrovò quindi ricoverato in un centro di igiene mentale, nel maggio di tre anni dopo, e lì apprese che in realtà vi era entrato da molto tempo. Ma dopo due giorni era già luglio dell’anno successivo, ed era stato dimesso, e chissà da quanto.
I successivi trenta giorni furono un totale inferno.
Il tempo continuava ad accelerare sotto il suo sguardo impotente. Le sue mani invecchiavano, i suoi abiti cambiavano, tutto si muoveva ad una velocità impossibile.
Aveva ormai venticinque anni in più di quando aveva conosciuto Tanya.
Un giorno la donna, ormai matura e sempre affascinante, venne a trovarlo per una settimana, e fu l’unico momento felice per Marco, anche se durò pochi minuti, forse un’ora, per quel che lui fu in grado di ricordare.
Era prossimo ad esplodere.
Gli anni passavano travestiti da giorni, e la scienza progrediva; ormai vecchio, aprì l’elenco telefonico e si imbatté in un annuncio che attirò la sua attenzione:

Dottor Andreas Kronos Zeit
Riparazione Falle Temporali
Interventi urgenti a domicilio


Il campanello di casa suonò appena ebbe chiuso il librone, ma in realtà erano passate sei ore.
Un omino basso, calvo e con il naso all’insù lo guardò sull’uscio con pupille puntiformi perse in fondo a spesse lenti d’occhiali da miope.
-Mmmm. Lei deve essere quello che mi ha chiamato- disse, dando prova di eccellente intuito.
Entrò e poggiò in terra una pesante valigetta.
Spiegò che le forti emozioni possono causare l’improvvisa apertura di falle nel flusso del tempo. Nel suo caso doveva essere stata la travolgente avventura con Tanya, in gioventù.
-E’ come se lei stesse seguendo una linea retta che taglia tutte le curve della sua vita; lei vive solo i punti di intersezione, ma perde tutti i segmenti intermedi.
Era stato chiarissimo; andando avanti così, avrebbe continuato quella caduta libera nel mare del tempo, precipitando in pochi giorni verso la fine della sua vita.
Marco implorò di essere aiutato.
Il dottore spiegò che con i suoi strumenti poteva procedere in due modi: uno più semplice, l’altro più complicato.
Il metodo semplice consisteva nel ripristinare il flusso normale del tempo, e così la vita avrebbe ripreso la sua velocità fisiologica, ma solo da quel momento in poi. In tal caso tutto il passato sarebbe stato perso per sempre, ma l’efficacia dell’intervento era garantita.
Oppure, nel modo più complicato, il dottore poteva riportarlo indietro, nel passato, fino al tempo precedente l’incontro con la donna che aveva cambiato la sua vita. In questo caso tutto poteva riaggiustarsi, ma era fondamentale che lui evitasse a tutti i costi di fare l’amore con lei.
Non fu facile prendere quella decisione; Tanya aveva rappresentato la parte migliore della sua vita, ma Marco desiderava troppo riappropriarsi della sua giovinezza, ed optò per la seconda via.
Il dottore prese nota di tutto quel che Marco riuscì a ricordare della sua avventura di gioventù: il nome della donna, l’albergo in cui si erano visti, il giorno, l’ora.
Poi gli diede appuntamento.
-Ci vediamo fra un anno nel mio studio- gli disse.
-Come dice?!- gridò Marco in risposta, preoccupato sulle prime dall’idea di una lunga attesa.
-Non si preoccupi, per lei saranno sei o sette minuti, alla sua velocità.
-Ah, già. D’accordo. Grazie, dottore.
L’anno dopo, tutto era pronto; Marco si stese sul lettino, chiuse gli occhi e iniziò a sperare. Poiché una volta tornato indietro avrebbe perso il ricordo di tutto, lasciò che il dottore gli mettesse in tasca un provvidenziale bigliettino:

Evita questa donna: Tanya, Hotel Antico Impero, Piazza dell’Amore, ore 11.00.

sabato 30 agosto 2008

Premi della narrativa italiana

Qui sono riportati, in ordine di tempo, i premi e i piazzamenti dell'autore relativi a concorsi letterari non legati al genere. Per quelli di FS, vedere qui


Ottobre 2005: Finalista al premio di Narrativa “Il Prione”

Dicembre 2005: terzo classificato al concorso “Interrete Shorts” edizione 2005 (NB nonostante quanto riportato nel bando pubblico, a mia conoscenza non è mai avvenuta la pubblicazione della relativa antologia a cura della casa editrice Statale 11).

Dicembre 2005: sesto classificato al concorso “Città di Melegnano” 2005

Gennaio 2006: finalista al concorso “Racconti In Viaggio”

Luglio 2006: Vincitore del premio letterario “Parco Majella” - sezione narrativa inedita.

Agosto 2006: 4° classificato al concorso “Insieme nel Mondo”.

Settembre 2006: finalista al XII premio Energheia

Settembre 2006: secondo classificato al Premio Internazionale “Alla luce delle Mainarde”.

Settembre 2006: finalista al premio di Narrativa “Il Prione”

Novembre 2006: menzione d’onore al concorso Prader Willi 2006

Dicembre 2006: menzione al concorso “La Voce delle Donne”

Dicembre 2006: vincitore del concorso “Rasa Calogero”

Maggio 2007: finalista al Premio “Merano Europa”

Giugno 2007: nota di merito in occasione del concorso “Zenone” (Runde Taarn Edizioni).

Settembre 2007: finalista al Premio “Liberalia -Città dei Sassi”

Ottobre 2007: menzione al Premio “Chiave di Svolta”

Novembre 2007: menzione al Premio “Pubblica con noi” - Fara Editore.

Gennaio 2008: vincitore del concorso Zacem-Pennacalamaio

Giugno 2008: vincitore del Premio Adeia

Luglio 2008: finalista al premio Nemo 2008

Agosto 2008: menzione di merito al premio Le Fenici 2008- Edizioni Montag

Settembre 2008: segnalazione di merito al Premio Garfagnana di Narrativa "Loris Biagioni"

Settembre 2008: segnalazione di merito al Premio Letterario Internazionale di Narrativa "Giorgio La Pira"

Novembre 2008: terzo classificato al Premio Alois Braga Edizione speciale 2008

Dicembre 2008: menzione speciale al premio “Per ricordare Patrizia 2008” .

Dicembre 2008: finalista al Premio "Duerre 2008"

Gennaio 2009: finalista al Premio “Una piccola storia in fuga”, Ass. Erga Omnes.

Febbraio 2009: vincitore del Concorso Zacem - Pennacalamaio 2008 .

Febbraio 2009: segnalato al concorso “Albero Andronico” come “quarto ex-equo”

Marzo 2009: selezionato fra i vincitori del concorso indetto dal “Blog di Out”

Aprile 2009 vincitore del concorso “Pensieri in versi”

Maggio 2009: segnalato al concorso Fara Editore 2009 “Pubblica con noi”

Ottobre 2009: finalista al Premio Nemo 2009

venerdì 22 agosto 2008

Il tempo di Kal

Racconto vincitore del Premio Akery 2006, pubblicato sulla rivista "Fondazione", prestigioso periodico amatoriale di FS.


Il tempo di Kal

Il deserto era ormai ben visibile dagli oblò del posto di pilotaggio della grande nave, che stava precipitando verso il basso.
L’intensa luce bianca riflessa dalle distese sottostanti costringeva il malcapitato a serrare gli occhi mentre guardando fuori cercava inutilmente di orientarsi.
Si scoprì poi a fissare le proprie mani, aperte sulla plancia, le dita poste sulle decine di tasselli a comando digitale, ancora tese dalla concentrazione di qualche istante prima. Non capiva.
Fu come svegliarsi all’improvviso da un sonno profondo e tornare alla realtà.
-Dove mi trovo, maledizione?!- gridò in preda al panico.
-Cosa ci faccio qui? dove mi trovo, maledizione?
Continuava a gridare, ripetendo le stesse parole, sfinito dalla paura e schiacciato da una fitta perenne allo stomaco; vomitava la sua angoscia fuori da sé.
Gli sembrava quasi che fosse la prima volta nella sua vita che urlava a squarciagola.
La sua vita. Già, ma quale?
Non aveva più nessuna memoria della sua storia.
Ma fino a solo un attimo prima sapeva bene chi era.
Ahrab era stato il suo nome, ed era partito dal suo pianeta, Kal, abitato da esseri umani, alla scoperta di un nuovo mondo da esplorare. Come sempre, la missione era stata intrapresa con poche probabilità di successo, sulla grande nave monoposto, uno dei gioielli della tecnologia kaliana, prototipi unici destinati a viaggi di esplorazione spesso senza ritorno.
Ahrab non ricordava ormai più che aveva appreso e accettato con entusiasmo i grandi rischi a cui si era esposto.
Kal aveva perduto già molti figli prima di lui, ciononostante l’uomo si era offerto volontario e ne stava pagando le conseguenze.
-Argh!- gridò mentre, staccatosi dalla plancia, fu schiacciato contro il soffitto dell’abitacolo a causa delle violente scosse causate dalla perturbata atmosfera terrestre.
La nave era appena entrata in una zona in cui era esplosa una tempesta improvvisa, e dirigeva verso la superficie del pianeta terra in corrispondenza dei grandi deserti interni dell’Australia Occidentale.
Ma Ahrab aveva ormai perduto la cognizione della propria situazione e persino della propria identità.
L’amnesia era totale e l’uomo non riusciva a ricordare neppure il proprio nome. Sapeva che doveva pur avere un nome, sapeva di essere umano, sapeva come esprimersi con le parole e poteva dare un nome alle tremende emozioni che stava provando in quel momento, ma non era in grado di costruire da questi particolari l’immagine della scena in cui si trovava, né di dare ad essa una causa o uno scopo comprensibili.
La temperatura interna stava aumentando terribilmente, e Ahrab se ne rendeva conto; era in grado di comprendere il concetto di calore e di temperatura, ma di questa e di altre sue capacità era addirittura stupito.
Non sentiva troppo estraneo l’ambiente che lo circondava, le pareti interne dell’abitacolo piene di luci lampeggianti nel buio e mappe olografiche tridimensionali che disegnavano l’orografia del suolo ruotando su se stesse, ma continuava a domandarsi chi lui fosse e perché si trovasse lì in quel preciso istante, in quell’ambiente così sorprendentemente familiare.
Si domandava da dove venisse e dove stesse andando.
Era in grado di parlare ma non sarebbe stato capace di precisare che lingua stesse usando, era capace di capire la maggior parte dei significati di quelle luci elettroniche ma non aveva idea del perché ne fosse in grado, né aveva idea di quali decisioni potesse prendere; capiva che stava volando ma non ricordava quando, né come, né da dove, fosse partito.
Non ricordava di averlo voluto. E sì che lo aveva voluto, e con forza.
Non aveva la lucidità nemmeno sufficiente a chiedersi quale fosse il pianeta verso cui stava dirigendosi, ma avrebbe saputo probabilmente esprimere la definizione di “pianeta” con la precisione di un analista spaziale di prima classe, se ci fosse stato qualcuno a chiederglielo.
Si arrese all’avversità, e dimentico delle sue qualità di pilota si accasciò esausto al suolo, lasciandosi andare alla deriva degli eventi che lo comprendevano.
-Che sia quel che sia…- sussurrò chiudendo a fatica gli occhi iniettati di sangue, convinto che la morte fosse ormai prossima e annaspando nella memoria vuota per trovare una vaga traccia di ricordo.
Dopo essere uscita dalla tempesta, la nave si stabilizzò e procedette in volo automatico verso il punto di atterraggio.
Ahrab dormiva ormai profondamente. Nei suoi sogni c’era forse la verità che alla coscienza sfuggiva ormai del tutto.

I sistemi di bordo individuarono l’area di discesa. Nella zona, disabitata, nessuno vide l’enorme scafo nero avvicinarsi al suolo e sollevare nubi di sabbia bianca, per poi arenarsi tra due dune alberate a pochi chilometri dall’oceano pacifico.
L’uomo fu svegliato dalla suadente voce femminile del sistema automatico:
-Atterraggio completato. Ambiente idoneo e compatibile con la vita umana. Umani e altre forme di vita a distanza di sicurezza.
-Umani… a distanza di sicurezza!- esclamò riprendendosi -ho bisogno di altri esseri umani come me, devo cercare aiuto…
Si rialzò e si guardò in giro.
All’improvviso, di getto, esclamò con calma:
-Trasparenza.
E provò un brivido chiedendosi perché mai lo avesse fatto.
Le pareti della nave scomparvero, si ritrovò in mezzo al deserto, vide una radura alberata poco distante; poteva forse nascondere dell’acqua e sentendo la sete che lo tormentava si mosse istintivamente verso di essa, correndo. Urtò con violenza sulla grande parete trasparente della nave e cadde nuovamente al suolo.
Si rese conto di essere ancora a bordo, si voltò e vide una luce rossa accesa; istintivamente sollevò un braccio e intercettò un raggio luminoso dello stesso colore. Udì un rumore metallico e una porta si aprì; riuscì a identificarla dalla corrente di calore che attraverso il varco penetrava nella nave.
Si mosse verso di essa e vide una lunga passerella che dall’interno dell’astronave conduceva verso il suolo sabbioso.
Si fermò a pensare.
Si rese conto di non avere molto tempo per prendere una decisione. La prima di cui, forse, avrebbe finalmente conservato un ricordo. Ma per decidere era necessario tentare di capire. E per quanto gli elementi a disposizione fossero pochi, tentò di farlo.
Parlò ad alta voce, pur essendo solo, per fissare il ragionamento in una certezza che si potesse collocare al di fuori di sé, al di fuori di quella mente così vuota, priva di immagini del passato.
Parlare in quel modo gli sembrava inusuale, ma parlò di getto, sperando di poter ascoltare qualcosa di utile, come quando aveva ordinato, senza neanche rendersene conto, alle pareti della nave di diventare trasparenti. Qualcosa che uscisse dall’inconscio e diventasse una conoscenza utile a sopravvivere.
-Non è questa, la mia casa…
Poi rammentò qualcosa, finalmente, e provò un brivido di gioia incontenibile. Sperò per un istante di riavere in sé i propri ricordi.
Ma si disilluse presto, rendendosi conto che l’oggetto del ricordo era molto recente; era solo quella voce, a bordo, che aveva detto: “umani a distanza di sicurezza”.
Dunque ce n’erano di esseri umani, sul pianeta, pensò.
-Pianeta…- disse poi.
-Mi trovo su un atro pianeta. Devo essere qui per qualche strana ragione.
-Ma quale ragione?!- gridò con tutta la potenza che riuscì a scaricare nella voce. Il grido si perse sordo nella distesa di sabbia che gli si spalancava davanti.
Aveva sete, e fame.
Tornò all’interno della nave e non fu in grado di ricordare nulla di utile.
Fece dei goffi tentativi, sperando che potesse succedere qualcosa.
Gridò:
-cibo!- e nulla accadde.
-Acqua!
La nave non obbediva ai suoi comandi. O forse semplicemente lui non era in grado di dare comandi che la nave potesse comprendere.
Si rassegnò, non era in grado di governare la tecnologia che lo aveva portato in quel posto, a meno di non perdere tempo prezioso che avrebbe sottratto alla ricerca di acqua e cibo.
Vide una mappa olografica attiva e ne intuì il significato: il mare era vicino. Decise di allontanarsi dalla nave in cerca di fortuna. Comprese subito la direzione in cui muoversi e si incamminò verso l’esterno.
Iniziò a marciare verso la costa, voltandosi continuamente verso la grande sagoma nera, suo unico punto di riferimento. Dopo tre ore di marcia si ritrovò sulla cima di un promontorio e vide l’acqua: un’infinita massa blu che all’orizzonte si fondeva con il cielo in una interminabile e desolante immagine del nulla.
Si voltò da tutte le parti e non vide segno di vita.
Poi volse nuovamente lo sguardo verso l’acqua e al largo della costa vide uno strano oggetto sulla superficie, un puntino scuro sovrastato da una massa bianca.
Si rese conto che quell’oggetto si stava muovendo e si sedette a guardarlo, aspettando pazientemente e sperando che diventasse più grande e visibile.
Quando l’oggetto si fu avvicinato abbastanza, il puntino era diventato uno strano veicolo di forma vagamente somigliante alla sua nave, sovrastato da sottili ed ampie parti di struttura flessibile, che si gonfiavano al vento e sembravano spingerlo verso la costa. E quando fu ancora più vicino vide chiaramente degli uomini.
Ebbe paura e istintivamente si sottrasse alla loro vista.
Lo sbarco avvenne nella baia sotto di lui.
Quegli uomini gli causavano una sensazione istintiva di fastidio e di pericolo. Erano sporchi, indossavano abiti colorati e parlavano tra loro in una lingua incomprensibile. Ora quella strana nave d’acqua si vedeva molto meglio: nella parte più alta e centrale c’era una specie di stemma, un rettangolo flessibile, mosso dal vento, in cui una croce rossa a otto bracci era disegnata su un fondo blu. Anche quei piccoli pezzi di struttura che si erano staccati dalla nave e con cui gli uomini stavano raggiungendo la riva ne erano dotati.
Capì che quello doveva essere il loro simbolo, di chiunque si trattasse.
Li vide scendere a terra e notò che alcuni di essi indossavano lo stesso tipo di giacca blu e pantaloni chiari ed avevano capelli lunghi e bianchi, che fuoriuscivano al di sotto di uno strano copricapo nero; altri, più sporchi e malandati, e da quelli soggiogati, erano condotti a riva in catene, sotto la minaccia di rudimentali armi imbracciate dai primi.
-Prigionia…- disse di getto, con voce triste.
Un altro ricordo era tornato spontaneamente.
Poi udì un’esplosione; il rumore fece eco nella baia e uno dei prigionieri, colpito, cadde in acqua, trascinando con sé altri due a lui legati.
Ahrab decise di rimanere nascosto sull’altura.
Vide degli uomini bere e provò un dolore per tutto il corpo. Era ormai prossimo all’esaurimento.
Decise di attendere la notte e mescolarsi tra loro. Come sapeva che la notte sarebbe arrivata presto era un mistero anche per lui.
Dopo il tramonto si avvicinò all’accampamento, orientandosi alla luce dei fuochi che i primitivi umani avevano acceso. Notò che i prigionieri erano stati recintati in un’area in disparte e attese che la maggior parte di loro si addormentasse. Poi si avvicinò e applicando ad uno di essi una manovra che ignorava di conoscere fino a quel momento, lo tramortì e lo estrasse dal recinto.
Era magro, leggero e malridotto; non fu difficile trascinarlo sull’altura. Lo spogliò e ne indossò i maleodoranti abiti.
-Daranno pur qualcosa da mangiare e bere a questa gente!- esclamò mentre si impossessava della sua povera identità. Tornò al recinto e si introdusse fra gli altri segregati. Si finse muto e riuscì a bere; rimediò anche del cibo, uno strano impasto di carboidrati complessi, poco digeribile, pensò, ma ricco di energia.
Il giorno successivo fu tradotto insieme agli altri nella vicina città dove venne asservito come lavorante alla costruzione della ferrovia che avrebbe dovuto collegare Sidney a Whitepool e che sarebbe stata inaugurata nel 1851.

Il 30 ottobre 2005 la città di Amsterdam regalava ai turisti lo spettacolo dell’autunno sui mille canali. Zolle di verde e di giallo di milioni di foglie posate sull’acqua si fondevano con ampie strisce di grigio e blu mescolati nel cielo. Il rapido muovere delle nubi, spinte con forza dal vento del mare, alternava calde macchie di sole a fredde ombre d’autunno.
Quel giorno, il Dottor Jan Vaaler uscì di casa, si sedette al volante della sua Mercedes e raggiunse il suo ufficio nel porto fluviale della città. Salì al ventesimo piano del palazzo ed entrò nella sua stanza. Accese la sua pipa di Gouda dopo averla riempita con cura di pregiato tabacco persiano e si lasciò cadere sulla poltrona collocata dietro al grande tavolo in cristallo verde.
Dopo tutto il tempo che aveva trascorso sulla terra, si divertiva ancora molto, ogni giorno, a guardare le immagini appese alle pareti.
Tutti pensavano che si trattasse di foto d’epoca per le quali Jan nutriva notoriamente una vera passione, ma in realtà era la storia della sua vita, che ritualmente ripercorreva ogni mattina.
Le foto della prigionia in Australia, e quella del grande giorno della liberazione, che aveva meritato per aver dato un aiuto decisivo agli ingegneri che avevano inaugurato la ferrovia Sidney-Whitepool; quello era il periodo in cui tutti credevano che fosse un povero sordo-muto dotato di un sorprendente talento nelle costruzioni in muratura e nella realizzazione di terrapieni. Erano venuti poi i tempi dell’Egitto, dove avendo ormai preso dimestichezza con le lingue terrestri aveva imparato a decifrare i geroglifici delle grandi Piramidi, conquistandosi il favore delle autorità inglesi, grazie a cui ebbe un visto per l’Europa. Fu sottufficiale della Marina Reale Britannica e prestò servizio su di un brigantino della flotta dislocata nell’oceano indiano.
Tornato in Inghilterra, durante la seconda guerra mondiale si era distinto come volontario pilota nella battaglia d’Inghilterra, abbattendo numerosi Stukas.
E ancora, le ricerche nucleari negli Stati Uniti e le grandi scoperte sulla genetica umana, grazie alle quali, paragonando il proprio DNA a quello degli umani abitanti la Terra aveva fra l’altro compreso di essere molto più longevo di loro. Ma non sapeva ancora quanto.
Nel 2005 si era ritirato a condurre una vita più semplice e modesta, come direttore dell’autorità portuale di Amsterdam. Aveva mutato identità ormai molte volte e parlava ben dodici lingue terrestri; aveva imparato praticamente tutto del pianeta che lo aveva così miseramente accolto centocinquant’anni prima.
Aveva anche conosciuto e amato molte donne, ma con nessuna si era permesso di avere dei figli, timoroso di interferire in qualsiasi modo con la biologia delle tante razze terrestri con cui era entrato in contatto.
E ancora non ricordava nulla del tempo di Kal e della sua vita precedente.
Il campanello dello spazioso ufficio suonò mentre Jan ammirava le sue foto.
-Dottor Vaaler…- la voce sensuale di Irina, la segretaria estone di Jan, risuonò metallica come sempre nell’interfono -c’è qui un signore che dice di essere un suo amico… ho provato a dirgli che lei ha molti impegni, ma ha insistito; dice di essere arrivato stamattina in volo dall’Australia.
Jan si fermò sbigottito. Erano proprio le foto di quel periodo che stava guardando in quell’istante.
In tutti quegli anni, nessuno aveva mai sospettato nulla. Nessuno aveva mai lontanamente immaginato che lui potesse essere un alieno. E in Australia non ci era più tornato. Odiava quegli zotici australiani, e come biasimarlo per questo, dopo quel che aveva passato a Sidney nell’ottocento.
Chi diavolo poteva presentarsi a lui con un così chiaro messaggio di avvertimento?
-Faccia passare…- rispose con un tono seccato volto a nascondere la preoccupazione.
Jan si sedette sulla comoda poltrona girevole e vide entrare dalla porta un uomo di mezz’età, robusto e di aspetto molto curato.
-Buongiorno, il mio nome è Zed- disse dopo essersi seduto davanti a Jan.
-Ci conosciamo, Signor Zed?- domandò Jan con una curiosità viscerale che stava ormai prendendo la meglio sulla preoccupazione.
-Direi piuttosto che ci siamo conosciuti in passato, anche se lei probabilmente non lo ricorda.
-Capisco… è forse della polizia tedesca? pensavo che ormai quella storia dei container di Amburgo fosse risolta…
-Mi riferisco ad un passato ben più lontano nel tempo- lo interruppe bruscamente l’altro.
Jan vide le sue preoccupazioni trovare conferma; chi mai poteva essere quell’individuo che sfacciatamente gli dava a intendere di sapere tanto della sua storia, della sua longevità, e dell’Australia, per giunta?
-Bene- replicò -si riferisce quindi a…- e fece una pausa esortando l’altro a parlare ed usando uno sguardo interrogativo e un tono volutamente ironico.
-Il tuo nome è Ahrab. La tua missione esplorativa ti ha portato in questo mondo circa un secolo e mezzo fa.
Jan balzò dalla sedia. Poi aprì l’interfono e disse:
-Irina, disdica il mio appuntamento con il procuratore. Non ci sono per nessuno e prenda lei per cortesia tutte le mie telefonate nelle prossime ore.
Prese fiato, e rivolgendosi di nuovo al misterioso ospite, con calma, continuò:
-Non ricordo nulla. Ma la ascolterò.
-Sei nato su Kal molto tempo fa. Ti sei offerto volontario per una delle prime missioni di esplorazione sulla Terra. Io ero il tuo istruttore astronautico. Un tempo eravamo amici. Qualcuno doveva offrirsi volontario per venire a riprenderti, e l’ho fatto io. Non avrai grandi difficoltà a credere alle mie parole, perché sappiamo che i tuoi ricordi sono ancora in te, da qualche parte. Siamo riusciti a ricostruire la tua storia sulla terra, e dopo vari tentativi falliti, sono arrivato fino a te. Avrei voluto riuscirci più in fretta, e raggiungerti in una delle precedenti fasi della tua vita in questo mondo.
Jan era combattuto tra l’esigenza di conoscere la propria origine e la paura di apprendere una verità che considerava ormai sepolta in un remoto angolo dell’universo; in fondo sulla Terra non si era trovato poi così male.
-Quanti anni terrestri può vivere il nostro organismo?- chiese timidamente, considerandola come una delle domande che implicavano una risposta piuttosto innocua.
-Io ho milletrecentosei anni, e tu circa ottocentotrenta, se la memoria non m’inganna.
-E perché mai questi umani vivono così poco allora?
-E’ solo questione di evoluzione; con tutta probabilità fra qualche milione d’anni anche loro vivranno così a lungo.
-Quanto dista Kal dalla Terra?- domandò Jan-Ahrab.
-Ahrab… la tua domanda è priva di senso.
-Cosa vuol dire?
-Il punto non è quale sia la distanza nello spazio, ma nel tempo. Ti ho appena rivelato le nostre età, ma considerando l’epoca attuale, sia tu che io siamo nati in realtà sei miliardi di anni fa. Ahrab, Kal è la terra. La terra di sei miliardi di anni fa. Prima di tante cose che sono accadute su questo pianeta. Prima dell’età della pietra, prima dei dinosauri, prima di altre quattro civilizzazioni senzienti che si sono alternate l’una all’altra. Ciascuna con il proprio inizio, la propria storia, le proprie guerre, la propria fine. Il nostro non era un programma di esplorazione spaziale, ma temporale. Credo che dopo aver perso la memoria le conoscenze di fisica che hai accumulato sulla terra ti consentano comunque di seguire il mio ragionamento: le nostre missioni sono piuttosto semplici; l’astronave viene lanciata nello spazio e inizia un movimento di rotazione orbitale inverso alla rivoluzione terrestre; accelerando gradualmente fino alla velocità della luce, la necessaria conseguenza è lo sfasamento tra il tempo relativo al suolo e quello della nave orbitante. L’epoca in cui vivi tu adesso era l’oggetto di questa prima missione per la quale ti sei offerto volontario. La missione più rischiosa, perché destinata al futuro più lontano da noi. Durante la tua assenza abbiamo raffinato la tecnica impiegata, e ora i margini di errore sono inferiori.
-Perché ho perso il ricordo di tutto questo?- domandò Ahrab, sul cui volto iniziarono a scendere lacrime.
-Gli schermi della nave non erano abbastanza potenti. Sei entrato in una tempesta e le scariche elettriche atmosferiche ti hanno creato uno shock. Una banalità, ma sufficiente a cancellare apparentemente le tracce mnesiche coscienti. Hai conservato in realtà molti ricordi, più di quanti tu possa ora renderti conto, ma sono probabilmente collocati nel tuo inconscio. Potresti iniziare a ricordare tutto in qualunque istante. Oppure li hai perduti per sempre. A te la scelta, amico mio.
Ahrab sentiva che la verità era finalmente tornata in lui. Non il ricordo, ma la sensazione interna, chiara e limpida di aver di fronte il vecchio istruttore, l’amico Zed.
Trovò il coraggio di porre la domanda che più temeva:
-Devo tornare indietro?
-Vedo che hai assunto la mentalità terrestre, Ahrab. Nessuno potrà mai costringerti a fare una cosa del genere. Il nostro livello di umanità è molto superiore a quello che hai conosciuto qui. Del resto, mi pare che molti si siano resi conto che tu sei un essere eccezionale in questo mondo. Hai dimenticato ad esempio che potremmo aver svolto tutta questa piacevole conversazione con il pensiero, ma ti ho lasciato parlare. E’ divertente anche per me, ogni tanto. Da quando hai iniziato a gridare a bordo dell’astronave, non hai più smesso di usare la voce. Nella nostra civiltà, su Kal, parlare è superfluo. Il pensiero umano, l’affettività psichica, hanno raggiunto livelli di capacità e coerenza che travalicano i limiti della scissione tra coscienza e inconscio che gli umani della terra vivono così drammaticamente in quest’epoca. E tu, ora, ti stai comportando come loro. La scelta fra restare e tornare è solo tua, amico mio. La tua donna ha smesso di cercarti da quando sa che stai bene. I tuoi figli, Ahrab, sono orgogliosi di te. Tornerai solo se e quando sarai pronto.
-E come potrei dirvelo? quando uscirai da questa porta tornerai in un mondo che per me sarà morto e sepolto da sei miliardi di anni!- esclamò con voce rotta dal pianto.
-Ahrab, sei diventato un vero terrestre; ti ostini a non voler accettare quanto ben conosci: spazio, tempo, che differenza c’è? sono parole che nella nostra lingua non esistono più. Sono coordinate di calcolo e non grandezze fisiche reali. La distanza tra Kal e la Terra non è più insuperabile di quella esistente tra due pianeti agli estremi opposti dell’Universo. Si tratta solo di una distanza luce. In tutti e due i casi. Se e quando vorrai tornare, la tua nave è ancora a disposizione. E’ rimasta lì, sepolta nella sabbia australiana, in una zona cui nessuno si è mai avvicinato in tutti questi anni, protetta dagli scudi d’energia. Sono certo che saprai usarla, all’occorrenza.
-Addio, Zed.
-Addio, Ahrab.

Senza voltarsi, Zed uscì con il cuore pieno di tristezza per la scelta che il giovane amico non aveva espresso.
Pensò che doveva ancora continuare la sua ricerca e che forse un giorno sarebbe tornato indietro.
Mentre la porta dello studio di Jan si chiuse sulla Terra, una foglia cadde sul tetto della casa dove Ahrab era vissuto, su Kal.

Riconoscimenti e premi nel genere FS

Vincitore del Premio Giulio Verne - Levantecon 2011
Vincitore del Premio Nella Tela 2010
Vincitore del Premio SFIDA (RiLL) 2009
Vincitore del concorso Space Prophecies Episodio V (2009)
Vincitore del Premio Archimede 2008 per il miglior racconto fantastico nell’ambito del Premio Siracusa Trofeo Papiro D’oro - Decadramma D’argento
Vincitore del Premio Apuliacon 2007
Vincitore del Premio Akery 2006

Secondo classificato al Premio Ipazia Città di Salerno 2010
Secondo e terzo classificato al concorso Space Prophecies, Ep. VI (2010)
Secondo classificato al concorso (Demito Editore) “Le Ali della Fantasia” 2009
Secondo classificato al Trofeo Ri.L.L.2008.
Secondo classificato al Premio Akery 2008
Secondo classificato al Premio Akery 2007

Terzo classificato al concorso Space Prophecies, Ep. VII (2011)
Terzo classificato al Premio Oltrecosmo 2007
Segnalato al concorso Città di Salerno 2009
Finalista al concorso Semhain 2009
Finalista al Premio Ferrara&Ghost 2008
Finalista Premi NASF1, NASF2, NASF3, NASF4, NASF 6 (2005-2010)
Finalista al Premio Apuliacon 2006
Finalista al Premio Tabula Fati 2005
Terzo classificato al Premio Red Pill 2006
Settimo classificato al Premio Oltrecosmo 2005
Segnalato al Premio Space Prophecies 2006