domenica 11 settembre 2011

Il misterioso diario del giovane Piotr

Questo racconto, vincitore del Premio Nella Tela 2011 di Edizioni XII, è stato pubblicato nella raccolta "Onda d'abisso" delle Edizioni Orecchio di Van Gogh (il racconto è anche disponibile in formato audio qui).



23 marzo 1916

Oggi mi è capitato di svegliarmi sul pavimento della cabina, avvolto fra le lenzuola e la coperta, e di rammentare subito un sogno. Ero in mare aperto, su un’imbarcazione veloce e leggera, che tagliava le acque dei tropici come la lama di un coltello. Non c’erano nubi né onde, e il sole mi bruciava la pelle. Ero a cavallo della prua, come un domatore vittorioso su una belva ammansita. Gridavo felice, e le mie parole si perdevano nel vento. Ed ero un bambino.
Ho aperto gli occhi e ho guardato le altre brande: erano tutte vuote. Mi sono messo in piedi e sono schizzato fuori. Dal ponte della Bakunin ho guardato in basso, e ho visto Vladimir che si esercitava sul ghiaccio. Stava provando un nuovo esercizio: le sue sfere di legno, scagliate in aria con una mano, percorrevano in successione una traiettoria ogni volta diversa: ora la forma di un otto, ora quella di un ovale perfetto, ora i margini di un triangolo o una serie di rimbalzi immaginari, per poi tornare ad adagiarsi nel palmo dell’altra mano. Il volto del giocoliere, impassibile, era illuminato dalla luce di un sole rosso, e basso sulla linea dell’orizzonte.
Ad un tratto mi sono reso conto di quanto fosse tardi. Era notte fonda. Mi sono strofinato via il ghiaccio dal naso. Ero ancora in pigiama.
Prima o poi daranno qualcosa da fare anche a me? Ho pensato, prima di tornare in cabina.
Da quando mi sono ammalato, si arrabbiano quando lascio la branda, e sono costretto a muovermi di nascosto.
Percorrendo il corridoio, ho avvertito l’odore dei cavoli e della pancetta affumicata e mi è presa una gran fame. Così, mi sono vestito in fretta e ho preso la direzione della cucina, due ponti più in basso.
Ida e Olga pelavano patate, mentre lo stufato sbuffava e scoppiettava liberando bolle dell’aria succulenta che mi aveva attirato laggiù. Come al solito, hanno fatto finta di non accorgersi di me. Poi però Olga ha sorriso con un angolo della bocca, e io ho sentito quanto bene mi voglia.


28 marzo 1916

Stamattina sono sceso sul ghiaccio senza che nessuno me lo impedisse, e ho guardato la nave dal basso. Forzando il manto della banchisa, la chiglia della Bakunin ha creato una serie di dossi che si succedono a spina di pesce per tutta la lunghezza dello scafo.
È un po’ come se le onde del mare si fossero congelate all’istante, anche se non è proprio così che deve essere andata. Anton, il nostromo, dice che se vai abbastanza vicino alle paratie dello scafo incagliato, puoi sentire il mare che scorre e gorgoglia, proprio sotto di te. Non so se posso credergli; Anton è un fanfarone. Ad ogni modo io non ho il coraggio di farlo, perché se avesse ragione e se davvero riuscissi a sentire l’oceano, inizierei ad avere il terrore di sprofondare nell’acqua.
Potrebbe succedere, lo so, perché ho sentito qualche giorno fa i due gemelli, che stavano parlando fra una prova e l’altra.
Anatoliy, il gemello nato sei minuti prima, raccontava a Vasiliy che una volta, durante le prove del vecchio numero con gli elefanti, Barnabo, un pachiderma indiano dalla pelle nera, dopo diversi tentativi in cui non c’era stato verso di farlo muovere, aveva spiccato un salto all’improvviso, e quando era atterrato aveva aperto una voragine. Mustafà, il proprietario, che lo adorava, aveva tentato di gettarsi in acqua per salvarlo, e i presenti gli erano dovuti montare addosso in cinque per evitare che ci riuscisse. Altri avevano gettato una fune nel grosso buco nel ghiaccio, come se potesse servire a qualcosa.
Solo dopo che l’acqua era tornata a congelarsi e la voragine si era chiusa, Mustafà era stato lasciato libero, e si era ritirato in cabina per una settimana. Quando ne era uscito, aveva deciso di vendere l’altro elefante al primo gruppo di Inuit che sarebbero venuti ad assistere allo spettacolo.
Ma Vasiliy, il gemello nato sei minuti dopo, non era d’accordo. Nella sua versione dei fatti, il secondo elefante era quello che ancor oggi usiamo per il nostro spettacolo. Io non so chi fa loro abbia ragione, ma non ha importanza, perché in entrambe le versioni non c’è dubbio che l’elefante Barnabo sia annegato sotto il ghiaccio.
Poi i gemelli hanno smesso di parlare, e hanno ricominciato ad esercitarsi.
Vasiliy indicava un punto; che fosse a bordo della Bakunin, sulla banchisa, o dovunque gli paresse, Anatoliy spariva da dove si trovava e riappariva nella posizione richiesta. Vasiliy ha fatto di tutto per mettere il fratello in difficoltà, ma Anatoliy è riuscito ad apparire persino in cima al bompresso. Ho idea che Vasiliy sia invidioso di quel che il suo gemello riesce a fare. Anatoliy invece è molto generoso, perché in fondo non ha nessun bisogno di Vasiliy per stupire gli spettatori.
Mi chiedo quale sia la vera dote di Anatoliy: l’illusionismo o… l’amore. Sarà forse per colpa di quei sei minuti di vita in più.
Mentre li guardavo volersi bene a modo loro, non ho smesso di pormi sempre la stessa domanda: fino a quando resteremo qui?


30 marzo 1916

Molta agitazione a bordo.
Antip, il telegrafista, ha percorso la Bakunin in lungo e in largo, strillando ai quattro venti che convogli di truppe dell’Impero del Nord-Nord in marcia verso il Regno del Nord-Sud passeranno “più o meno a breve distanza dalla nostra nave”.
Quando è stato avvisato, il Comandante è andato su tutte le furie, e Antip ne ha pagato le conseguenze. Primo: come diavolo è venuto in mente ad Antip di gridare a tutti una notizia tanto riservata? Dopo tutto la Bakunin, benché non sia un vascello militare, issa da anni la bandiera di una delle parti in causa. Secondo: che cosa significa “più o meno a breve distanza”? Purtroppo Antip non ha saputo essere più preciso, perché il messaggio, che forse ha ricevuto per errore, era incompleto e, soprattutto, crittografato.
Essere coinvolti in una guerra non è una prospettiva allettante. D’altra parte, qualcuno ha detto che i soldati sarebbero ottimi clienti, e che potrebbero venire a vedere gli spettacoli in massa, e persino portare un po’ di allegria.
Ma non tutti, a bordo, sono di questo avviso. Avrora, la donna più bassa del mondo, si è dichiarata contraria a questa opportunità. Lei non lo ammetterà mai, ma tutti conoscono la ragione della sua ostinazione: ha paura per sua figlia, Ivanna. A differenza di sua madre, e grazie alla sola notte d’amore della vita di questa, trascorsa in compagnia di un molto affascinante e molto ubriaco uomo alto e biondo proveniente dalle province dell’Est-Nord, Ivanna è una ragazza alta, snella e desiderabile.
Una figlia così è quanto di più minaccioso possa esserci, per una madre bassa e fragile al cospetto di una torma di soldati molto alti, pesanti, affamati e infreddoliti.
So che per metterla al mondo Avrora rischiò la vita, e certo non se la farebbe portar via da uno di quegli sciagurati. Magari uno alto, bello e biondo, come il padre.
Io ho quasi diciotto anni e non so cosa darei per poter dormire con Ivanna. Talora la guardo e mi perdo nei suoi occhi, nelle sue curve dolci e nella sua bocca rossa, morbida e sottile. A volte mi sfiora, forse senza rendersene conto, ed io tremo; poi accenna un sorriso e fugge via.
Immancabilmente, la visione di tanta bellezza mi porta a ricordare di quando, nato da poche ore, venni preso a bordo della Bakunin.
Tutto ciò che so è quanto mi è stato riferito: fu la donna stravedente, a salvarmi.
Mi aveva trovato a poche centinaia di metri dal vecchio bordello del porto di Fyodorograd, infagottato in uno scialle di lana che esalava un misto di profumo per baldracca da due soldi e pesce andato a male nonostante il freddo.
Irina.
Non era solo una veggente, ma molto di più. Sapeva leggere la mente della gente, e in essa poteva vedere cosa la vita avesse in serbo per loro. Una vera dannazione, che durante gli spettacoli usava con cautela e molta, molta parsimonia.
Morì di polmonite settica tre mesi dopo avermi trovato, durante la navigazione in mare aperto. Mi dicono tutti che era tanto vecchia quanto bella, e che quando il Comandante aveva protestato per il mio arrivo, lei si fosse limitata a dirgli:
-Ho visto il futuro di questo piccolo. Tutti lo chiameranno Piotr, e starà con noi. Anche lui ha una sua dote. E noi lo ameremo.
A causa di queste donne, nella mia vita bellezza, solitudine e amore sono diventati tre elementi fra loro indissolubili.


31 marzo 1916

Noi lavoriamo ovunque il destino ci porti. In montagna come in pianura, in campagna come in città, in riva al mare, o in mezzo ad esso.
Suppongo che avessi nove anni quando il vecchio Gedeon disse questa frase mentre contemplava un orizzonte tropicale, e ricordo che a quel tempo giocavo a credermi abbastanza cresciuto, e che mi sforzai di non fantasticarci troppo sopra; liquidai le parole “lavorare in mezzo al mare” come un’espressione poetica e avvincente, ma ben lungi dallo stuzzicare la mia credulità. Avevo già iniziato a scrivere, e aspiravo ad essere considerato ben più che un moccioso cresciuto su una nave.
Ma oggi, so che Gedeon diceva semplicemente il vero.
Non è la prima volta che la Bakunin rimane intrappolata fra i ghiacci, e anzi, fra gli artisti a bordo alcuni sperano che accada, un po’ perché molti fra loro amano il gelo, un po’ perché gli spettacoli allestiti sul ghiaccio attirano molti più spettatori di quel che si potrebbe immaginare.
Ci sono le tribù del Sud che risalgono verso settentrione a caccia di uccelli e foche, e quelle dell’Est, che fuggono dai loro persecutori usando enormi slitte trainate da grossi lupi; ci sono cacciatori di frodo, pescatori di balenotteri, estrattori di olio di pesce, esploratori incauti, clandestini in transito fra i continenti e fuggiaschi in generale.
E poi c’è il Popolo delle Donne, che vive più a Nord di ogni altro, nella zona del ghiaccio perenne.
Non tutti credono che esista davvero. Io però le ho viste venire da noi, e ho parlato con una di loro. Vivono da qualche parte, vicino al polo. Hanno pochi uomini e li tengono prigionieri, e sanno come far nascere molte più bimbe che bimbi.
Per dirla tutta, c’è anche il fatto che da queste parti la concorrenza è piuttosto bassa.
Insomma, i clienti non mancano, e modestamente, lo spettacolo che offriamo noi della Bakunin è quanto di meglio vi sia sulla piazza.
Oggi è stato spiegato il tendone. Due dei tre alberi della nave, che dopo l’invenzione del motore a vapore non hanno più incontrato altro impiego, costituiscono due dei cinque vertici; per gli altri tre si è usata la solita tecnica, con le funi e i pilastri. In questo modo i tre ponti della Bakunin si possono usare per assistere agli spettacoli, come in un teatro.
È un sistema molto ingegnoso!
Il nostro tendone è dipinto di strisce gialle e rosse. È fatto così perché si possa vedere e riconoscere da lontano. Chissà che effetto grandioso, sulla spianata di ghiaccio.


1 aprile 1916

Nessuno aveva voglia di lavorare, oggi. I gemelli, con i loro giochetti di sparizione, hanno fatto prendere grandi spaventi a tutti. Aleksandra, la donna che ringiovanisce invece di invecchiare, in un sol giorno ha perso almeno due mesi di vita; in effetti le sono spariti dalla pelle della guancia destra due brutti nei che anni fa le avevano dato molto dolore, e lei ne è assai felice. Dice che è successo perché è stata una giornata piena di scherzi e di divertimento, e lei non vede l’ora di diventare una donna giovane e bella.
Io non so se devo essere contento, invece. Nessuno lo dice apertamente, ma abbiamo tutti paura di come possa finire la sua vita. Io ho la mia idea, ma non ho nessuna voglia di parlarne adesso.
Ho già visto cosa è successo a un uomo che aveva la sua stessa dote, ma non lo dico in giro, e poi spero che per lei sarà tutto differente.
Quando mi sarò ripreso, tornerò alle mie mansioni. Io pulisco le stalle, le gabbie, e mi prendo cura di tutte le bestie.
Al contrario di quel che state pensando ora, non è affatto un mestiere umile.
È la mia dote.
Io so comunicare con gli animali. Dalle farfalle, ai gatti selvatici, alle bestie più strane, rare e mostruose che possiate immaginare. Sono io che do da mangiare ai leoni e alle tigri, che faccio spostare l’elefante quando ce n’è bisogno, e sono sempre io ad ordinare agli scimpanzé di rientrare in gabbia quando diventano troppo capricciosi; anche se in verità non sempre mi danno ascolto subito.
Spero che gli Inuit portino con sé qualche bel cane da slitta, perché mi farebbe piacere sentire le loro storie dei lunghi viaggi sul mare ghiacciato. Sono sicuro che prima o poi accadrà.
Nessuno ascolta le storie degli animali, ma posso giurare che c’è sempre parecchio da imparare.
E non si tratta affatto di parole.


3 aprile 1916
   
Dicono che la temperatura stia salendo, ma io sono ancora troppo malato per accorgermene. Se riuscissi a comprendere il vento, il sole e il mare con la stessa facilità con cui so ascoltare le tigri nelle gabbie o i lupi nella tundra, forse tutto sarebbe più semplice. Ma mi fido dei miei amici, e loro dicono che presto ripartiremo. Il ghiaccio si scioglierà, e prima di allora il tendone verrà smontato. La Bakunin sarà libera di navigare, e il Comandante darà l’ordine di spingere le macchine avanti tutta, e restituirà a ciascuno la sua libertà.
Ho sentito il vecchio Roman, l’incantatore degli uccelli femmina, dire che in realtà saremo noi a decidere quando andar via. Non sono sicuro di aver capito bene cosa intendesse, ma ho preferito riderci sopra.
Poi… devo essermi addormentato. E mentre ero immerso nei miei sogni, sono sicuro che il Comandante è passato nella mia cabina. Non chiedetemi perché, ma l’ho sentito, in qualche modo. Ho percepito il suo affetto per me. Intenso e malinconico. In questi ultimi tempi avverto la preoccupazione di tutti, e tanta, tantissima tristezza. Il Comandante ha sostato a lungo nella mia cabina, mentre dormivo profondamente, senza dire una parola, guardandomi assopito nella mia branda. Poi una candela si è spenta, e lui è uscito.
Forse la mia dote non si limita agli animali. Deve esserci qualcosa che Irina, prima di morire, non ha detto a nessuno, su di me.
Non vedo l’ora di guarire.


20 aprile 1916

C’è stato l’ultimo spettacolo sul ghiaccio.
Tutti sapevano che sarebbe stato così, e alla fine me ne sono convinto anch’io. È stata l’ultima esibizione della Bakunin sulla banchisa artica nella primavera del 1916. Per la successiva, il pubblico pagante dovrà aspettare l’inverno di quest’anno, e non è nemmeno detto che la nave torni da queste parti, né che il mare ghiacci così a lungo. La rotta della Bakunin è sempre disponibile alla deviazione improvvisa, così come il destino di chi vi abita è sempre suscettibile di essere violato.
Ho assistito allo spettacolo dall’oblò della mia cabina, come uno spettatore pagante di rango. Con me c’erano Olga e Ida, che ci tenevano a farmi compagnia e non hanno detto una parola per tutto il tempo. Hanno portato la zuppa di cipolla, e così ci siamo anche rifocillati.
È stato lo spettacolo più grandioso della mia vita. In tutti i numeri gli artisti hanno dato il meglio di sé, e a un certo punto ha parlato il Comandante in persona, che ha ringraziato per la loro presenza i Soldati Imperiali del Nord-Sud, gli Inuit, le Donne, i Cacciatori e i Pescatori di frodo. Un pienone!
Be’, bisogna anche dire che oggi lo spettacolo era gratuito. È tradizione, per la Bakunin. L’ultima esibizione della stagione è un omaggio per il resto del mondo. Alla fine, il Comandante ha persino speso in pubblico delle parole per me, augurandomi che io stia bene presto.
Abbiamo pianto. Io, Olga, Ida. Nella mia cabina, sì, abbiamo pianto.
Amici miei, come posso dirvi quanto vi amo?
Alla fine, è andato in scena il numero più atteso. L’uomo che scioglie il ghiaccio. Non lo avevo ancora visto in azione.
Il tendone è stato smontato in tutta fretta! Hanno partecipato tutti, anche il pubblico ha fatto del suo meglio, e la presenza dei Soldati Imperiali si è rivelata preziosa.
Sotto ai nostri occhi increduli, la banchisa si è spaccata, e in piena notte abbiamo rivisto il mare. L’oceano artico ci ha dato il benvenuto, stormi di gabbiani si sono levati in volo, e la sirena della Bakunin ha iniziato a echeggiare assordante nell’aria gelida e stellata, celebrando la libertà.


21 aprile 1916

Giornata di navigazione.
Oggi ho capito molte cose. Di me, della mia vita, di questa mia dote. E dei miei amici. Della mia grande Famiglia. Dell’unico mondo che mi abbia voluto e amato, fino alla fine.
All’improvviso ho anche capito che sono guarito. Sono uscito sul ponte, seminudo, e mi sono accorto che non sentivo più alcun freddo. La neve scendeva lieve, e si scioglieva rispettosa al contatto con un calore infinito di corpi umani.
La Bakunin ha navigato serena, verso la linea di un orizzonte grigio e indefinito, adagiata su di un incerto e labile confine fra mare e cielo.
I miei amici erano tutti lì, sul ponte principale.
Ed io ho sentito come il loro amore, che non è morto con me, mi avesse illuso di essere ancora nel mondo, e di poter godere ancora di sguardi, parole, lacrime e sorrisi.
Ma era giunto il momento di andare.
Una musica di violino, come in un momento che solo ora rammento, avevo chiesto che fosse.
E il mio corpo, che scivolava nel mare, avvolto in un lenzuolo rosso, ricamato con lettere d’oro:

Piotr Irinavic Ivanov, 10 febbraio 1898 – 23 marzo 1916

E poi, mi sono visto, a cavallo di una prua, come un domatore vittorioso su una belva ammansita. Gridavo felice, e le mie parole si perdevano nel vento.
Ed ero un bambino.