Questo è il link alla cerimonia di premiazione con l'astronauta U. Guidoni come ospite d'onore.
Buona lettura.
Profezia
1. L’Incontro
Devilden> Ciao, sono nuovo…
Harp> J Ciao Devil, benvenuto, ke fai di bello?
Devilden> Giro X forum e chat, cerco amici
Arianna> 6 nel posto giusto allora! J J J
Harp> Ciao Ari è un po’ che non ci si sente… L
Devilden> Ciao Ari, grazie
SuperXXX>sluuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuurpppppppç§LOIJMPIHNTFB RDV UTF VURDC &WZXYG VI VTYF OLIUH nnnnnnnnnnnnnnnnnn------------€€€€€€€€€----$!!!!!!!!
Harp> uno dei soliti idioti…
SuperXXX> a ki, idiota? era il mio saluto!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Harp> non sei benvenuto qui
SuperXXX>sllllllllllllllllllllaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaammmmmmmmmmmm (DOOR CLOSED) JL
SuperXXX>>>LOGGED OUT
Devilden> di ke si parla qui?
Arianna> di tutto un po’ Devil, a te ke interessa??? J
Devilden> politica, scienza… libri?
Arianna>>> LOGGED OUT
Harp>Ari dove vai???
Harp>>>LOGGED OUT
Devilden>ehi, c’è nessuno?
Devilden>>>LOGGED OUT
-------------------------------------
Daniel si alzò dalla sedia posta davanti al terminale, dandosi dell’idiota per l’ennesima volta. Aveva usato un nick accattivante per quelli della sua età, “Devilden”, ma non era servito a molto, nemmeno in quest’occasione.
-Devo essere meno diretto, la gente se ne va appena sente una delle magiche parole che esprimono i miei veri interessi… forse se iniziassi a parlare di baseball…
Il ragazzo aveva tredici anni, ed era molto solo. Nella vita reale come in internet, nelle chat in cui si rifugiava nel tentativo di fare amicizie, si imbatteva di continuo in persone che trovava vacue, prive di interessi, disposte a parlare solo di videogames e indirizzi di siti porno; gli altri compagni di chat invece, quelli più grandi e magari giusto un po’ più intelligenti della media, di regola fuggivano via quando Daniel, con la sincerità di sempre, rivelava la sua età; alcuni pensavano infatti di essere presi in giro, perché un ragazzino non poteva certo avere la sua cultura e la sua intelligenza, altri non tolleravano di esser messi sotto scacco su qualunque argomento da un adolescente evidentemente troppo genialoide.
-Dan, Dan… la cena è pronta!
Il perentorio richiamo materno aveva puntualmente la capacità di spegnere il già debole appetito del ragazzo, frustrato dall’idea di dover accettare le gratuite regole, gli orari e la rigidità del menage familiare.
Spesso fantasticava di andarsene a vivere da solo, ma ogni volta cozzava contro la realtà giuridica della sua condizione di minorenne. Avere un’intelligenza ben sopra la media aveva d’altra parte accresciuto le sue responsabilità domestiche. Nonostante l’età, in casa si occupava praticamente di tutto ciò che fosse appena più complicato del bucato o della pulizia dello zerbino, e spesso gli toccava occuparsi anche di quelli; con internet controllava la contabilità dei genitori (non mancando di riservare una quota congrua per le esigenze personali) e qualunque apparato tecnico o sistema elettronico dipendeva dalla sua supervisione, dalla tivù satellitare allo scaldabagno a gas, dal sistema di allarme all’impianto dell’aria condizionata.
Fred Hamilton, il papà, era medico, e Daniel non aveva mai mostrato interesse per la sua professione; d’altra parte il ragazzo avrebbe saputo riparare uno stetoscopio o un termometro digitale, se fosse stato necessario.
Poco prima che la cena avesse inizio, come al solito la mamma aveva spento il televisore, reclamando una sacrosanta e cerimoniale attenzione alla presentazione in tavola dell’arrosto cui aveva dedicato circa tre ore di Soap Opera davanti al forno in iperventilazione.
-Dai, Cynthia!- proruppe Fred -non puoi farlo questa sera, i Tigers giocano la semifinale di campionato con i Giants, non puoi negarmi lo spettacolo!
-Se tocchi quel telecomando, Fred, esco di casa e non torno.- rispose Cynthia con calma e senza distogliere lo sguardo dal coltellaccio con cui staccava fette sottilissime dall’involto ultracotto che straripava dal piatto di portata.
-D’accordo, amore, allora facciamo un patto- rispose Fred con voce suadente -io e Dan ci impegniamo a non toccare il telecomando e la TV, ma se faremo la nostra parte, tu non protesterai per qualunque altra cosa accadrà; sei d’accordo?
Nel pronunciare le ultime parole verso la moglie nuovamente chinata sul forno nell’intento di estrarne il contorno (delle ottime patate novelle al cartoccio), Fred si era rivolto a Dan e sorridendo gli aveva strizzato l’occhio.
Cynthia non aveva capito completamente il senso della frase, ma si era illusa di aver in qualche modo vinto, e perciò accettò il patto. A quel punto, senza che Fred dovesse chiederglielo, Dan prese il telecomando del condizionatore d’aria, lo puntò verso la TV e schiacciò contemporaneamente il pulsante di accensione ed il timer; la TV si riaccese, e proprio sul canale che trasmetteva la telecronaca della partita.
-Vedi, cara? ho mantenuto la parola, ora siedi, per favore, e ceniamo…- disse Fred, soddisfatto della complicità tra la sua bassa astuzia e le alte doti del figliolo.
Fred sapeva che Daniel aveva scoperto proprio il giorno prima che la frequenza del timer del telecomando del condizionatore interferiva con quella della TV se si pigiava contemporaneamente anche il tasto di accensione, e così la povera Cynthia era dovuta soccombere ancora una volta all’alleanza tra un marito intossicato dal baseball e un figlio capace di far funzionare qualunque aggeggio elettrico, a dire di lei, con la sola forza del pensiero.
-Rispetterò il patto…- disse Cynthia, con aria ora depressa e sconsolata.
La cena fu breve e la partita fu lunga; i Tigers vinsero l’incontro e Fred iniziò a gustare l’attesa della finale, che si sarebbe svolta dopo appena due giorni. A fine pasto Daniel tornò di corsa nella sua stanza e riaccese il computer. Si collegò con il sito dell’Università di San Francisco, perché sapeva che a quell’ora gli studenti imperversavano in rete; superò i firewall e le criptature a password di una mezza dozzina di livelli di sicurezza e si ritrovò in una chat room dal nome accattivante: “Prophecies”; sulla scia della partita appena conclusa, si inventò un altro Nickname.
YOU ARE NOW LOGGED IN AS "TIGER".
Tiger> ehi, c’è nessuno?
BuzBoy65> ciao Tiger come butta???
Rapper80> Ciao brother!!!
BeachSquaw> Hola amigo…
Tiger>wow, quanta gente…
Rapper80> 6 nel posto più figo della rete, brother!!!
Tiger> qualcuno ha visto la partita stasera?
Shockwave> scontata, scontata…
Rapper80> ho goduto come un riccio, i Giants avevano eliminato i Lakers una settimana fa…
BuzBoy65> ‘fanculo, Lakers, qui è la centrale dei Giganti L
Beachsquaw> ke palle, con questo cavolo di baseball L L L !!!
Beachsquaw >>>LOGGED OUT
Rapper80> roba ke le sorelline non possono capire, eh Tigre???
Tiger> già J
BuzBoy65> non avete speranza in finale à ----@NY vi faranno il culo J J
Tiger> dici, Boy?
Rapper80> io tiferò ancora le Tigri, i debiti sono debiti
BuzBoy65> Shock, sei in bagno? come la vedi?
Shockwave> scontato…
Tiger> non sai dire altro? J tutti scontati i risultati?
Rapper80> Brothers vi saluto
Rapper80 >>>LOGGED OUT
Shockwave> be’ ti parlo da un osservatorio
BuzBoy65> ????
Shockwave> privilegiato J lol
BuzBoy65> wow parli difficile vi saluto guys
Tiger> sei dell’ambiente?
Shockwave> che ambiente?
Tiger> BB hai presente? battitori, ricevitori, pentagono? lol
Shockwave> na na na figurati!
Tiger> ?
Shockwave> non posso dirti di più Tigre, guardati la finale dopodomani e ne riparliamo. Ah non impressionarti se Charlie Bell al quinto inning si toglie una caccola dal naso J ci sarà da ridere ridere ridere
Tiger> J punteggio?
Shockwave> 5-0 partita perfetta, il campionato è tutto vostro J
Tiger> partita perfetta… ah certo, a dopodomani allora
Shockwave >>>LOGGED OUT - YOU ARE THE ONLY ONE IN THIS ROOM
Dan pensò di aver incontrato il solito sbruffone di poche parole; se ne incontravano spesso di tipi così: se ci avesse azzeccato, avrebbe pensato di guadagnarsi un’ammirazione totale e di diventare magari una “leggenda” della rete. Ma Dan conosceva bene quel genere di Chatter. Tutto sommato però, sembrava simpatico.
Giunsero le cinque del giorno della finale; allo scoccare del minuto d’avvio del primo tempo mancavano solo quattr’ore.
Fred aveva pensato a tutto.
Cynthia sarebbe stata fuori tutta la serata al corso di scultura e Daniel aveva scelto di restare in casa. Che strano, pensò il padre, quella sera il ragazzo mostrava un interesse per lo sport che non si era mai visto in precedenza. Mezza Hartbury, il quartiere in cui la famiglia viveva, era stata invitata a casa, e Dan dovette aiutare il padre a scaricare quattro dozzine di casse di birra e metterle in fresco. Poi gli toccò tosare il giardino, andare a far la spesa da Jessie il macellaio, preparare il barbecue e nel frattempo ordinare, per tipo, tutta la carne destinata alla serata; le salsicce di pollo in alto, per prime, Fred diceva che fossero troppo pesanti per essere ancora gradite a pasto inoltrato; e poi le coste d’agnello, le bistecche e il maiale. Il maiale per ultimo, considerato che un paio di amici erano musulmani praticanti, e quindi le avrebbero mangiate solo dopo aver ingurgitato una dose sufficiente di birra doppio malto che avrebbero fatto finta di credere analcolica.
A cucinare la carne tutti avrebbero pensato in prima persona, usando le cinque griglie del set multi-uso che, come tutto il resto, Fred aveva acquistato con il fondo-cassa costituito da tutti gli invitati. A un’ora dall’inizio del match Fred chiese inoltre al figliolo di montare il mega-schermo al plasma in giardino. Lui ci avrebbe messo dieci minuti al massimo.
Quella sera, Dan avrebbe fatto di tutto pur di essere ammesso tra le fila del pubblico; stava ancora pensando a quella battuta di Shockwave; quella schifezza di storia delle caccole del battitore dei Tigers.
Verso le otto e mezza il fiume di tifosi iniziò a scorrere in casa Hamilton. Una marea umana, affamata, di colore giallo e nero, quello della squadra dei circa trecento cuori di tigrotti confluiti nel giardino. Il profumo dell’agnello iniziò a pervadere l’atmosfera e impregnare gli abiti dei convenuti, circa la metà dei quali erano già fatti di ottima birra irlandese prima dell’inizio della partita.
Dan non mangiò molto, si accontentò di un poco di pane e un’insalata verde; odiava la carne. I Tigers accumulavano strike, e il battitore, Charlie Bell, sembrava davvero avviarsi ad uno shutout, quel tipo di partita in cui l’attacco avversario rimane a zero; perfino Daniel, che di baseball non capiva poi molto oltre alle semplici regole di base, riusciva a rendersene conto. La marea umana era sull’orlo del deliquio; l’unico rumore che interrompeva le ripetute urla di gioioso incitamento erano i fragorosi rutti all’aroma di luppolo. Al quinto inning la telecamera in campo strinse sugli occhi vitrei del battitore.
Di Charlie si sapeva che era in grado di isolarsi completamente dalla massa che tentava inutilmente di soverchiarlo con grida e insulti nello stadio a lui ostile (i Tigers giocavano fuori casa), e i cameraman si divertivano spesso a riprenderlo in primo piano per evidenziare il muto e sottile movimento delle sue labbra, mentre parlava a se stesso per calmarsi e concentrarsi.
E accadde l’impossibile.
Prima di battere l’ennesimo strike, Charlie si infilo l’indice destro nel naso e ne estrasse in tutta calma quel che altro non poteva essere che un molesto detrito organico delle sue mucose. Il tutto avvenne sotto lo sguardo divertito e schifato di milioni di telespettatori collegati in diretta.
-Ehi, la concentrazione è concentrazione!- gridò Ben Hastings, il capo infermiere del reparto di neuropsichiatria, stimolando una grassa e sonora risata collettiva che stemperò il misto di tensione sportiva e senso di vergogna che si erano alternati nell’animo degli spettatori, nel giardino di casa Hamilton.
E fu il sesto strike della partita, che si concluse, due ore più tardi, con un netto cinque a zero che regalò ai Tigers la coppa del campionato nazionale. Partita perfetta. Dan ebbe i brividi e corse in stanza; aveva lasciato il PC acceso e si ricollegò immediatamente al sito della “SF University”, che aveva salvato tra i favoriti.
Saltò da una chatroom all’altra, alla ricerca del misterioso interlocutore.
Maledizione, pensò, come si chiamava la room in cui ho incontrato Shockwave?Ma certo, Profezie, non potrebbe essere altrimenti! sarà stato Shockwave a crearla con quel nome! Eccola qui, wow, quanti utenti collegati.
YOU ARE NOW LOGGED INTO “PROPHECIES” CHATROOM.
Daniel scorse la lunga lista verticale a sinistra della finestra di dialogo della chat alla ricerca di Shockwave, e finalmente lo vide. Per accorciare i tempi, decise di mandargli un messaggio privato ciccando sul suo nome. Ma l’amico misterioso fu più rapido, e la finestrella dei messaggi privati, invisibili agli altri utenti della chatroom, si aprì in basso a destra sul monitor del computer del ragazzo:
Shockwave>PRIVATE MESSAGE> ti stavo aspettando J
Tiger> PRIVATE MESSAGE> sono senza parole…
Shockwave> PRIVATE MESSAGE> ho creato una room privata, si chiama Shock, vediamoci là
Shockwave>>> LOGGED OUT
YOU ARE INVITED TO PRIVATE ROOM “SHOCK”
YOU ARE NOW LOGGED INTO “SHOCK” CHATROOM
Tiger> come cavolo hai fatto?
Shockwave> è successo?
Tiger> certo che è successo, dannazione non hai visto la TV?
Shockwave> L
Tiger> ?
Shockwave> no, non ne ero in grado
Tiger> ????????????????????
Shockwave> dalle mie parti… non si usa
Tiger> X favore!!!!????
Shockwave> te l’ho detto ieri il mio è un osservatorio PRIVILEGIATO J J
Tiger> amico, devo fare un bagaglio lungo 10 gg - X fav sii + chiaro, non ho tempo ****!!!!
Shockwave> non sono uno svitato, Tigre
Shockwave> …ma dove te ne vai di bello?
Tiger> papà ci porta a SF, ha preso dieci giorni di ferie
Shockwave> L
Tiger> ???????????????????????
Shockwave> non voglio perderti
Tiger> ehi non sarai mica GAY?
Shockwave> X fav ascoltami bene
Tiger> sono tutto orekki
Shockwave> non posso dirti molto - potrebbero esserci ”ascoltatori” indesiderati
Tiger> ki?
Shockwave> volerete United?
Tiger> ho fatto io i biglietti… non ricordo - aspetta ke controllo……..
Shockwave> THKS! J
Tiger> YES
Shockwave> bella forza eh? è l’unico volo a quell’ora, giusto?
Tiger> Xkè tutte queste domande???
Shockwave> non devi partire, amico
Tiger> non mettermi addosso altra paura, io odio volare L
Shockwave> so ke ora ti fidi di me. Non dovete partire, né tu né i tuoi. Fa’ quel che puoi, convincili. Charlie Bell era una partita. Qui si parla di morire.
Tiger> ma ki diavolo 6 TU ????
Shockwave> non posso dirti molto te l’ho detto - dammi retta - fidati ancora. Quell’aereo cadrà. Credimi, ti prego. Precipiterà.
Tiger> 6 un maledetto ti rendi conto?
Shockwave> domani sera la penserai diversamente DEVI CREDERMI !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Tiger> KE DIAVOLO POSSO FARE? anche se ti credessi……….????????????
Shockwave> non sei tu il genio di casa?
Tiger> ma come fai a sapere…
Shockwave> so MOLTE cose
Tiger> perché dovrei crederti?
Shockwave> Xké se anche io ti stessi prendendo in giro al massimo avreste perso un volo e partireste il giorno dopo
Shockwave> ma i voli saranno fermi in tutto il tuo paese da domani sera, e non partirete
Tiger> ma ke diavolo stai blaterando? non sei americano?
Shockwave> parlo di un massacro che cambierà tutte le nostre vite
Shockwave> no, io sono inglese, sono a Londra ora
Tiger> ho paura
Shockwave> e allora? farai come ho detto?
Tiger> ti avverto, sto chiamando la polizia
Shockwave> non lo farai, se sei così intelligente come penso
Tiger> devo andare
Shockwave> aspetta. Fra qualche ora, al telegiornale della notte ci saranno i titoli di domani; guarda il NYT - leggerai “Il Presidente Bush dal suo Ranch in Texas si pronuncia sul prezzo del petrolio”
Tiger> come fai? come fai? come fai?
Shockwave> devi convincerli. Convinci Fred e Cynthia. E se non ce la fai, inventati qualcosa. Non conosco i dettagli, ma so che ce la farai. Devi farcela Tiger.
Shockwave>>> LOGGED OUT
Tiger> aspetta bastardo! dove vai? dove sei?
Tiger> ci sei ancora?
Tiger>---------------------------
-----------------------------------
Il PC di Daniel era ancora acceso sulla finestra ormai bianca della chatroom privata “shock” dell’Università di San Francisco. Il ragazzo tremava come una foglia quando fu raggiunto dalla placida voce materna che risuonava sgradevole dal piano di sotto:
-Daniel, stai facendo il tuo bagaglio?
-Mamma… no, cioè sì, certo, non preoccuparti…-rispose con voce debole e rauca, sforzandosi di sembrare normale.
Cynthia era rientrata dal corso di scultura. Erano le undici e mezza della sera del 10 settembre 2001.
2. Azione!
Daniel Hamilton chiuse la porta della sua stanza e iniziò a passeggiare nervosamente in circolo, deciso a trovare una via di fuga da quell’incubo, una soluzione di compromesso, un’opinione valida sull’accaduto, un giudizio, cui aggrapparsi per sapere cosa fosse più opportuno fare. Doveva ignorare tutto? O avvisare qualcuno? Chiedere consiglio? Chiamare la polizia? Qualunque idea fra quelle che gli vennero in mente conteneva difetti e rischi inaccettabili.
Si fermò davanti allo specchio sul retro della porta e iniziò a parlare da solo, guardandosi dritto negli occhi, che vide pieni del proprio terrore; ripeteva una sola frase, come un disco rotto:
-Non può essere vero…
Un’intuizione balenò nella sua mente, una luce che per un istante squarciò il buio che gli impediva di ragionare; vide le proprie pupille dilatarsi nell’immagine riflessa e la sua bocca muoversi per dargli un suggerimento estremo:
-Il testo della chat deve essere ancora in memoria!
Si rivolse al PC e senza sedersi scrollò la finestra di dialogo verso l’alto.
Ogni parola, ogni “smile”, ogni punto esclamativo della folle conversazione, compresa l’inappellabile sentenza di morte, erano ancora lì. Pensò di stampare tutto e farlo vedere ai genitori, poi decise invece di salvare il testo in un file di memoria.
-Prova di cosa?- si disse ancora -dell’incontro con un mitomane? Rilesse tutta la chat e così vide la previsione delle esatte parole del titolo del quotidiano, il New York Times. Ricordò e sobbalzò; il telegiornale della notte doveva essere già iniziato, accese la TV su “Newspapers highlights”, il canale che anticipava la rassegna stampa del giorno successivo, e attese che il commentatore arrivasse, fra i tanti giornali, al NYT, sperando che non lo avesse già accantonato. Non era così. Il titolo corrispondeva esattamente, sillaba dopo sillaba: “Il Presidente Bush dal suo Ranch in Texas si pronuncia sul prezzo del petrolio”.
Non c’era stato il tempo di chiamare i genitori ad assistere a quella dimostrazione tangibile delle capacità profetiche di Shockwave, e Daniel si rese conto che aveva appena bruciato l’ultima prova, che era solo la seconda, dopo il caso di Charlie, il battitore dei Tigers, del fatto che tutta la storia non era frutto della sua fantasia di adolescente “inquieto” (era così che una volta una sedicente insegnante della sua scuola lo aveva definito).
Riaprì il file in cui aveva salvato il testo della chat.
“Convinci Fred e Cynthia”… come diavolo faceva a sapere i loro nomi?
Pensò che si trattasse di un mitomane, qualcuno che doveva conoscere, e che magari di lui e della sua famiglia poteva sapere molte, troppe cose.
Tentò di cliccare sul nome di Shockwave, sperando che si aprisse un profilo utente in cui trovare qualche informazione. Sapeva che si trattava di un tentativo inutile, nessuno lascia mai tracce della sua vera identità in una chat in internet, ma volle provare comunque.
Nick: Shockwave
Messages: 45
Grade: Starter
Location: UK
Sex: M
Age: 30
E-mail address:
URL:
-Nessuna informazione utile, naturalmente!- esclamò Daniel con la mente ancora scossa dall’assurdità della situazione -sempre che quel poco che è scritto qui sia vero.
Il ragazzo tentò di calmarsi. “La paura uccide la mente”, continuava a ripetersi le parole dell’ultimo romanzo che aveva letto con passione, e vide che funzionava; si calmò.
Quel bastardo di Shockwave aveva dimostrato che era in grado di prevedere il futuro, anzi, di più, sembrava conoscerlo alla perfezione. “Scontato” era la parola che aveva usato nel giudicare i risultati delle partite di baseball.
Daniel prese la sua decisione.
Non aveva nessuna speranza di convincere i genitori a rinunciare a salire su quell’aereo. Il solo tentare di farlo avrebbe peggiorato la situazione; loro si sarebbero preoccupati per lui, e al massimo avrebbe ottenuto di non partire lui e lui solo, rinunciando alla vacanza, come già del resto era accaduto in passato.
Pensò che ci fosse solo una cosa da fare: usare la casa. Era lui che la conosceva a fondo, e meglio di tutti, era lui che la governava. Avrebbe agito di notte, in silenzio. Si arrampicò in cima all’armadio, tirò giù la sua valigia ed ebbe cura di prepararla come se fosse davvero intenzionato a partire; sapeva che sua madre l’avrebbe controllata, perciò non tralasciò nulla che potesse far pensare a Cynthia che quello non fosse il bagaglio per le vacanze; nelle tasche esterne infilò anche tutti gli accessori del computer portatile, che però lasciò acceso sul tavolo.
Quando la mamma salì a controllare gli chiese come mai il ragazzo non avesse ancora impacchettato il PC nella borsa trasparente per il Metal Detector del gate aeroportuale, e lui rispose che prima di dormire avrebbe dovuto inviare dei messaggi di posta elettronica per avvisare alcuni amici della partenza; ovviamente Cynthia non sospettò nulla e gli augurò la buonanotte; chiuse la porta e uscì.
Da qual momento in poi Daniel iniziò a scrivere su un foglio di carta tutte le operazioni che avrebbe dovuto portare a termine nelle ore successive. Non poteva permettersi di tralasciare nulla, e scrivere con cura ogni passaggio lo avrebbe aiutato a mettere ordine nella sua testa.
Il volo UA 456 per San Francisco sarebbe decollato alle ore 10.30 del mattino successivo; questo significava che la famiglia Hamilton al completo avrebbe raggiunto l’aeroporto cittadino con la solita puntualità alle ore 9.30, mezz’ora prima dell’imbarco. Ci volevano almeno cinquanta minuti di highway per raggiungerlo, per cui Fred e Cynthia avevano probabilmente programmato la sveglia per le sette e mezza o giù di lì. Inoltre, Daniel aveva sentito il papà armeggiare in silenzio con il telefono, a significare che Fred aveva probabilmente impostato anche una chiamata di sveglia telefonica; per nulla al mondo l'uomo avrebbe rinunciato a quel viaggio dal caro fratello Benjamin, ricercatore universitario, il più intelligente di tre figli, residente nella variopinta e chiassosa Berkeley.
Tutto quello che doveva fare era metter mano a tutti gli orologi e le sveglie della casa, ritardandoli di un paio d’ore al massimo. Tutti si sarebbero svegliati alle 9 e mezza, ormai troppo in ritardo per prendere quel maledetto aereo; lui invece, oh lui non avrebbe dormito affatto, di questo era ben consapevole, anzi avrebbe atteso le sette e trenta per verificare che nessuno si alzasse.
Naturalmente c’erano dei rischi; il primo era rappresentato dai risvegli occasionali: cosa sarebbe accaduto se uno dei genitori, recandosi in bagno, avesse notato la luce entrare dalle finestre, incompatibile con l’orario segnato da orologi e sveglie varie? La soluzione era alla sua portata: fortunatamente i comandi di apertura e chiusura delle tende erano computerizzati, e dalla sua stessa stanza Daniel si sarebbe collegato con il PC alla centralina elettronica perché la luce entrasse non prima delle 9.00 del mattino.
Iniziò quindi a collegarsi dal computer direttamente alla centralina e ri-programmò tutto l’impianto di allarme; i sistemi di protezione delle finestre e delle porte si sarebbero disattivati solo alle 9.30; il timer di tutto l’impianto fu spostato indietro di due ore.
Sempre concentrato sulla sua postazione internet, Daniel si collegò poi con la centrale AT&T e trovò facilmente l’ordine di sveglia telefonica inoltrato da Fred, e lo disattivò.
La sirena d’ingresso della fabbrica!
Maledizione, pensò, la fabbrica della Chrysler, situata a due chilometri di distanza, suonava il segnale di ingresso degli operai delle linee produttive alle otto in punto, ogni santo giorno.
Daniel non si perse d’animo; si collegò al sito commerciale dell’impianto, dove era già entrato varie volte per visitare gli schemi di produzione dei nuovi modelli delle auto sportive, e dopo circa un’ora riuscì ad accedere alla rete di controllo interno della sicurezza dello stabile. Inserì nel driver del PC uno dei CD contrassegnati dall’immagine di un delfino con il termometro, simbolo personale che usava per classificare i virus informatici che aveva neutralizzato e salvato, isolò il virus in un sistema di protezione a rilascio controllato e temporizzato che aveva inventato lui stesso, e lo spedì dritto nella casella di posta elettronica dell’operatore più basso in grado della fabbrica Chrysler. La casella meno protetta di tutta la rete intranet dell’impianto produttivo, sperò. Da lì, il virus avrebbe raggiunto tutta la rete dell’azienda in pochi minuti, viaggiando di casella in casella di posta. Il virus che aveva scelto, “Captain Time” aveva la caratteristica di mandare in tilt i timer di qualunque sistema operativo, senza causare altri danni seri. Quella sirena non avrebbe più funzionato per qualche giorno (o così almeno sperava), e così probabilmente tutta la linea di produzione e assemblaggio della fabbrica Chrysler di West Hartbury.
Qualcuno lo avrebbe sicuramente scoperto, ma ci sarebbero voluti diversi giorni per arrivare a lui, e questa fu l’ultima delle sue preoccupazioni durante quel benigno atto di pirateria informatica. Per un attimo fu orgoglioso di sé, e della sua capacità di arrivare a manomettere qualunque schema di protezione.
Poi si bloccò.
Potrei salvare molta più gente, pensò. Se entrassi nel sito della United Airlines, potrei evitare o ritardare la partenza dell’aereo! Al magnanimo pensiero di salvare l’umanità, nella sua testa fece seguito l’immagine in diretta TV nazionale di un ragazzo che aveva boicottato una delle compagnie aeree più grosse del paese, arrestato in flagranza di reato con il PC ancora tra le braccia e proiettato verso un’accusa di terrorismo internazionale. Altro che spionaggio industriale ai danni della Chrysler.
-Potrebbe essere proprio quello che quel pazzo di Shockwave vuole che io faccia…- mormorò, assalito da dubbi e sospetti dell’ultima ora.
Decise di limitarsi alla sua famiglia; non poteva salvare il mondo!
Erano passate almeno due ore, e i genitori dormivano; era il momento di passare alla fase più grossolana ma anche la più importante di tutte.
Controllò la chiusura del cinturino dell’orologio da polso, che da qual momento in poi sarebbe stato la sua Greenwich personale, indossò le calze invernali di lana spessa e pesante e iniziò a scendere le scale. La porta della stanza da letto dei genitori era aperta, come sempre.
Sentì Fred russare di un sonno beato, e vide che la madre, più vicina alla porta d’ingresso, aveva gli occhi chiusi e agitati dai soliti incubi; per un attimo ebbe paura che si potesse svegliare gridando, come era accaduto già varie volte, a causa di quei sogni mostruosi che le capitavano non di rado.
Dovette aggirare il grande letto in ottone, e lo fece senza staccare lo sguardo dagli occhi chiusi di Cynthia; così raggiunse la radiosveglia di Fred e si chinò a controllare se fosse collegata all’alimentatore. Per fortuna era staccata; vide l’involucro vuoto in plastica delle due batterie che il padre doveva aver montato prima di addormentarsi e fu così certo che avrebbe potuto sollevare il vecchio aggeggio senza tirarsi dietro il cavo elettrico.
Così facendo, urtò con l’apparecchio, che era vecchio, pesante e ingombrante, il piccolo lume posto sul comodino; lo vide vacillare e lo bloccò con la mano destra, mentre la sinistra impugnava ancora la radiosveglia, non troppo fortemente. Fermò il paralume che ancora oscillava e tornò a mantenere saldamente la sveglia con tutt’e due le mani. Si obbligò a continuare a procedere lento, sempre fissando gli occhi materni e rincuorato dal russare roboante e instancabile del padre.
Uscì dalla stanza ed entrò in soggiorno. Si accasciò in terra, dietro al divano, sotto la tenda della grande finestra, e cercando di fare meno rumore possibile iniziò ad armeggiare con i vecchi pulsanti dell’apparecchio, allo scopo di lasciare intatto l’orario di sveglia, modificando invece l’ora attuale, che portò indietro di due ore. Fatto. Il display a cristalli liquidi indicava l’una della notte, mentre erano in realtà ormai le tre in punto. Si guardò intorno, si rialzò e con la stessa prudenza sgattaiolò nuovamente verso la stanza dei genitori. Giunto in prossimità del grande letto in ottone, fu congelato dalla paura.
Aveva visto chiaramente che accanto a Fred lo spazio era vuoto. Cynthia era in bagno!
La sentì tossire.
Si voltò in fretta e uscì, senza troppo badare al rumore che fece. Il bagno in cui sua madre era andata si trovava sul lato opposto della stanza, di fronte al lato del letto dove dormiva Fred, per cui lei non poteva averlo visto entrare e poi uscire.
Dan sperò che sua madre, nel sonno, non notasse l'assenza della luce rossa sparata nel buio dal display della vecchia sveglia del marito; si accovacciò di nuovo dietro al divano e si costrinse ad attendere mezz’ora precisa, il tempo necessario perché lei riacquistasse un sonno profondo. Non poteva permettersi il minimo errore. Alla fine il giovane Daniel riuscì nell’impresa.
Poi passò a tutti gli altri orologi di casa; dannazione, quanti ce n’erano!
Il grande orologio appeso sulla parete posteriore della cucina, il pendolo in ingresso, l’orologio a cucù, comprato in Europa, sul tavolo del salone, il piccolo e rumoroso orologio in argento della nonna, in corridoio, e persino l’altra vecchia radio-sveglia in ingresso; quest’ultima segnava mezzogiorno a qualunque ora, per cui solo in questo caso decise di non intervenire.
Ogni volta, il suo riferimento era il suo orologio da polso, l’unico che riportava l’ora reale. Tornando nella sua stanza buttò un occhio alla centralina dell’impianto di allarme, che segnava le ore 1,43 della notte, secondo la ri-programmazione effettuata qualche ora prima.
Il piano sembrava procedere bene: casa Hamilton era tornata due ore indietro nel tempo. Due ore, che avrebbero salvato la vita a tutti o, in alternativa, che gli sarebbero costate una sequela interminabile e dolorosa di atti di ritorsione e punizione. Nella penombra della sua stanza, con la sola piccola luce verde accesa vicino al PC, Daniel ripassava tutti i punti del piano sul foglio di carta; sembrava che nulla fosse stato dimenticato.
Il ragazzo continuò a navigare in internet; controllò il sito della United, che dava il volo per San Francisco in perfetto orario. Rientrò nella chat della SFU, ma non c’era traccia di Shockwave in nessuna chatroom in cui entrò. Guardava l’orologio almeno una volta ogni cinque minuti. Quella notte fu interminabile. Alle 7,20 (ora reale) aprì la porta della sua stanza e attese impaziente l’arrivo delle 7,30 che nel nuovo fuso orario privato e segreto di casa Hamilton corrispondevano alle 5,30.
Nessun rumore. Nessuna sveglia. Tende chiuse. Notte fonda, in casa, ancora.
Si rilassò e sprofondò nella sua poltroncina. E’ fatta, pensò.
Alle 7,45 un rumore intenso, squillante, acuto, intermittente, insopportabile, letale, devastò la quiete della finta notte creata da Daniel. Il ragazzo gemette e imprecò a bassa voce, dandosi violente botte in testa, fino quasi a piangere. Il cellulare!
Quell’uomo ossessivo e previdente, suo padre, aveva anche programmato la sveglia del cellulare; chi diavolo glielo aveva insegnato, a lui, che a malapena era in grado di effettuare una chiamata?
La consueta cascata dei rumori associati al primo risveglio seguì, intensificata dalla consapevolezza dell’imminente partenza.
-Fred! Fred! è la tua sveglia?!
-Cynthia, amore, non capisco.- disse l’uomo ancora assonnato -E’ tardi, avevo messo altre sveglie per almeno quindici minuti fa…
Fred guardò la radio-sveglia, segnava le 5,45. D’istinto, volle dirimere la questione; si alzò di scatto e forzò le tendine rigide della finestra, e vide la luce del sole.
-Cynthia!- gridò! la mia sveglia si deve essere fermata durante la notte! e il sistema non ha alzato le tende, maledizione, oggi non funziona nulla in questa casa?
-Fred, non avevi programmato il telefono perché ti chiamassero?
-Già… quegli idioti della AT&T, vatti a fidare! meno male che avevo programmato anche il mio cellulare. Dai, amore, alziamoci, siamo già in ritardo, l’aereo non ci aspetta!
Le sorrise, felice che le ferie stessero iniziando, sebbene in quel modo. Per un attimo, Daniel ebbe pietà per quell’uomo che viveva in funzione delle sue brevi vacanze e del football. Poi passò ad esaminare la situazione con obiettività, e prese atto del proprio insuccesso.
-Dan, Dan! sveglia!- gridò Cynthia verso la scala che portava alla sua stanza.
Non ci metteranno molto a capire, pensò Daniel.
Fred aveva raggiungo la cucina, aveva preso il cartone del latte, un bicchiere, e si era seduto a tavola, e il grande orologio segnava le 5,50… Si alzò, corse per tutta casa: il pendolo, il cucù, tutto segnava la stessa ora!
-Dan!- gridò con forza- Dan, che diavolo succede? Gli orologi… ne sai nulla? Gli orologi, Daniel!
Fred balzò sulle scale e le salì in fretta. Nel farlo, vide che il sistema di allarme era stato chiaramente manomesso.
-Dan, Daniel!- gridò ancora; era fuori di sé.
Tese la mano verso il pomello della porta del ragazzo, ma non riuscì ad aprirla; iniziò a bussare, dapprima con relativa delicatezza, poi con colpi sempre più violenti e rabbiosi. Nel frattempo, Dan entrò dal PC nella centralina del sistema di allarme e selezionò l’opzione “emergency defense”, un programma che aveva sviluppato personalmente durante la notte e che prevedeva la chiusura di tutte le porte d’ingresso e il blocco delle finestre, e la disattivazione della linea telefonica. Solo digitando un codice segreto, che solo lui conosceva, il sistema si sarebbe sbloccato.
-Papà!- gridò verso la porta chiusa a chiave con due mandate -papà, non dobbiamo partire. Non possiamo salire su quell’aereo…
-Cosa vai dicendo? figliolo, stai bene?
-Papà, aspettiamo un giorno, un giorno solo, ti prego, non andiamo oggi in aeroporto.
-Fammi entrare, Daniel, e parliamo da uomo a uomo.
Quando lo chiamava con il suo nome per esteso, Daniel, il ragazzo lo sapeva, voleva dire che Fred era davvero fuori da ogni grazia celeste.
Dan era terrorizzato. Sì, farlo entrare, essere massacrato di botte e poi trascinato in aeroporto, verso… l’ignoto?
Per strada, le sirene delle auto della polizia sfrecciavano in direzione della Chrysler. Daniel si rese conto del guaio che aveva combinato, dentro e fuori casa, e per un secondo fu sul punto di aprire. Poi si ricordò del titolo del NYT e di tutto il resto, e si fermò. Accumulò tutto quel che poteva dietro la porta della sua stanza per impedire ai genitori di entrare; Fred capì e iniziò a prendere la porta a spallate. Cynthia piangeva e gridava, gridava e piangeva, implorando il marito di smetterla.
Fred era combattuto tra la rabbia per il rischio di perdere il volo e la preoccupazione per il comportamento incomprensibile del figlio.
Fred e Cynthia si resero presto conto di essere prigionieri in casa. Nemmeno il cellulare, quel maledetto cellulare che aveva rovinato i piani di Daniel, funzionava più; il ragazzo aveva provveduto a bloccare la scheda telefonica denunciandone il furto con la firma digitale del padre nel sito della compagnia, anche se questo non era servito a comprometterne la funzione di sveglia.
Per fortuna, la famiglia Hamilton perse quel volo. Era la mattina dell’11 settembre 2001.
3. Profumo di Londra
Il cielo di quella che un tempo era stata l’intramontabile capitale britannica offriva quella sera uno spettacolo di rara bellezza.
La luce del crepuscolo ammantava di rosa e viola la corte degli antichi edifici del ventitreesimo secolo del lungo viale che Francis Ocean percorreva per far ritorno a casa, a piedi come sempre. Il rumore ambientale era stranamente accettabile quel giorno, ed anche il livello di fonopatia che si affacciava ai suoi ventricoli corticali era basso. Francis era un uomo all’antica, uno dei pochi inglesi che nel trentaseiesimo secolo, avendo avuto in eredità genetica due vestiboli auricolari perfettamente funzionanti, non se li era fatti atrofizzare chirurgicamente. Secondo i medici il rischio di tumore sarebbe stato alto, soprattutto in ambienti particolarmente rumorosi (e tali erano diventati la maggioranza dei luoghi e delle situazioni quotidiane), ma a Francis questo avviso non aveva mai destato troppe preoccupazioni. E poi, amava troppo leggere ad alta fonopatia e ascoltare la sua voce con le orecchie, oltre che con la mente; sosteneva che in quel modo le immagini acquistassero una specie di “tridimensionalità”, uno spessore, non solo fisico, altrimenti impossibile, ma quasi nessuno era in grado di capire cosa intendesse davvero. Essendo un antropo-storico, né i medici, né i famigliari o gli amici avevano mai osato dubitare di quanto per lui quella strana cosa, l’udito, fosse importante per il suo lavoro.
Ormai tutti parlavano, e ovviamente udivano, con la mente, mentre Francis si chiedeva spesso come sarebbe potuto essere bello utilizzare le corde vocali, ma quelle… quelle purtroppo ormai non le aveva più nessuno. I più fortunati ne conservavano qualche filamento pluricellulare ipotrofico e inattivo, che in genere veniva asportato.
Avendo il dono prezioso dell’udito, Francis intuiva quale dovesse essere il meccanismo attraverso cui il suo cervello doveva poter produrre gli impulsi della parola, e pur sapendo di fallire si era sforzato di parlare tante volte. Era come se la capacità di generare quell’impulso fosse ancora viva e vegeta nella corteccia cerebrale di ogni essere umano, ed in effetti come antropo-storico Francis riteneva che la cosa fosse più che plausibile. Ogni volta che tentava di parlare arrivava ad emettere rumori gutturali convulsi, a volte spaventosi, e scopriva nuove sonorità. Poi finiva immancabilmente con l’espettorare copiosamente, in preda ad una nausea incontenibile.
Pensava spesso con ironia ai secoli di rapido sviluppo del pensiero telepatico e di altrettanto rapida caduta nel silenzio che avevano prodotto questa particolare piega dell’evoluzione umana.
Pensava alla musica, alla poesia, e si rendeva conto, lui che poteva ancora scegliere come ascoltarle, di quanto fosse fortunato a poterlo fare con le sue orecchie, a poter riconoscere la stonatura di un violino scordato o l’emozione di una corda vocale troppo secca. A poter comprendere come rumori e suoni provenissero, in origine, dal movimento fisico delle cose che li producevano.
Camminava con passo lento e continuava a pensare che prima o poi tutti quei tentativi che faceva ormai ogni giorno, infinite volte, nella biblioteca dove lavorava, avrebbero dovuto sortire un effetto tangibile. Non poteva non essere così. Sentiva di aver bisogno di credere fino in fondo a questo pensiero; quasi da quando, sei mesi prima, aveva ricevuto quell’assurdo messaggio di posta elettropatica, non pensava ad altro che ad eseguire minuziosamente il lavoro di ricerca secondo le istruzioni in esso riportate.
All’inizio, aveva pensato che fosse uno scherzo di pessimo gusto; poi si era messo a verificare tutte le informazioni, gli indizi storici, e aveva dato una certo grado di credibilità al misterioso mittente. A preoccuparlo, in effetti, non era stato tanto il fatto che il messaggio provenisse dal passato; non era la prima volta che questo accadeva, per quanto simili episodi non si verificassero troppo frequentemente, da quando i filtri temporali bloccavano tutto quel che era ritenuto troppo “vecchio”, e che continuava a vagare nell’etere fino a scivolare lungo le pieghe del tempo, dapprima attraverso il vecchio “Internet”, poi con la Rete Virtuale Multisensoriale, e infine con le prime Reti Telepatiche, fino al giorno d’oggi.
Era stato piuttosto il contenuto di quel messaggio che lo aveva scosso, e non poco. Ogni giorno pensava molto seriamente a quelle parole, e ogni giorno tentava di rintracciarne il mittente.
In biblioteca, se ne andava in bagno almeno una volta ogni ora, si sedeva sul WC, applicava i contatti alle tempie e si collegava con l’elettrosinapsificatore. Tutti i colleghi pensavano che il vecchio Frank avesse problemi di prostata e la maggior parte di loro non se ne dava troppa pena. Poi, quando la sera rincasava, non mancava di fare un altro paio di collegamenti, e quando (non spesso, purtroppo) Dirkel era in casa, il nipotino gli dava una mano con un telecollegamento binario.
La Rete Telepatica Universale era un ambiente virtuale piuttosto complesso ed ostico per un vecchio di centovent’anni; ma Frank si era fatto insegnare da Dirkel tutto quello che bisognava sapere a proposito di vacuocanali ascendenti e discendenti, iper-finestre di stringa e scale multicubiche di livello. Ed era proprio al nipotino che lui pensava ogni volta che si collegava, e non solo perché Dirkel fosse il suo indiscusso maestro di telecollegamento, ma anche perché se il contenuto del messaggio fosse stato autentico, la vita stessa di Dirkel, e quella di chissà quanti altri, sarebbero state in grave pericolo.
Dirkel era il pronipote di sua sorella Esthaz.
Francis non aveva figli. Non ne aveva mai desiderati. Le donne, d’altra parte, non gli erano mai mancate.
Certo, ormai era anziano e non riteneva di poter destare troppo interesse nel “fanta-sesso” (così era soprannominato il genere femminile da ormai almeno mille anni, mentre quello maschile, di contro, veniva usualmente definito come il “razio-sesso”).
Nondimeno, le fugaci occhiate di donne di mezz’età, ancora piuttosto gradevoli, qualche volta gli lasciavano intendere che avesse ancora qualche monetina di credito da giocarsi. Di certo, Francis una donna cui legarsi per sempre non l’aveva mai trovata. Non che non l’avesse cercata, ma semplicemente non gli era mai capitato di incontrarne una che lo interessasse tanto, ecco tutto. Francis viveva da solo, ed era contento quando qualcuno del ramo familiare della sorella veniva a trovarlo, soprattutto se portava con sé il piccolo Dirkel, la vera gioia della sua vecchiaia.
Quella sera, Francis arrivò a casa esausto; la biblioteca era stata visitata da un gruppo di giovani studenti della colonia di Marte, e lui, come Direttore degli Archivi Storici, non aveva potuto esimersi dagli obblighi del caso. Questo lo aveva costretto a conciliare le puntuali visite in bagno, che non poteva permettersi di tralasciare, con gli impegni relativi al giro guidato, e per un vecchio ultrabisessantenne tutto ciò si era tradotto in una giornata per nulla facile. Si distese sul divano e tirò un sospiro di sollievo. Aveva appetito, e mangiò con gusto il pasto preparato dalla cucina automatizzata; puro agnello artico con contorno di pomelanzane e spighe fritte. La cena fu decisamente di suo gradimento. Francis si sentiva stanco, ma prima di dormire, ed anche allo scopo di facilitare la digestione, decise di collegarsi un’ultima volta.
Si sedette sul sospensore multiplo e poi ci si sdraiò sopra; avrebbero potuto starci in cinque, e comodi anche. Chiuse gli occhi e stavolta decise di collegare le piastre alla nuca; pensò che con il contributo degli impulsi del cervelletto la navigazione sarebbe stata più fantasiosa e verosimilmente più produttiva.
Prima di iniziare il collegamento, favorito dalla calma domestica che si contrapponeva alla tesa condizione di clandestinità con cui si collegava quando era in biblioteca, aveva deciso, come quasi ogni sera, di visualizzare il messaggio misterioso, e rileggerlo attentamente ancora una volta.
“Ciao, sono Danny. Vivo nell’anno 2001, ed oggi è il 12 settembre; spero che queste parole e questi numeri abbiano per te un significato. Non so se mi conosci già, ma non lo credo. Ti invio questo messaggio perché penso di aver capito che sarà solamente così che potrai fare quello che per me è già avvenuto, e cioè, salvare la mia vita e quella dei miei discendenti, sino ad arrivare a te. Se non lo farai, forse non nascerai mai. Ed è per questo che abbiamo bisogno l’uno dell’altro.
Sono arrivato a questa conclusione ragionando su chi e perché potesse aver fatto quel che è accaduto; potrei sbagliarmi, ed allora questo messaggio si perderà nel nulla. Ma se così non fosse, avrò salvato una gran quantità di gente, come tu hai salvato me ieri, 11 settembre 2001. E così, salverò anche me stesso. Non so quanto tu sia nel futuro rispetto a me, se cento o mille o più anni, ma devi essere lì, da qualche parte. Controlla, ti prego, se Daniel Hamilton, nato a New York USA il 6 gennaio 1986, fosse un tuo antenato; con i mezzi che avete da quelle parti, non dovrebbe essere difficile. Se così fosse, muoviti! Dovrai cercarmi, e dovrai farlo entro quello che per me è il 10 settembre 2001. Dovrai cercarmi nella Chat dell’Università di San Francisco. Se queste parole non significano nulla per te, ti prego di nuovo, documentati; allego un link a questo messaggio, spero che per te abbia senso. Dovrai impedirmi di salire su un aereo; se non sai cosa significhi questa parola, documentati sui trasporti terrestri del ventesimo secolo, e documentati sul terrorismo, sul famoso “Undici settembre”; troverai film, libri e tanti materiali storici, almeno… lo spero bene. Dovrai convincermi di quello che dirai, dovrai essere astuto. Dovrai leggermi il titolo dei giornali del giorno successivo, sapere cosa accadrà prima che io lo viva, e convincermi a non salire su quell’aereo, né io, né la mia famiglia. Dovrai guadagnarti la mia cieca fiducia in te e nelle tue… "profezie". Utilizzerai il nickname “Shockwave” e catturerai la mia attenzione; io sarò “Tiger”. Per me tutto questo è già avvenuto, almeno oggi, lo è. Per te, che viaggiando in rete puoi tornare indietro nel tempo, lo so, dire che io e la mia famiglia siamo morti e sepolti è un non-senso. In realtà siamo vivi mentre ti scrivo, ma per esserlo anche… ieri, e continuare ad esserlo oggi, ho bisogno di te. Capisci? dipende tutto da te, ora. Se fallirai, rischierai di non essere mai esistito; non sono in grado di dirti di più. Il giorno in cui abbiamo parlato, in Internet, ho seguito le tue tracce online, partendo dai livelli schermati del tuo profilo, e mi sono imbattuto in uno strano indirizzo di posta elettronica, che è quello che sto usando ora:
ShockWave@KonverterThirdMillenniumWire.Future.
Ho controllato, non esiste un server con questo nome. Non nella mia epoca, almeno. Suppongo che possa trattarsi di una visualizzazione grossolana che Internet fa della tua "location" nel futuro, di cui ignoro la natura. Mi affido a te, Shockwave. E ricordati, io sono il “genio” di casa; è così che mi chiamerai. Salvaci tutti. Salvati. Tuo, Daniel.”
Da quando aveva ricevuto il messaggio, Francis aveva navigato in rete per ore ed era diventato un esperto delle chat del passato, quei luoghi di quella rete così lenta e rudimentale detta “Internet”, estinta già nel ventiduesimo secolo, fino a diventare un esperto persino del gergo usato dai giovani che li frequentavano; aveva partecipato a numerosi incontri virtuali, nei quali naturalmente lui visualizzava le parole nella sua mente, e non su di un banale ed obsoleto schermo. Era da tempo che Francis si collegava inutilmente per trovare Tiger.
Quella sera, la scala multicubica fu insolitamente efficace, ed il motore di ricerca storico funzionò alla perfezione. Shockwave si collegò nella Chat e fece il suo lavoro egregiamente. Francis sperò che Daniel gli avesse creduto, e poi, nell’incertezza sugli esiti del lavoro svolto, fu preso dal timore di… scomparire da un momento all’altro.
Il giorno successivo, Francis si svegliò tardi, beatamente riposato.
Un piacevole odore di uova cucinate alla zasteriana, la maniera che preferiva, destò la sua attenzione; si alzò e seguì quel profumo, come se in qualche modo se lo fosse sempre aspettato, si affacciò alla porta della cucina e vide una giovane donna bionda, completamente nuda, che lo guardava con due grandi occhi blu sorridenti.
L’intervento del vecchio antropo-storico sugli eventi del millennio scorso doveva aver sortito ben più che l’effetto sperato.
Francis le si avvicinò, la baciò con una dolcezza che sapeva di amore, e scoprì con gioia che conosceva perfettamente il suo nome.
Nessun commento:
Posta un commento