sabato 20 novembre 2010

Stelle della notte.

Questo racconto è stato selezionato per l'antologia Nuovi Autori Science Fiction numero 6, una raccolta a cui tenevo davvero molto partecipare, e ha poi ottenuto il terzo posto in occasione del concorso letterario Space Prophecies Episodio VII, ragione per cui ha trovato poi ospitalità anche nel numero 34 della rivista Living Force.



Dalla spiaggia, il disco del sole appariva insolitamente grande. La sua aura ammantava ogni dettaglio di una tinta rosso-arancio, che rendeva tutto vago e indefinito, come se le figure, le sagome, i confini di ogni elemento presente sulla scena fossero scolpiti nel rame incandescente. Così era per gli scogli in mare, per la fitta foresta e per le case in lontananza.
Si sarebbe potuto pensare alla stella di un altro sistema, e a un pianeta lontano che non fosse la Terra.
Una coltre di nubi bianchissime in avvicinamento da est sembrava immune a quell’aggressione cromatica, e nemmeno l’oceano, intensamente verde e cristallino, se ne lasciava contaminare. Terra, mare e cielo parevano essere stati prelevati da mondi diversi, e costretti ad una coesistenza tanto innaturale quanto armoniosa.
Tra il sibilare del vento, e lo scrosciare delle onde sulla riva, si udì il nitrito di un cavallo selvatico, lanciato al galoppo sull’arenile. Era nero e veloce.
-Ecco, figliolo, fa’ bene attenzione.- disse Luan Kefalios seguendo sullo schermo il cavallo in movimento.
La prospettiva cambiò all’improvviso, spostandosi sul mare, e poi la scena si interruppe, e al suo posto apparve una folla di individui immersi nel caos di una grande città.
Luan Kefalios attese alcuni secondi, perché anche la scena successiva fosse terminata, e scoccò al suo apprendista uno sguardo che imponeva una reazione.
-Maestro, cosa avrei dovuto vedere?
-Prima del cambio di scena, non hai notato nulla, ragazzo?
-Ecco, io…
-La prospettiva, Bardàn. La prospettiva stava mutando.
-Avete ragione, maestro.
-Il cambio di prospettiva prelude spesso a un cambio di scena. Notare certi dettagli non è facile, alla velocità a cui il sogno si svolge, ma devi abituartici. Durante i sondaggi di sicurezza non c’è il tempo per riavvolgere la registrazione e visionarla con maggiore attenzione.
Bardàn Safarian tacque.
-Quando ne avrai la possibilità, riprendi il sogno dall’inizio e studialo bene, d’accordo? Se lo facessimo ora,- mormorò Luan con una punta di fastidio accennando al governativo armato di tutto punto alle loro spalle –quest’uomo avviserebbe subito il Supervisore.
-Lo farò, Maestro Kefalios.
Due governativi entrarono nella sala. L’uomo che aveva sognato fu scollegato dalla macchina, risvegliato e congedato. Prima che se ne andasse, Bardàn lo vide scoccare un’occhiataccia attraverso la vetrata, come se quello potesse vederli.
-Sembra arrabbiato.- osservò il ragazzo.
-Lo saresti anche tu, se una volta al mese entrassero nei tuoi sogni.- sussurrò Luan.
Il maestro pensò con sollievo che mancavano solo tre sondaggi per completare il consueto ciclo di venti della mattinata. Il Governo pretendeva sempre più efficienza e rapidità: una maggiore frequenza di interventi significava un controllo più capillare della popolazione.
Come le volte precedenti, Bardàn attivò il registratore vocale, e Luan sentenziò:
-Sondaggio di sicurezza duecentosette barra diciassette. Soggetto maschio, anni ventotto, identificato come Andras Saudani, matricola cinque-sette-tre-tre. Analisi componenti base. Mare: senso civico elevato. Cielo con nubi: senso di libertà medio. Terra con sole rosso: attaccamento alla realtà debole. Cavallo: buona salute fisica. Non segni particolari. Conclusioni: elementi di buona salute fisica con lievi segni di confusione mentale onirica, rientranti nella norma. Attitudine alla ribellione al potere centrale, nulla. Soggetto governabile.
Bardàn ascoltò con attenzione, e poi, come al solito, si alzò e disse al personale all’esterno di far entrare il soggetto successivo.
Nella sala, scortato dai due governativi, comparve il soggetto numero diciotto. Era una giovane donna a aveva la pelle scura. Bardàn penso che fosse bellissima. I suoi capelli erano molto corti e i suoi occhi facevano pensare alle stelle della notte.
Fu fatta distendere, e la procedura ebbe inizio.
Mentre la addormentarono, il ragazzo avvertì una fitta al ventre. Per la prima volta dall’inizio del tirocinio, aveva paura che Luan ravvisasse segni di pericolosità sociale nel soggetto che veniva sondato.
Il sogno della donna ebbe inizio, e Bardàn contemplò il suo maestro mettersi all’opera.
Un neonato era adagiato su una grande foglia di felce, al chiaro di luna. Un grosso lupo lo portò via come se volesse sbranarlo, ma il piccolo veniva accolto nel branco. Poi comparve una stanza le cui pareti erano trasparenti.
Lo sguardo di Luan Kefalios sembrava rassicurante: non sembrava che quella donna corresse alcun rischio di essere arrestata. Ma Luan era pur sempre un servitore del potere centrale. E un giorno, lo sarebbe diventato anche lui. Era o non era lì per questo?
Bardàn sapeva che il sogno, quello vero, che si svolgeva nell’inconscio della ragazza, era piuttosto diverso da quel che lui e il maestro potevano vedere. La Macchina realizzava la migliore riproduzione possibile, anche se le immagini dei sogni non erano esattamente qualcosa che poteva ridursi a una rappresentazione puramente visiva. Ma per le operazioni di controllo condotte dal Governo era più che abbastanza.
Terminata la visione, Luan sbuffò per la noia e registrò la sua valutazione di rito. Non risultò che vi fossero segni di ribellione al potere centrale, e Bardàn tirò un sospiro di sollievo, anche se l’idea di non rivedere più il soggetto diciotto (seppe dalla registrazione che si chiamava Myriam) gli dava un profondo dispiacere. 
-Un momento, mastro Kefalios.- Era la voce del Supervisore, che aveva fatto irruzione nella saletta.
-Riavvolgete il sogno fino alla scena del lupo, prego.- ordinò.
Luan fece cenno a Bardàn di obbedire, e poco dopo lanciò uno sguardo al Governativo, che arrossì e abbassò lo sguardo. Doveva essere stato lui a sollecitare l’intervento dell’altro.
-Cos’è quella?- digrignò il Supervisore indicando un piccolo marchio impresso sul dorso del lupo nel fermo immagine. Si trattava di una specie di virgola rossa.
-Cosa? Ah, quella? Non è nulla. Un simbolo causale. Ce ne sono a dozzine in tutti i sogni, e non hanno alcun valore.- lo rassicurò Luan.
L’immagine venne ingrandita.
-Un simbolo casuale? L’emblema del Partito della Liberazione un simbolo casuale? Mi meraviglio della vostra superficialità, Kefalios! Arrestate quella donna.- proruppe l’altro rivolgendosi ai suoi sgherri.
Luan protestò vivamente, pur sapendo che non sarebbe servito a nulla.
Il Governo si serviva di quel genere di personaggi per controllare l’operato degli Interpreti. A differenza di questi, i Supervisori non avevano alcuna preparazione per comprendere e decodificare i sogni, ed il loro ruolo era esclusivamente politico. E spesso si aggrappavano a dettagli insignificanti nei quali ritenevano si annidasse il germe della rivolta.
Prima di essere portata via, Myriam riuscì a protendere le braccia e aprire i palmi delle mani sulla vetrata. Le avevano già messo le manette.
Per un istante, a Bardàn sembrò che lei lo avesse visto, anche se sapeva che non era possibile. Il ragazzo avrebbe voluto fare qualcosa, ma sapeva che contro una decisione del Supervisore nemmeno il parere dell’Interprete avrebbe potuto scagionarla. Figurarsi a cosa poteva servire la parola di un giovane apprendista.
Bardàn pensò che non avrebbe mai dimenticato le stelle della notte che brillavano nei suoi occhi tristi.
Luan e il ragazzo eseguirono gli ultimi due sondaggi della mattinata e infine lasciarono il Ministero della Sicurezza.
Come le altre volte, si incamminarono verso la Città Vecchia. Quel giorno c’era un tempo magnifico; il sole brillava sovrano nel cielo terso, e la mezzaluna nascente era così nitida che vi si distinguevano i profili degli insediamenti coloniali che ne ricoprivano gran parte della superficie. Il traffico in quota, sopra le loro teste, era scarso, e l’aria era fresca e pulita.
Ma in Bardàn invece regnava l’oscurità.
-Maestro,- disse il ragazzo sospirando –davvero quel simbolo era insignificante?
-È il mio apprendista che me lo chiede, o il cerbiatto innamorato?
Bardàn abbassò lo sguardo.
-Non sono certo di voler apprendere la vostra arte.- replicò poi fievolmente.
-Male. Potrai fare un gran bene alla collettività, ragazzo, quando sarai diventato un Interprete dei Sogni.
Un gran bene. Pensò il giovane. Arrestare persone che vogliono solo vivere in libertà. Davvero un gran bene.
Era ormai un mese che Bardàn era stato affidato a Luan, e non era la prima volta che assisteva ad un arresto. In realtà era accaduto raramente, e quasi sempre a causa dell’interferenza dei Supervisori. 
Eppure, una volta era stato proprio Luan a riscontrare segni di rivolta in un individuo, e a far sì che fosse imprigionato. Si era trattato di un uomo anziano e molto malridotto.
Tutti gli arrestati sarebbero stati decontaminati. In altre parole, la loro personalità sarebbe stata in gran parte cancellata, e sarebbe stata fornita loro una nuova identità. Il germe della rivolta veniva così estirpato per sempre.
I due raggiunsero il bivio presso cui si sarebbero salutati, per prendere ciascuno la propria strada.
Come di consueto, il giovane chinò il capo in segno di rispetto, e prese congedo:
-Grazie per i vostri insegnamenti. A domani, maestro.
Quel giorno, per la prima volta, Luan non ricambiò il suo saluto, ma sentenziò:
-Penso che tu sia pronto per la seconda fase dell’apprendistato, Bardàn Safarian.
Il ragazzo impallidì. Nessuno gli aveva mai detto che vi sarebbe stata una “seconda fase”. Del resto, nessuno gli aveva nemmeno mai spiegato troppe cose della società in cui viveva.
Era solo un apprendista interprete, e a quel tempo gli unici sogni di cui conosceva il significato erano i propri.
O almeno, così si illudeva che fosse.

****

Un buon Interprete poteva fare ben altro oltre a sondare i sogni dei potenziali sovversivi. Quello era un dovere, a cui i migliori erano chiamati dal Governo. Ma per il resto, l’attività degli Interpreti dei Sogni, che proveniva da una tradizione antichissima, poteva essere praticata a piacimento. Molti, e fra essi lo stesso Luan, temevano che presto o tardi quella libertà sarebbe stata soppressa.
C’era stato un tempo, nel lontano passato, in cui l’interpretazione dei sogni non veniva eseguita grazie alle macchine. Gli Interpreti semplicemente ascoltavano le parole del sognatore e ne ricavavano una spiegazione verbale. L’arte di leggere i sogni aveva avuto origine nelle religioni e nei sistemi di pensiero della più remota antichità. Sovente, in alcune epoche, era stata bandita, ma poi, all’inizio dell’Era Industriale, secoli e secoli prima, ne erano state scoperte le valenze terapeutiche, e grazie ad essa molte persone erano state curate dalle peggiori malattie della mente.
Poi, l’avvento delle prime macchine per il sondaggio aveva fatto il resto: leggere i sogni, avere accesso ad essi, non era più tanto difficile, se si disponeva del denaro sufficiente per acquistarne una.
Una buona macchina poteva fare molto: riproduceva il sogno, lo rendeva comprensibile, inseriva suoni e rumori che nell’inconscio del soggetto erano assenti, e creava una versione audiovisiva che ne rappresentava una efficace approssimazione.
Ma comprenderne il significato profondo, il senso che si celava dietro alle immagini che componevano scene e sequenze, era di certo un talento ad appannaggio di pochi.
Fra quei pochi, vi era senza dubbio Luan Faruk Kefalios.
-Non è un posto in cui ho portato tutti i miei apprendisti, questo.- disse il Maestro mentre infilava una chiave nella toppa di una vecchia cancellata in ferro in un vicolo.
Dopo che furono entrati, discesero lungo una scala e varcarono una porta. Bardàn vide una dozzina di persone che sedevano sul pavimento sporco di una stanzetta dai muri scrostati. Al loro ingresso, nessuno di loro fiatò, ma alcuni lo guardarono con diffidenza.
Luan aprì una porta, fece entrare il ragazzo, gli indicò una sedia, e disse:
-Potrai rimanere per il tempo che vorrai. Ricordati solo di tacere.
Poi, dopo una pausa, aggiunse:- Io non addormento nessuno, qui.- e sorrise.
Luan sedette ad una scrivania, e gridò in direzione della porta:
-Avanti il primo!
Un’anziana donna entrò, si tirò dietro la porta e sedette davanti all’interprete. Dopo i convenevoli, arrivò subito al punto.
-Ho sognato un cavallo zoppo, Luan. Un lipizzano da parata.- la donna si esprimeva con un accento che denotava la sua origine popolare. Sembrava esperta di cavalli. Di certo lavorava nelle stalle imperiali. -E sai una cosa?- continuò –All’inizio trottava svelto. E poi, appare un miliziano. E quello stupido animale si mette a zoppicare. Quando mi sono svegliata mi facevano male le gambe, diamine!
-Basta così?- domandò Luan.
-E cos’altro vuoi che ti dica!
-L’interpretazione è semplice, Iris. Sei una donna forte. Il cavallo rappresenta la tua vitalità, ma il Governo cerca di spezzarla. Ma tu resisterai. Continua così. Quando ti faranno il prossimo sondaggio?
-Fra due settimane.
-D’accordo. Cercherò di essere assegnato a te. C’è qualcos’altro che vuoi dirmi?
-No, cosa diavolo dovrei dirti ancora? Non rammento altro.- ribatté la donna con aria scontrosa, ma soddisfatta.
A Bardàn le parole di Luan suonarono artificiose e contraddittorie.
Dopo quello di Iris, il ragazzo assistette all’interpretazione di dozzine di altri sogni.
Luan non usava macchine; le parole di quella gente erano più che abbastanza per lui. Inoltre, era evidente che l’Interprete non applicava affatto i criteri parametrici standard. Il cavallo del sogno di Iris, per esempio, non doveva rappresentare la sua salute fisica, come da manuale? Cos’era invece la “vitalità” di cui Luan aveva parlato? E quello non era stato il solo esempio del totale stravolgimento del canone a cui aveva assistito quel pomeriggio nello scantinato di Luan Kefalios. Il mare, che secondo i criteri standard rappresentava il senso civico, ora era stato indicato come segno di purezza, e il cielo (la libertà?) era stato spiegato in un sogno come la Società delle Stelle (una compagnia di navigazione interplanetaria), e in un altro invece come un lungo viaggio verso la luna… per non parlare del fatto che Luan faceva continuamente domande, e quelli a volte si contraddicevano, o aggiungevano dettagli; insomma, senza l’ausilio di una macchina, come era possibile che l’interpretazione avesse un valore oggettivo? E che senso poteva esserci se non l’aveva?
Bardàn si sentì confuso e inquieto. All’inizio non si era neppure reso conto che in barba al suo ruolo di Interprete governativo addetto ai sondaggi di sicurezza, Luan non aveva fatto altro che incitare tutti quegli individui alla ribellione, sebbene invitandoli a rimanere prudentemente nell’ombra. Non c’erano dubbi: i loro sogni erano pieni zeppi di quelli che il Governo avrebbe classificato come “segni inequivocabili di sovversione”.
Forse Luan era impazzito? O peggio, era un emissario del Partito della Liberazione? Se le cose stavano così, ora anche lui poteva essere considerato un pericoloso elemento ribelle… Bardàn fu preso dall’angoscia, e dopo che l’ultimo soggetto ebbe ricevuto la sua interpretazione, chiese il permesso di congedarsi. La sua voce tremava.
Il ragazzo si alzò e prese la direzione della porta. Ma Luan fu più svelto, lo raggiunse, e sulle prime Bardàn temette che gli impedisse di uscire.
-Oggi hai visto due realtà molto diverse fra loro, figliolo.- sibilò il maestro fissandolo negli occhi. -La prima, ti permetterà di sopravvivere. Ma la seconda farà di te un essere umano. Sei tu che devi scegliere.
Con il cuore in gola, Bardàn uscì, risalì le scale, e si diresse in tutta fretta in città. Il tramonto era ormai a buon punto, e il cielo era striato di ampie pennellate rosse.
Ma non servì affatto a rasserenare il suo animo.
Quella notte, Bardàn Safarian sognò un mostro alato che si impossessava di lui, e lo scaraventava sugli scogli di un mare profondo e torbido, e il suo corpo che non veniva più ritrovato.
Al risveglio, decise che avrebbe interrotto il suo apprendistato e abbandonato per sempre quella strada insidiosa.


Molti anni più tardi.


Ignoro a quale destino sia andato incontro il mio Maestro, ma mi piace immaginare che si dedichi ancora a restituire alle persone che si recano da lui una libertà che pensavano persa.
A distanza di quarant’anni dal giorno in cui Luan Kefalios mi svelò la sua attività clandestina, ciò che meglio ricordo di quei tempi è la mia ingenuità. Fu grazie ad essa, che lui scelse me.
Il mio vecchio aveva sempre e solo cercato di sottrarre alle grinfie del Governo ogni soggetto che era stato costretto a sondare, mentre una parte di me, prima che mi mettesse a parte di tutto il resto, aveva sempre sospettato di lui, e diffidato del potere che aveva.
Se si fosse opposto, lo avrebbero arrestato. Perciò, sondava e scagionava tutti quelli che poteva, occultando la vera interpretazione dei sogni e fornendo al Governo una versione tanto falsa quanto tranquillizzante.
In merito all’anziano, il solo uomo che di sua iniziativa aveva fatto arrestare, be’, mi disse che era il suo migliore amico, il cui più grande desiderio era dimenticare gli orrori che aveva sopportato nel corso dell’esistenza. Perciò loro due si erano detti addio il giorno prima, e si erano messi d’accordo affinché quello passasse per un ribelle, perché così gli avrebbero cancellato la memoria e avrebbe vissuto in serenità quanto gli era rimasto.
Alle volte i Supervisori avevano imprigionato qualcuno, questo è vero, ma se al posto di Luan ci fosse stato un altro, di certo sarebbero stati molti di più. Grazie a lui, molte donne e molti uomini ebbero salva la vita, e poterono lottare perché quel periodo buio della nostra storia avesse fine.
In merito a me, è solo da qualche anno, che ho davvero ritrovato la pace.
Per la precisione, avvenne tre anni fa.
Mi trovavo nel mio studio, e stavo pulendo gli elettrodi della Macchina. Quelle attuali sono talmente sofisticate da far impallidire i rudimentali attrezzi che si usavano ai tempi del mio apprendistato.
Venne da me un uomo. Il suo nome era Kenner e disse che aveva sessant’anni. Sul volto portava scalfiti i segni del tempo e della sofferenza. Quando entrò, si guardò in giro come se l’ambiente gli risultasse familiare, come se stesse cercando qualcosa. Il suo sorriso era gravido di malinconia.
Sapevo che in anticamera c’era una donna ad attenderlo. Era venuta con lui. Forse era sua moglie.
Kenner mi disse che aveva un sogno ricorrente ed io gli proposi di collegarci. Dopo qualche esitazione, accettò. Disse anche che era la sua prima volta.
Lo feci distendere, e bastò sfiorarlo perché dormisse: quell’uomo aveva una gran voglia di liberarsi da qualcosa che lo opprimeva.
Collegai gli elettrodi e accesi la Macchina. Con una certa disinvoltura, superai gli strati della conoscenza logica, della razionalità, del calcolo semplice e di quello complesso. In breve tempo raggiunsi il suo inconscio più profondo, e mi lasciai andare alla massa fluttuante di immagini che vi incontrai.
C’era un bosco, sul calar della sera. Non v’era traccia di esseri umani, oltre a Kenner. Fui lui, per l’intera durata del sogno.
La mia Macchina è un modello di ultima generazione; i vecchi schermi sono superati, oggi  l’Interprete entra nel flusso onirico e lo vive in prima persona, come se fosse il proprio. Con tutte le immagini, e le sensazioni. Con tutto il corredo di angoscia, eccitazione, dolore, paura, gioia, tenerezza o amore. È una tecnica piuttosto rischiosa, e ci sono dei limiti prestabiliti che non è salutare superare.
La notte stava per scendere sul bosco. Una sottile inquietudine stava montando in fretta. Si udivano il ruggito delle belve, il latrato dei lupi e lo squittio di animali minori. Ero armato, e correvo. Obbedivo a qualcuno che aveva le mie stesse sembianze. Kenner che dava comandi a Kenner. Kenner che prendeva ordini da Kenner. Ero prigioniero di me stesso.
Fui circondato da un branco di lupi. Ero terrorizzato, e presi a sparare. Ne uccisi molti, tranne uno, che catturai con estrema facilità. L’animale non oppose alcuna resistenza.
In una scena successiva mi ritrovai in una sala piena di cunicoli, porte chiuse e corridoi. La sala diventava sempre più grande, e le pareti erano bianchissime. Alla fine divenne un vero labirinto. Era impossibile uscire; non c’era soffitto, e non era possibile scalare le pareti, perché erano alte e levigate.
Fra le pieghe del labirinto intravidi il mio lupo, e voltai un angolo, per raggiungerlo. Presi a camminare sempre più in fretta; lo inseguivo. Stavo correndo.
Riuscii ad afferrarlo, e fra le mie mani si trasformò in un cucciolo di cane. Era bianco, con delle piccole macchie nere. Mi accostai e lo accarezzai. Il cagnolino prese a scodinzolare e mi leccò le mani. Gli diedi dell’acqua, e del cibo.
All’improvviso trovai l’uscita del labirinto, e lo lasciai andare. Rimasi nudo, senza armi e senza vesti indosso. Mentre il cucciolo si allontanava, lo vidi trasformarsi di nuovo nel lupo, lanciato in corsa verso la foresta.
Era già lontano ormai, ma sapevo che sul suo collo… c’era una piccola virgola rossa.
Fui aggredito all’improvviso da un caos di emozioni, che solo in parte erano quelle di Kenner, nel quale mi ero immedesimato, e che provenivano anche dal mio vissuto.
D’istinto, afferrai gli elettrodi ed ebbi la prontezza di staccarli dalla mia testa. Mi rannicchiai su me stesso. Provavo dolore allo stato puro, e ci vollero diversi minuti per riprendermi.
Un Interprete non dovrebbe mai avere accesso all’inconscio di un soggetto con il quale abbia condiviso una parte della vita, per quanto breve possa essere stata. 
In quel mentre, Kenner si risvegliò, e anche lui iniziò a tornare allo stato di coscienza.
Rimanemmo sospesi in quel limbo per alcuni minuti, a guardarci, in silenzio. Lui, disteso sul lettino, io, seduto accanto. Ciascuno con il proprio ricordo di quel giorno, ma con lo stesso sogno appena vissuto.
Quando mi parve di esser tornato in forze, ruppi il silenzio.
-Lei era un governativo, non è vero? Fu lei, quarant’anni fa, a chiamare il supervisore.- mormorai. –Fu lei, a farla arrestare.
-Feci in modo che fuggisse, dopo pochi giorni. Più tardi, entrai anch’io nella resistenza.- si limitò a replicare.
-Sì, è quel che ho visto, nel sogno.
-La fuori c’è qualcuno che conosce, dottor Safarian.- sussurrò Kenner, mentre le lacrime iniziavano a rigargli il volto.
In qualche modo lo avevo saputo sin dal momento in cui era arrivato. Quel che non sapevo più, invece, era chi fra noi due fosse l’Interprete dei Sogni, venuto a guarire le ferite dell’esistenza dell’altro.
Ormai era la sua donna, ma non aveva importanza.
Mi alzai, e uscii dallo studio, sperando che negli occhi di Myriam avrei rivisto ancora, per una volta, le stelle della notte.

venerdì 19 novembre 2010

NASF 6: vincitore e selezionati.

Pubblicato l'elenco dei selezionati per l'antologia NASF 6, di prossima uscita. Daniele Picciuti, al quale vanno i miei più sentiti complimenti, è il vincitore assoluto della sesta edizione del concorso "Nuovi Autori Science Fiction".


L'uscita della raccolta è prevista entro la fine dell'anno.
I selezionati sono: Daniele Picciuti, Giuseppe Picciariello, Roberto Marzano, Matteo Mancini, Marco Greganti, Mauro Cancian, Alessandro Castelli, Domenico Verrengia, Andrea Viscusi, Cinzia Bettineschi, Luigi Rinaldi, Filippo Sottile, Caterina Venturi, Diego Bortolozzo, Enrico Arlandini, Diego Vagni, Gloria Scaioli, Marco Migliori, Luca Romani, Ser Stefano, Raffaele Nucera, Giacomo Scotti, Andrea Andreoni,  Michele Angelo Deliso, Ciro Giordano, Guido Pacitto, Riccardo Carli Ballòla, Valerio Tosi, Francesco Troccoli, Federico L. Granzotto, Antonella Iacoli, Jonathan Concas, Andrea Franceschin, Filippo Armaioli Magi, Fabrizio Leonardi, Anna Montella, Chiara Zanini, Jenny Perelli, Stefano Bovi, Biancamaria Massaro, Paolo Braga.

sabato 6 novembre 2010

Melissa e dintorni: Reading e Raccolta.

Come preannunciato (qui), la tanto attesa serata veronese si è svolta la scorsa domenica 31 ottobre. Organizzato da Consorzio Proloco Valpolicella, Excellence Club e la Libreria il Minotauro, in collaborazione con Associazione Il Corsaro Nero, Comitato Salgariano Valpolicella, Premio di Letteratura Avventurosa "Emilio Salgari", Associazione Il Lupo della Steppa, Delmiglio Editore e Cantina Salgari F.lli presso la bella Libreria il Minotauro (che consiglio a chi vive in zona), l'evento ha visto narrare ben diciotto racconti ispirati alla vicenda di Melissa, il fantasma dell'A4, raccolta e veicolata da Danilo Arona. Gli instancabili David Conati ed Elisa Cordioli hanno prestato le loro voci per l'occasione, che faceva parte del cartellone di Veneto Spettacoli di Mistero, davvero una notevole manifestazione organizzata a livello regionale.
La relativa raccolta dei diciotto racconti ("Melissa e dintorni") è già disponibile in libreria ad opera di Delmiglio Editore, con introduzione di Danilo Arona. 
La serata ha visto un'eccezionale partecipazione di pubblico, nonostante il maltempo le cui drammatiche conseguenze sono state ben evidenziate dai mass-media proprio nei giorni successivi all'evento. Personalmente, ho faticato a trovare una sedia libera, e inoltre agli attori è stato chiesto di utilizzare il microfono allo scopo di raggiungere con la voce anche persone situate al piano inferiore della libreria, che hanno seguito la rappresentazione tramite collegamento video.
Al termine del reading è stata organizzata una degustazione Vini Valpolicella a cura della Cantina Salgari F.lli, e in seguito ho potuto partecipare alla cena sapientemente organizzata da Emanuele Delmiglio, che nuovamente ringrazio per avermi voluto in questa originale e così ben riuscita iniziativa, presso "Verona 23", un locale, mi è stato spiegato, dell'antica tradizione universitaria veronese, nella zona di Sottoriva, a due passi da un Adige battuto dalla pioggia ma anche illuminato dalla bellezza degli edifici della città di Romeo e Giulietta.
Per me è stata anche l'occasione di conoscere molti nuovi amici, o di trasformare le amicizie virtuali dell'ineffabile Facebook in volti in carne e ossa, sorrisi reali e strette di mano (la foto pubblicata sopra è di Simona Cremonini, al cui profilo FB è stata infatti rubata). Una bella serata, davvero, e non si tratta di parole.
E per chi fosse interessato, domenica 14 novembre prossimo si replica! Alle 15,30  si prevede un nuovo avvistamento di Melissa sull'A4....
Al Saporè di San Martino Buon Albergo (Verona) torna l'antologia "Melissa e dintorni" con una presentazione organizzata dall'editore Delmiglio, e naturalmente la lettura di alcuni racconti.

Melissa e dintorni.
Gli autori dei racconti (in ordine alfabetico)
Maria Silvia Avanzato, Roberto Bonadimanti, Daniele Bonfanti, Giuliana Borghesani, Rosa Tiziana Bruno, Riccardo Coltri, Gaia Conventi, Simona Cremonini, Emanuele Delmiglio, Roberto Fiorasio, Federico Fuggini, Antonella Iannò, Maria Giovanna Luini, Rossana Massa, Andrea Mucciolo, Vittorio Rioda, Sonia Salgari, Francesco Troccoli.

ISBN: 978-88-96305-10-2 - € 9,00

lunedì 25 ottobre 2010

Veneto Mistero: Melissa, il fantasma dell’A4


Molto volentieri pubblico il comunicato stampa ricevuto da Delmiglio Editore, relativo a un evento del prossimo week-end a Verona che mi vede coinvolto fra gli autori.

Nella notte del 29 dicembre 1999, in quattro autostrade altrettanti automobilisti furono partecipi, tanto reciprocamente distanti quanto inconsapevoli, di un evento sconvolgente: tutti investirono - o rischiarono di investire - la stessa ragazza, che in tre casi si rivelò essere una visione. Da lì sarebbe nato il caso di Melissa, il fantasma dell'A4, sapientemente raccolto e veicolato da Danilo Arona, maestro del brivido.

Il Consorzio Proloco Valpolicella, Excellence Club e la Libreria il Minotauro, in collaborazione con Associazione Il Corsaro Nero, Comitato Salgariano Valpolicella, Premio di Letteratura Avventurosa "Emilio Salgari", Associazione Il Lupo della Steppa, Delmiglio Editore e Cantina Salgari F.lli sono lieti di invitarvi al tradizionale appuntamento di lettura di Ognissanti, domenica 31 ottobre 2010 alle ore 17.30 presso la Libreria il Minotauro a Verona.

L’evento rientra nel cartellone regionale Veneto Spettacoli di Mistero.

Gli attori David Conati ed Elisa Cordioli interpreteranno dei racconti fantastici inediti ambientati nel Veneto, opera di autori di tutta Italia, molti dei quali presenti, che si confronteranno sulla vicenda presso la libreria Il Minotauro.
Una raccolta dei racconti sarà disponibile in libreria ad opera di Delmiglio Editore, con introduzione di Danilo Arona.

Al Termine verranno distribuiti dolcetti e offerta una degustazione Vini Valpolicella a cura della Cantina Salgari F.lli.

Gli autori dei racconti (in ordine alfabetico)
Maria Silvia Avanzato, Roberto Bonadimanti, Daniele Bonfanti, Giuliana Borghesani, Rosa Tiziana Bruno, Riccardo Coltri, Simona Cremonini, Gaia Conventi, Emanuele Delmiglio, Federico Fuggini, Antonella Iannò, Maria Giovanna Luini, Rossana Massa, Andrea Mucciolo, Vittorio Rioda, Sonia Salgari, Francesco Troccoli.

Ingresso gratuito - non accessibile ai portatori di handicap

Per informazioni:
Consorzio Pro Loco Valpolicella
info@valpolicellaweb.it - tel./fax +39 045 7701920
Excellence Club
club@excellencebook.it – tel. +39 045 8781118

mercoledì 13 ottobre 2010

"Solaris, toccata e fuga" in scena a Roma.

Signori, la fantascienza torna a teatro. L'occasione è tanto rara quanto ghiotta.
Pubblico dunque molto volentieri il comunicato prodotto dall'Associazione "Il Gigante", e relativo alla messa in scena prossima ventura di "Solaris, toccata e fuga", un adattamento di alto livello del celebre romanzo "Solaris", di Stanislaw Lem, da cui Andrej A. Tarkovskij trasse l’altrettanto (e più, per i cinefili) celebre e omonimo film. 
Avendo avuto occasione di assistere alla rappresentazione in una stagione recente, consiglio a tutti la partecipazione, il 25 ottobre, alle ore 21.00, a Roma, nell'avveniristica cornice della Domus Talenti.


presenta

 “Solaris, toccata e fuga


drammaturgia
Angela Antonini e Paola Traverso



con
Angela Antonini


regia
Massimo D’orzi


installazione scenica
Alessio Ancillai


costumi
Sara Fanelli



foto di scena e realizzazione grafica
Filippo Trojano



Musiche
G. Ligeti, A. Schönberg , A. Scarlatti
H. Villa Lobos - J. Cage , N. Atlas , B. Maderna,
Bauhaus, Radiohead No surprises cantata da Page


Info:
www.ilgigantecinema.com


Libera composizione di drammaturgie che appartengono a differenti scrittori e poeti per tentare una rappresentazione -quasi un dipinto- dell’uomo davanti alla forma nuova. Un corpo di donna appare e scompare ogni volta che l’uomo sfida le tenebre e chiude gli occhi. Linguaggio indecifrabile quello di Harey la protagonista di Solaris, il capolavoro della letteratura fantascientifica del Novecento, che sfida la logica scientifica, razionale, positivista degli scienziati debolmente innamorati della vita, l’indifferenza di coloro che osservano il mondo freddamente, per cancellarne i colori. Lungo le rive del testo di Solaris incontriamo Cleopatra, Ariel e Amleto di Shakespeare, Madeleine de L’indifferente di Proust, la Ragazza di Antonioni, il Girasole impazzito di Montale, Viola di Calvino, toccata e fuga di immagini che raccontano dell’illusione del poeta quando cede al pensiero di un amore possibile.

Il testo: siamo partiti dallo storico romanzo di fantascienza “Solaris” dello scrittore Stanislaw Lem, da cui Tarkovskij ha tratto l’omonimo film, e dalle evocazioni letterarie che la lettura ci suggeriva strada facendo. Durante le prime letture emergevano spesso immagini che si legavano alla poesia di Montale e alla prosa di Proust circa il tema dell‘indifferenza, molto presente nelle reazioni di Chris, il protagonista maschile. Il romanzo racconta il percorso intimo di un amore che si consuma tra le stelle, nella stazione orbitante sospesa nell’atmosfera, mettendo l’accento sulle reazioni di un uomo di fronte all’intensità del proprio sentimento. L’autore di Solaris dipinge l’incontro dell’uomo con qualcosa di nuovo, di non collocabile, di sconosciuto che può essere appunto la conoscenza di una donna ma anche la conoscenza del mondo  o l’approccio destabilizzante di una nuova idea, mai considerata precedentemente. Il montaggio del testo di Paola Traverso realizzato insieme all’attrice Angela Antonini crea una “composizione” di parole e versi tessuti in un’unica trama. E’ con immagini letterarie come quelle di Eugenio Montale, Marcel Proust, Michelangelo Antonioni, William Shakespeare, Italo Calvino che il mono-dialogo procede aprendosi con i versi  tratti da Antonio e Cleopatra di W. Shakespeare, passando per l’amletico “essere o non essere” immerso nei colori psichedelici e abbaglianti delle immagini di Solaris. Questa tessitura mai forzata, nasce dalla necessità di superare la tragica storia di amore tra un uomo e una donna, per dire della complessità del confronto, senza rinunciare a quella bellezza possibile e raggiungibile dell’innamoramento.

La regia: I dialoghi sono letti ed interpretati da un’attrice sola in scena che, con pochissimi ed essenziali elementi scenici, disegna un continuo movimento di linee e geometrie che attraversano lo spazio. In scena i fogli bianchi del testo diventano essi stessi corpo da avvicinare al volto, abbandonare sul pavimento, portare in aria, calpestare, corpo scenico con cui pararsi gli occhi, danzare, parlare quasi fosse la rappresentazione dell’ “altro”, quello sconosciuto che abbiamo davanti, quasi a rappresentare il corpo a corpo delle autrici con la materia viva del romanzo. Il tessuto musicale che spazia da Ligeti, a Berio, dai Radiohead a Villa Lobos, passando per Natasha Atlas è un altro elemento fondante della regia di Massimo D’orzi. Il corpo musicale crea lo spazio sonoro del pianeta Solaris, i corridoi angusti e misteriosi della stazione orbitante e le temperature atmosferiche di ogni singola scena.


Il 25 ottobre, alle ore 21.00, a Roma, Domus Talenti,
Via delle Quattro Fontane, 113

lunedì 11 ottobre 2010

La mia mini-intervista per Altrisogni.

Con piacere, e grazie agli amici della redazione della neonata rivista digitale "Altrisogni" Rivista digitale di Horror, Sci-fi e Weird, pubblico la mini-intervista che mi è stata fatta in occasione dell'uscita del primo numero, che contiene fra gli altri il mio racconto "Nude mani". Vi rammento che la rivista è acquistabile a un prezzo molto basso su d.books, ovvero qui, e che questa è la pagina del Gruppo della rivista in Facebook.
Non ho esitato un istante ad accettare l'invito a collaborare con la rivista, che presenta varie caratteristiche interessanti: interamente digitale, rivolta ai tre generi Horror, SF e Weird, gestita essenzialmente attraverso FB, e basata su una attenta selezione ed editing dei testi. Insomma, un progetto editoriale innovativo, accurato e ammirevole.
In coda al post troverete anche il booktrailer a cura di Baseluna Films.


Arriviamo a un autore di fantascienza molto prolifico e presente sul Web: Francesco Troccoli. Per Altrisogni ha pubblicato il racconto breve Nude mani, una storia breve e rapidissima, ben scritta e interessante. Ecco le domande e le sue risposte.

Altrisogni: Il tuo racconto si svolge in una sola "sala", eppure è molto "ampio": è stato difficile gestirlo in poco testo?

Francesco Troccoli: Quando ho iniziato a scrivere “Nude mani” avevo due obiettivi: dichiarare il mio amore per la scrittura e strappare un sorriso dissacrante. Obiettivi che andavano naturalmente perseguiti attraverso l’uso della fantascienza. Non mi sono posto alcuna regola sulla lunghezza, benché immaginassi che si sarebbe trattato di un racconto di dimensioni contenute. Il risultato finale, ovvero concentrare questa “ampiezza” in un testo tanto breve, mi ha soddisfatto. Un po’ come scattare una fotografia usando un potente grandangolo. Quindi, per tornare alla domanda, non è stato difficile, perché è avvenuto in modo del tutto naturale.

A.: Come fai a capire se uno spunto diventerà un racconto o un romanzo?

F.T.: Non lo so mai. Il romanzo (inedito) che ho da poco terminato era nato come un racconto, e attualmente sto lavorando alla possibilità di trasformare un altro racconto in un romanzo. Quando mi viene un’idea, solitamente la stesura di un racconto è il mio primo atto istintivo. Anche perché, altrimenti, rischio di dimenticarlo. Un po’ come a volte capita con i sogni. Non so ancora se questo sia un limite o una virtù. Forse è entrambe le cose allo stesso tempo.

A.: Come affronti il lavoro su una nuova ambientazione?

F.T.: Se si tratta di un’ambientazione che ritengo di conoscere o poter immaginare efficacemente, inizio a scrivere senza esitare. Se invece è necessario documentarsi, posso farlo prima di iniziare a scrivere oppure durante la realizzazione del testo. In linea di massima, in ogni caso, il mio modo di scrivere tende di più all’immediatezza che alla riflessione. Se sai di saper nuotare, è meglio tuffarsi e sentire l’acqua, piuttosto che decidere in anticipo stile e percorso. Certo, sarebbe bello fare sempre così anche nella vita…


venerdì 1 ottobre 2010

La fine vera dell’Umanità

Questo racconto, che definirei un dialogo post-apocalittico dalle lievi tinte noir, è risultato secondo classificato in occasione del Concorso Space Prohecies Episodio VI, e del Premio Ipazia, entrambi nel 2010. E' attualmente pubblicato nel numero 29 della rivista Living Force e nell'antologia Chronicles on the Moon, scaturite dai due concorsi. Successivamente ha trovato albergo nel numero 35 della bella rivista online diretta da Roberto Furlani, Continuum.


Hailé Poiron Marathi sedeva nel solito angolo del bar in cima all’edificio centrale di Ababa City. Aveva lo sguardo perso nel cielo e la mano stretta intorno a un bicchiere vuoto.
Gli ultimi clienti oltre a lui uscirono, e come tutte le ultime notti in cui si era rifugiato lassù, l’uomo restò solo.
Il barista aveva sonno.
-Ne vuole un altro, signore?- gli chiese da dietro al bancone.
Oltre la grande vetrata, l’emisfero della Terra emergeva dal buio come un galleggiante abbandonato nello spazio.
-Sì, Thomas. Grazie.
Hailé riusciva quasi a percepire il silenzio che proveniva da quel pianeta goffo e ingombrante.
Thomas lo raggiunse e gli lasciò la bottiglia sul tavolo. Sbuffò, tornò al bancone, e raccolse la testa fra le mani. L’orologio alla parete segnava le due del mattino.
Vicario Hassler entrò in quel momento, lanciò un’occhiata di saluto al barista e poi si diresse verso l’unico avventore.
Per Thomas l’arrivo di un compagno di bevute peggiorava le cose. L’attesa per smontare e chiudere bottega sarebbe stata più lunga del previsto.
-Buonasera, Hailé.- disse il nuovo venuto.
L’africano continuava a fissare la Terra.
-Cazzo, qualcuno dovrebbe andare a riprendere almeno un po’ di tutta quella roba. Dico, Vicario, te lo immagini quanto ben di dio c’è ancora lassù?
-Temo che la maggior parte sia ormai inutilizzabile, Hailé.
Hailé distolse lo sguardo dal cielo e guardò nella direzione dell’amico, soppesandone l’affermazione con la ridotta velocità che il tasso alcolico consentiva ai suoi neuroni.
-Non parlo della superficie, Vicario.- aggiunse in maniera distaccata, e tornò a rivolgersi verso il cielo.
-Mi riferisco agli avanzi rimasti in orbita. Cristo, riesci a immaginare quanti ce ne siano? Solo con i pannelli solari, potremmo rifornire di energia  almeno dieci nuovi insediamenti. Venti, forse. Per non parlare delle unità abitative autosufficienti delle stazioni spaziali, dei telescopi, dei satelliti per le telecomunicazioni…
-E i sistemi missilistici. Vorresti recuperare anche quelli?- domandò Vicario, sedendosi al tavolo.
-Cosa? Ma di che parli?
-Come pensi che siano riusciti a sterminarsi così in fretta? È per questo che non c’è stata alcuna maniera di fermare tutto. Prima che i funzionari ONU sollevassero la cornetta per organizzare una riunione di pace a Kabul o a Helsinki, i missili cinesi avevano già raso al suolo Nairobi, Dakar e Mandela Town. E i vostri avevano generosamente riservato lo stesso trattamento a Pechino, Shangai e Tokio, naturalmente.
-Avevo sempre saputo che gli accordi internazionali proibissero gli armamenti orbitali…
Vicario guardò l’altro in tralice.
-Pensi che una civiltà capace di autodistruggersi avesse davvero intenzione di rispettare simili accordi, Hailé?
L’africano rinunciò a una risposta che esigeva un ragionamento troppo complesso per le sue condizioni di quel momento.
-Be’, potremmo prendere tutto il resto, però. Dopotutto, ne abbiamo il diritto. La sopravvivenza della specie umana è affidata alla Luna, ormai. Dico bene?
Hailé rise. Forse era convinto di aver detto qualcosa di divertente. 
-Il Centro Ricerca se ne sta occupando, Hailé.- rispose pazientemente Vicario- Il problema è che non abbiamo abbastanza risorse. Per recuperare quel ben di dio rischieremmo un deficit energetico. E proprio perché la sopravvivenza della specie umana è affidata a noi, non possiamo permettercelo. Fra qualche anno, forse. Sempre che voi scienziati facciate bene il vostro lavoro.
Hailé rise ancora.
-Mi fa piacere che l’argomento ti diverta. Vedo che hai trovato un rimedio efficace alle sventure del genere umano.- sentenziò Vicario scoccando un’occhiata alla bottiglia.
-Il Centro Ricerca, il Comando del Settore Apolide, il Governo Lunare… dove ci porteranno tutti questi altolocati istituti di comando, Vicario? Guarda cosa hanno fatto i loro pari sulla terra. Me lo hai appena detto tu. Violazione degli accordi. Missili a pioggia. Sterminio di massa. Fino a un anno fa l’Umanità credeva in un futuro radioso, prometteva felicità per tutti, progettava di colonizzare tutto il sistema solare, e ora…
Hailé si fermò, e tacque.
-Le cose sono cambiate. Parecchio.- disse Vicario spezzando il silenzio.
-Già. Parecchio. È facile per te, Agente Vicario Hassler, eh?- replicò Hailé stizzito.
-Ne più né meno che per chiunque altro, Hailé.
-Ma sentitelo!- proruppe l’africano. -Tu sei nato qui, Vicario. Non hai mai saputo che cosa significhi vivere sulla Terra. Sei un agente del Comando del Settore Apolide. Un, un... poliziotto. Non hai un cazzo di nazionalità, non hai perso nessuno. Per te la guerra è stata un evento lontano, una cosa avvenuta su un altro mondo. E tu quel mondo non lo hai mai conosciuto.
Vicario lasciò correre. Ci era abituato. Hailé non era certo il primo a prendersela con lui, e con gli altri come lui, e non sarebbe nemmeno stato l’ultimo.
Ormai pareva che questa fosse la funzione sociale più importante degli agenti del CSA: raccogliere e diluire la rabbia di tutti. Come se gli apolidi fossero rimasti indifferenti allo sterminio. Come se la loro mancanza di nazionalità fosse una colpa.
A questo gravoso e non dichiarato compito si aggiungeva la formale necessità di indagare sulle violazioni delle Leggi Lunari, violazioni che fino a pochi mesi prima erano state irrilevanti per numero ed entità. 
Ma il tasso di criminalità sulla Luna era in aumento. Un’ovvia conseguenza della fine della civiltà sulla Terra. Del resto, era già un miracolo che sul satellite non fosse scoppiata l’anarchia; doveva essere stato l’istinto di auto-conservazione ad impedirlo. La consapevolezza di essere gli ultimi rappresentanti della specie umana, fatta eccezione per la minuscola colonia di Marte, che contava un centinaio di ricercatori con i quali erano stati persi i contatti, aveva evitato il peggio.
Ma il precoce svezzamento dalla madrepatria aveva anche trasformato una colonia internazionale pacifica e dedita alla ricerca nell’unica società umana esistente. Con le sue regole e le sue deviazioni. Con le sue debolezze e le sue tentazioni. Con l’intero corredo di pulsioni che determinano la necessità di un sistema di controllo.
Vicario sapeva che poco più di cento agenti sarebbero stati insufficienti per un simile scopo. Eppure, era tutto quel che avevano sulla Luna, e la comunità del Settore Apolide, in cui lui e gli altri erano stati reclutati, non era abbastanza prolifica da far prevedere un aumento degli organici in tempi brevi. Presto o tardi, il Governo avrebbe dovuto autorizzare l’accesso al piccolo corpo di polizia lunare anche ai cittadini delle Zone Nazionali.
La decisione di arruolare Agenti africani, cinesi, slavi o caucasici, e di averli a piede libero, armati e con mansioni di ordine pubblico, implicava rischi notevoli. E avrebbe fatto ancor più assomigliare la Luna alla cara, vecchia Terra. Del resto, prima che le comunità delle Zone Nazionali provvedessero in autonomia, era bene che qualcuno prendesse quella decisione, e in fretta.
-Hai più saputo niente di Karen, Hailé?
L’africano fece finta di non aver sentito.
-Scusami, Vicario. Ripeto sempre le stesse cose, vero? Abbi pazienza. Sono solo un microbiologo, io. Fino a ieri il mio problema principale era lo studio della replicazione cellulare nei ghiacci del polo lunare. Abbi pazienza, amico mio.
-Spero che continuerai a lavorare, Hailé. Abbiamo bisogno della scienza. Molto più di ieri.
Hailé trangugiò l’ennesimo bicchiere di vodka. Tutto d’un fiato.
-Posso avere un bicchiere anch’io?- gridò il poliziotto in direzione del barista.
Thomas si apprestò a obbedire. L’orario di chiusura era passato da un pezzo, ma era meglio non contrariare un Agente del CSA.
-Allora,- disse l’africano –come va la tua indagine? Hai scoperto qualcosa sulla morte di Jonas?
Vicario alzò lo sguardo dal tavolo, sul quale si era soffermato a contare i cerchi disegnati da ogni bicchiere che l’altro aveva bevuto.
-Stando all’autopsia il tuo collega  è morto soffocato.
-Be’, cazzo, lo credo bene. Mi hai detto che lo avete ritrovato sul ciglio del cratere Galvani senza ossigeno.
-Non è questo il punto.- replicò l’agente. –Vedi, quando la squadra di esplorazione lo ha rinvenuto, il cadavere era lì da non più di sei o sette ore. Il che è certo, perché la stessa squadra era già passata di là, e non lo aveva visto. Ma secondo l’autopsia Jonas è morto almeno un giorno prima del ritrovamento.
-Mi stai dicendo che si tratta di un omicidio?
Vicario versò un po’ di Vodka e ne sorseggiò con parsimonia.
-Il primo della storia lunare. Si direbbe che ci accingiamo a raccogliere per intero l’eredità della civiltà terrestre.- rispose il poliziotto.
-Questa sì che è grossa. Quindi, qualcuno lo ha portato lì dopo averlo ammazzato, giusto?
-Giusto.
-Già… con la gravita ridotta che c’è la fuori, non deve essere stato troppo faticoso, non è così? Il colpevole deve aver pensato che avreste creduto a un incidente. Vicario, Jonas era un esperto di passeggiate all’esterno. Non si sarebbe mai lasciato sorprendere da una carenza di ossigeno; a meno che non ci fosse una falla nella pressurizzazione, ma anche in quel caso se ne sarebbe accorto e sarebbe rientrato, o avrebbe chiesto aiuto. Era un astronauta esperto. Chiunque sia l’assassino, non deve essere troppo intelligente, se pensava di fregarvi in quel modo.
Hailé sembrò sorpreso, eppure, nonostante parlasse di un collega, la sbronza rendeva il suo tono lento e apatico. Vicario lo avrebbe trovato irritante, se non fossero stati amici.
-Sulla Luna mancano le competenze per uccidere senza lasciare tracce, Hailé. Per il momento, almeno. Magari fra qualche anno, quando gli interessi in gioco saranno cresciuti e le professioni del crimine si saranno sviluppate alla maniera terrestre, avremo anche noi i nostri assassini esperti. Ad ogni modo, in questo caso ho l’impressione che all’omicida non importava un fico secco di poter essere scoperto.- replicò l’agente.
-Stai pensando a un movente personale, quindi. È assurdo. Jonas era un tipo pacifico, non aveva nemici. Non che io sappia, almeno. Se ne stava sempre in giro a raccogliere campioni dei minerali lunari, e il resto del tempo lo passava al microscopio. Chi poteva avere interesse a ucciderlo?
Vicario portò il bicchiere alle labbra e sorseggiò un altro po’ di Vodka.
-Perché pensi che sia successo, Hailé?
-E lo chiedi a me? Sei tu il poliziotto.
-Non sto parlando di Jonas. Mi riferisco alla guerra. Come diavolo si può voler sacrificare tutto ciò che si ha solo per difendere un principio, un’idea astratta? A quel che so, Panafrica è stata inflessibile fino all’ultimo momento. Fino allo scoppio delle ostilità nessun esponente del vostro governo si è dichiarato disponibile a trovare un compromesso sulle miniere. E nemmeno quelli dell’opposizione.
-Non chiamarlo il mio Governo, amico mio. Vicario, io sono sulla Luna da quasi quindici anni. Con la politica della Terra ormai non avevo più nulla a che fare. Anzi, direi che me ne sono andato proprio per la mia intolleranza a certe cattive abitudini. Ad ogni modo, visto che me lo chiedi, penso che la nostra storia, la storia della mia gente, abbia avuto un peso determinante.
-La vostra storia?
-Sei giovane, Vicario. E sei un apolide. Una miscela che fa di te un vero cittadino della Luna. Scommetto che quando eri piccolo ti interessava di più la posizione degli oceani lunari che dei continenti terrestri. Tu indichi la Terra e dici “lassù”, mentre io, persino dopo tanti anni, qui mi sento sospeso nel cielo. Ed ora il cielo è tutto ciò che ci è rimasto.
-So che Panafrica ha vissuto periodi difficili…- disse il poliziotto mostrando un certo imbarazzo.
-Africa, Vicario. Era così che si chiamava, un tempo. Decine di stati, centinaia di clan, migliaia di tribù, che si combattevano in una maniera atroce. Con il bastone, e il macete. E per che cosa, poi. Per spartirsi le briciole del pianeta. Ci sono voluti quasi due secoli per diventare quello che eravamo. La più grande potenza mondiale.
-Eravate terrorizzati di poter tornare nelle condizioni precedenti, dunque.
-Qualcosa di simile, immagino.
-E pur di mantenere la vostra potenza, siete stati disposti a giocarvi tutto. Sai, è questo che mi inquieta di più. Capisco che un singolo essere umano possa cadere in una simile follia da preferire la distruzione totale di sé e degli altri. L’ho visto accadere, ma....
Hailé esplose in una grassa risata.
-Tu l’hai visto accadere? E dove? Sei nato e vissuto qui. Che ne sai della storia, della cultura degli esseri umani, tu? Cosa puoi sapere dei rapporti, delle relazioni sociali, della dinamica di un sistema complesso come un pianeta abitato da dodici miliardi di individui?
La sua risata si era trasformata in un digrignare rabbioso.
-A proposito- continuò -non deve essere facile districarsi nella ricerca di un assassino, per un corpo di polizia la cui massima responsabilità, fino a ieri, era il controllo delle falle nei sistemi di protezione degli insediamenti coloniali.
-Sai, Hailé, tu hai ragione da vendere. Io sono un Apolide. Non avevo legami con la Terra. Non avevo parenti, lassù. Non avevo nemmeno il diritto di trasferirmi, a meno che non avessi abbracciato una delle vostre nazionalità; e puoi credermi se ti dico che non ne ho mai avuto intenzione. Ma, diversamente da quel che pensi, proprio per questo nel mio Settore conosciamo della Terra molte più cose di quelle che pensate voialtri. La nostra mancanza di radici non ha scalfito la nostra curiosità; al contrario, l’ha acuita. Noi poliziotti, in particolare, studiamo molto gli usi e i costumi terrestri. Conosco molte più vicende processuali del tuo pianeta di quelle che puoi immaginare.
Vicario si accese una sigaretta.
-Evidentemente, molto tempo fa, qualcuno- riprese -aveva previsto che tutto questo sarebbe successo. Qualcuno abbastanza scaltro e lungimirante da intuire che una popolazione di coloni terrestri non sarebbe stata in grado di autodeterminarsi pacificamente, ebbe la bella pensata di isolare un settore della neonata colonia e stabilire la legge secondo cui quelli che vi si fossero trasferiti avrebbero perduto la cittadinanza terrestre. In cambio, i loro figli sarebbero stati destinati a governare la Luna, e a mantenere l’ordine. Quel qualcuno, amico mio, conosceva abbastanza bene la vostra cultura da temerla.
Hailé abbassò lo sguardo, rovesciò la bottiglia sul bicchiere e si versò un altro cicchetto. Molta Vodka cadde sul tavolo e Thomas arrivò a pulire, ma senza troppa fretta.
-Sta attento, Hailé, quella è una delle ultime bottiglie di Vodka ucraina che rimangono all’Umanità.- disse il poliziotto.
-Ad ogni modo,- aggiunse Vicario fissando l’altro negli occhi –capisco che un singolo uomo possa ridursi così, ma trovo incredibile che possa capitare ad una intera civiltà. Sacrificare tutto, pur di non cedere. Condannarsi a morte pur di procurare la morte ai propri presunti nemici. Credimi, è davvero difficile da accettare.
-Ehi, agente.- proruppe Hailé, quasi risvegliatosi dalla sbronza, –Da come parli, sembra che abbiamo fatto tutto da soli. Ti ricordo che i cinesi volevano prendersi le nostre terre, le nostre miniere, i nostri impianti di bioconversione, senza nemmeno chiederci il permesso.
-Lo so, lo so, Hailé. Ognuno aveva le sue ragioni. Purtroppo conversazioni come questa sono sempre più frequenti. Le vostre rispettive comunità non fanno altro che accusarsi a vicenda. Risse e pestaggi sono all’ordine del giorno. La Luna era un bel posto in passato, perché potevamo concederci il lusso di lasciare alla Terra il compito di occuparsi della politica, della storia, delle leggi e del progresso. Oggi tutta questa merda ci è caduta addosso. Ora siamo noi “la civiltà”.
-Immagino quanto tutto ciò sia pesante per uno come te, che sulla Terra non ci ha mai messo piede, Vicario.
Il poliziotto allontanò la bottiglia dall’altro e schiacciò il mozzicone della sigaretta nel posacenere.
-Non vuoi proprio parlarmi di Karen, vero, Hailé?
L’africano appoggiò la testa sul tavolo. E per la seconda volta sembrò che non avesse udito quel nome. Sembrava sull’orlo di addormentarsi.
-Abbiamo qualche indizio.- gli sussurrò allora il poliziotto avvicinandosi al suo orecchio.
Hailé emise un mugugno.
-Anzi, più di uno, per la verità. Tanto che il Governo Lunare ha autorizzato il fermo di una persona sospetta.- precisò.
-E cosa cazzo aspetti a dirmi chi è?- disse l’africano accennando a sollevare il capo.
-Una donna. Una bella donna dell’insediamento di Nuova Seoul. Un ingegnere nucleare. Sul corpo di Jonas il suo DNA era ovunque. Anche sui genitali. Direi, soprattutto sui genitali.
Vicario sorrise bonariamente.
-Pensa un po’, era una volontaria.- aggiunse -Niente salario, solo rimborso spese. Lo avresti fatto se fossi stato al posto suo?
-Jonas se la faceva con una cinese… chi lo avrebbe mai detto.- mormorò Hailé.
-Le mie pur limitate conoscenze della geografia terrestre mi consentono di affermare che la sua origine è coreana, Hailé. Abbiamo mantenuto l’informazione riservata. Se diventasse di dominio pubblico, sai cosa accadrebbe.
-Diamine. Faremmo la stessa fine della Terra.- sogghignò l’africano.
-Jonas ti aveva per caso parlato di questa donna?
-Mai. Mi stupisce persino sapere che ne avesse una. Voglio dire, una fissa, una che non si facesse pagare. Dimmi, Vicario, perché questa puttana cinese lo ha ammazzato?
-In effetti hai ragione, amico mio: dopo la distruzione della Terra aveva iniziato a fare la puttana. A volte ho l’impressione che le vere vittime delle guerre siano quelli che sopravvivono. A quanto pare questa donna, Han Li, aveva ottenuto l’assegnazione alle colonie lunari grazie a Jonas, che aveva truccato i suoi test di ammissione. A quel tempo però lei non si prostituiva. Chissà, forse si erano persino amati. L’ipotesi dell’accusa è che avessero litigato, e che comunque la donna temesse di essere scoperta.
-E cosa potevano farle? Rispedirla sulla Terra?- Hailé esplose in una risata cinica e stonata.
-Ritrovarsi clandestini nell’unico mondo possibile deve essere una condizione poco piacevole, oltre a rappresentare una grana per i pochi giuristi rimasti in forze alla civiltà. Ad ogni modo, ogni speculazione in merito è pura teoria, allo stato attuale.- ritorse il poliziotto.
-Lavoro facile, Vicario. Avete la colpevole.
L’africano sembrava tornato alla sobrietà.
-Hailé, davvero non hai notizie di Karen?- domandò il poliziotto prima di scolarsi un altro bicchiere.
Thomas, il barista, seduto due tavoli più in là, russava rumorosamente con il flacone del detergente ancora in una mano.
-Karen è da qualche parte nella Zona Americana, Vicario. O forse in quella Europea. Di lei non so più nulla.- mormorò l’africano con tono piatto.
-Ehi, Vicario, fra mezz’ora sorgerà il sole! Sono sei giorni che aspetto l’alba. Dannato ciclo lunare.- proruppe poi sollevando il bicchiere in direzione del cielo.
-Hailé, quando si diffonderà la notizia che una donna orientale è la responsabile del primo omicidio della storia della Luna, e che la vittima è un geologo di Kampala, sarà il caos. I cinesi sono considerati i responsabili della distruzione della Terra. I panafricani avranno il pretesto che cercano. Questa storia può avere conseguenze inimmaginabili.
-E io cosa posso fare per aiutarti, Vicario?
-Dovresti guardarla negli occhi, Hailé. È tutt’altro che facile. È una bella donna, ha perso marito e figli a Taipei, e si è ridotta a farsi scopare da sconosciuti per una manciata di sterline, o di yen. Credimi, non è affatto facile starsene lì e fare il proprio lavoro davanti a uno schifo del genere.
-Ti sei innamorato, poliziotto? Attento, a quanto mi hai detto, quella donna è pericolosa.
-Amore? Volesse la Terra, amico mio. Ma se uscirà viva da questa storia, penso che l’aiuterò, in qualche modo.
Vicario si rese conto che stava arrossendo, e abbassò il volto.
-Qualcosa ti fa pensare che non sia stata lei?- esclamò Hailé.
-Senza dubbio è innocente. Sarà anche una puttana, ma in vita sua Han Li non ha ammazzato nemmeno una mosca.
-Non ci sono mosche sulla Luna, Vicario. Hai studiato troppe cose della Terra.- ritorse l’africano.
-Voglio raccontarti una storia, Hailé.- sospirò il poliziotto, prima di riempire tutti e due i bicchieri e accendersi un’altra sigaretta.
-Vedi, avevo un amico, una volta. Un amico che aveva due cose per le quali avrebbe dato tutto: la sua donna, e la sua terra. Purtroppo un giorno la sua donna lo lascia. Succede, non è vero? Lei si innamora di un altro, e se ne va. Fin qui, tutto normale. Il mio amico soffre come un cane. Ma non basta: scopre che l’uomo che gli ha portato via la moglie è un bastardo cinese. Il mio amico inizia a scriverle, la implora di tornare con lui. Ma è tutto inutile. Lei ora vive a Bangkok ed è felice. Passano alcuni mesi, finché inaspettatamente, con un semplice messaggio di posta elettronica, lei gli annuncia che sta per tornare.
Vicario estrasse un foglio dalla tasca della giacca e la lasciò scivolare sul tavolo.
-Forse deve solo regolare alcune questioni, o forse ci ha ripensato. Chi lo sa? Ad ogni modo, gli scrive che partirà con la navetta del lunedì successivo. Il mio amico torna a vivere, e inizia il conto alla rovescia. Mancano solo cinque cazzo di giorni. Ma dopo appena tre giorni, tre soli dannati giorni, la città del mio amico viene rasa al suolo. E così tutte le città, sull’intero pianeta. Il mio amico si sente finito. Ha perso la sola donna che ha mai amato, la sua terra è stata distrutta, e ora lei è morta, insieme ad altri dodici miliardi di esseri umani. L’umanità lo ha tradito. La sua compagna lo ha tradito. Tutti, lo hanno tradito: i suoi nemici hanno distrutto la sua terra, e uno di loro gli ha rubato la sua donna. I suoi amici hanno permesso che tutto ciò accadesse. Tutto quello che aveva di più caro è scomparso. Nessuno merita comprensione. Sulla sopravvivenza del genere umano prevale un verdetto senza appello: i sopravvissuti non meritano di rimanere in vita, e il mio amico li condanna a perpetuare l’errore che è stato fatale per la Terra. Proprio come il Governo di Panafrica, preferisce la distruzione totale ad una vita di lutto. Il mio amico credeva nella civiltà; e così come era eccessiva la fiducia che riponeva in essa come uomo di scienza, ora è altrettanto eccessiva la sua idea folle che la civiltà meriti di scomparire dall’Universo.
Vicario si fermò e guardò Hailé.
L’africano stringeva fra le mani la bottiglia vuota, gli occhi chiusi, le lacrime che iniziavano a rigargli il volto.
-Il mio amico è deciso a punire tutti. Se stesso, i suoi colleghi, le persone che lo circondano ogni giorno. Una sera di solitudine come tante altre, si mette sulle tracce di una bella coreana, la trova e se la porta a letto. Dopo la guerra la donna ha perso tutto, e si prostituisce. Guarda caso, lei si trova sulla Luna grazie ad un collega del mio amico, un uomo pacifico e schietto, proprio come era lui un tempo. Il mio amico è un grande microbiologo, e durante la notte non ha difficoltà a raccogliere campioni di ogni parte del corpo della bella coreana. Qualche giorno dopo rintraccia il suo collega e lo avvelena con un raro tipo di tossoide difterico, che uccide il malcapitato per soffocamento; cosparge il cadavere delle tracce della donna e infine lo trasporta sul bordo del cratere Galvani, dove quindici ore dopo una squadra mineraria lo rinviene.
Il volto di Hailé si era asciugato; le palpebre erano ancora abbassate.
-È sui dettagli delle ore successive che non ancora ho ricostruito interamente la mia storia. Non so ancora se il mio amico sia tornato a casa o se sia venuto direttamente in questo bar, come tutte le sere successive da allora, a dar fondo agli ultimi stipendi per scolarsi una costosissima bottiglia. Non gli è rimasto molto. Ha ancora la sua vodka, e una gran pazienza di attendere. Sa che lo stesso odio sterminatore che ha spazzato via la civiltà terrestre non tarderà a fare lo stesso quaggiù, sulla Luna. I suoi amici coloni panafricani non aspettano occasione migliore per vendicarsi. E i cinesi, a loro volta, hanno già affilato i loro pugnali di ceramica, che sfuggono così bene ai nostri metal-detector. Tolti di mezzo il giovane Vicario e altri cento idioti senza nazionalità come lui, la guerra sarà facile e rapida. È solo questione di tempo. E magari lui, il mio amico, ha già deciso sull’orlo di quale cratere andrà a contemplare gli ultimi istanti della fine dell’Umanità. La fine vera dell’Umanità. Forse è per questo che tutte le sere si siede a questo tavolo, e guarda fuori. Io non penso che contempli la Terra, come vorrebbe far credere a me.
Hailé aprì gli occhi. Le lacrime erano finite, e l’espressione del volto era assente.
-Lassù. È lassù che sarei andato a godermi lo spettacolo, Vicario.- disse con tono indifferente, indicando la serra idroponica lungo la cresta settentrionale del Nectaris.
Il poliziotto vide negli occhi dell’amico un ultimo sussulto vitale. Dopo quindici giorni di buio, una sottile linea rossa all’orizzonte annunciò l’inizio dell’alba lunare.
Presto, la luce del sole avrebbe scacciato l’oscurità.

lunedì 16 agosto 2010

Onda d'Abisso a Senigallia.

Si è svolta il 4 agosto scorso, presso la Libreria Io Book di Senigallia, la presentazione della raccolta “Onda d’Abisso”, appena pubblicata per i tipi de L'orecchio di Van Gogh.
In una città in preda all’inconsueta atmosfera retrò del Summer Jamboree, fra nostalgici ricordi personali di Happy Days e una promessa di qualche ora in spiaggia al mattino successivo non mantenuta a causa di una tromba d’aria estiva nel perfetto stile neo-monsonico europeo, Giuseppe d'Emilio e Chiara Bertazzoni hanno condotto una bella serata, alternando letture di estratti dei racconti degli autori presenti, brevi interviste agli stessi e brani musicali del terzetto Evy. Insieme ad Onda d'Abisso è stato anche presentato il volume "Uomini a pezzi" (Eclissi Editrice).
Per il sottoscritto è stata l’occasione per conoscere o ritrovare, fra gli autori presenti, amici vecchi e nuovi, come Marica Petrolati, Gabriele Lattanzio, Alberto Cola, Gabriele Falcioni, Ramona Corrado (che è autrice di tutte le foto che ho spudoratamente rubato al suo album nell’insostituibile Facebook), i due presentatori già citati e naturalmente il curatore, Alessandro Morbidelli (che avevamo intervistato in merito qui).
Ricordo che il volume può essere acquistato online su IBS oppure ordinato direttamente presso l’editore, scrivendo a info@orecchiodivangogh.it.
La prossima presentazione di Onda d'Abisso è prevista per sabato 4 settembre, alle ore 11:00, presso la libreria Metrò, in Corso Giuseppe Garibaldi 91, Ancona, nell’ambito del Festival Adriatico Mediterraneo 2010.  
Gli autori, ben trenta, sono: Pelagio d'Afro (da uno spunto di Valerio Evangelisti), Danilo Arona, Alberto Cola, Andrea Angiolino & Francesca Garello, Alessandro Morbidelli, Elena Vesnaver, Giuseppe Di Bernardo, Ramona Corrado & Giuseppe D'Emilio, Manuela Maggi, Milena Debenedetti, Angelo Marenzana, Francesco Troccoli, Gabriele Lattanzio, Marinella Lombardi, Cristiana Astori, Igor De Amicis, Marica Petrolati, Alessandro Cartoni, Luigina Sgarro, Chiara Bertazzoni, Mauro Marcialis, Simonetta Santamaria, Paolo Agaraff, Bartolomeo Badagliacca, Matteo Severgnini, Sofia Bolognini, Lorenzo Trenti, Bruno Zaffoni, Mauro Smocovich & Sacha Rosel, Massimo Mongai.

lunedì 2 agosto 2010

Carlos Ruiz Zafón: «La vita di uno scrittore si svolge nel suo cervello»

Compie dieci anni la prima pubblicazione de «L'ombra del vento», un successo editoriale senza precedenti in Spagna: un centinaio di edizioni e 15 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Da Los Angeles, dove risiede, l’autore ne parla con ABC.

SERGI DORIA / BARCELONA - 20/06/2010
Avvertenza: l'intervista che segue è stata realizzata da ABC Spagna e la V.O. è pubblicata qui. La traduzione dallo spagnolo è mia.

—Come sono stati accolti i suoi romanzi nei vari paesi?
—Direi che l’accoglienza dei libri è stata la stessa in quasi tutti i paesi. I lettori rimangono lettori, non ha importanza dove stiano. Con il passare degli anni ho imparato che le persone che apprezzano la letteratura, il linguaggio, le idee e i libri sono molto simili in ogni parte del mondo e che ciò che le unisce supera frontiere e differenze culturali.

—«Il gioco dell’angelo» ha raggiunto i vertici delle classifiche di vendita negli Stati Uniti. Perché pensa che abbia avuto altrettanta e maggior accettazione de “L’ombra del vento” presso i lettori americani?
—Il successo de «L’ombra del vento» ha consentito di creare un’aspettativa ed una buona accoglienza per «Il gioco dell’angelo». Non mi azzarderei a dire che un romanzo abbia incontrato maggior gradimento dell’altro. «L’ombra del vento» è già da otto anni nelle librerie del Nord America e continua a trovare una risposta straordinaria. «Il gioco dell’angelo» è disponibile da appena un anno e ora ne verrà lanciata l’edizione tascabile, sulla quale si gioca la vera battaglia di fondo nel mercato nordamericano. L’edizione in copertina rigida da queste parti è solo un «trailer» ed i libri fanno carriera, o meno, nell’edizione «trade», qualcosa di simile a quanto avviene nel mercato britannico.
—Che differenza c’è fra le due opere nell’attrarre un certo tipo di lettore?
—Mentre lavoravo a «Il gioco dell’angelo» sapevo già che sarebbe stato un romanzo molto più difficile per la maggior parte dei lettori e che questa maggioranza avrebbe continuato a preferire «L’ombra del vento». Sono due romanzi molto diversi fra loro: mentre «L’ombra del vento» induce una reazione molto simile in tutti i tipi di lettore, «Il gioco dell’angelo» ispira reazioni diverse e contrastanti. È così che deve essere, perché corrisponde alla natura intrinseca di ciascuno dei due libri.

—Come trascorre la giornata uno scrittore a Los Angeles?
—Immagino in modo simile a quanto farebbe a Londra, Parigi o Móstoles (piccolo paese dei dintorni di Madrid, ndt). Non saprei. Forse con un po’ più di sole, e magari un po’ più di distanza da taluni rumori mondani che distraggono e ti sottraggono al lavoro e al vivere la propria vita. Buona parte della vita di uno scrittore si svolge nel suo cervello e questo non è diverso a seconda che ci si trovi in California o sui Pirenei aragonesi.

—E come vede Barcellona da Los Angeles? In questi giorni, ad esempio, si sta scavando al di sotto della Sagrada Familia un tunnel per il Treno ad Alta Velocità… Molti temono per il Tempio di Gaudí…
—A volte con una certa preoccupazione, altre, invece, con nostalgia. Speriamo che Gaudí e i barcellonesi, che sono sopravvissuti a tutto, sopravvivano anche a queste saghe bizantine di contratti multimilionari e torbidi interessi.

—Un’altra polemica tutta barcellonese è che si vuole proibire le corride dei tori per legge, e inoltre hanno iniziato a convertire la Diagonal (un grande viale di Barcelona, ndt) in una zona pedonale con tranvia elettrica, spostando tutto il traffico verso l’Ensanche…
—Forse sarà per la paura che il toro possa prendere qualcuno, che già andrebbe bene. La storia della Diagonal e dei tram suppongo sia un grande piano di pensionamento a carico del contribuente. O così sembra. Spero che sia semplicemente un’idea assurda morta sul nascere.

—Quali differenze vede fra la società letteraria spagnola e quella americana?
—Forse la società letteraria americana non è così politicizzata e condizionata da interessi di parte come talora sembra succeda a quella spagnola; ma a livello dei lettori, delle persone che amano la letteratura e la vivono, non credo ci siano molte differenze. È possibile che le maggiori differenze stiano in come si presenta quel «mondo» nei mezzi di comunicazione e che ruolo svolge nella società. Credo ci sia una sempre più pronunciata divergenza di base fra gli Stati Uniti e l’Europa in generale.

—Lei ha vissuto negli ultimi tempi della presidenza di Bush e assiste oggi ai primi passi di Obama. Quali cambiamenti percepisce?
—Gli anni dell’amministrazione Bush sono risultati catastrofici e hanno causato danni tremendi alla fibra sociale, politica e soprattutto economica di questo paese, per molti aspetti in maniera irreparabile. Gli inizi della nuova amministrazione hanno destato grandi speranze, ma adesso iniziano ad essere evidenti gli ostacoli. La deriva autodistruttiva che trascinava questo paese sembra essersi corretta, almeno momentaneamente, ma la questione è se sia possibile riparare il danno causato e disincagliare la nave. È da vedere. Buona parte dell’iceberg è ancora lì, sott’acqua, pronto a tornare all’attacco.

—Prima di tornare alla tetralogia del «Cimitero dei libri dimenticati» prevede qualche incursione letteraria di segno diverso?
—Non si sa mai. A volte mi pare che sia meglio non parlare troppo dei piani che uno ha o di quel che in un dato momento ha per le mani, perché in seguito si cambia idea e alla fine si fanno cose molto diverse da quelle che i lettori attendevano.

—Il fotografo barcellonese Josep Martínez ha collezionato 400 dragoni nella sua raccolta «Drakcelona». Come procede la sua affezione per il mitico animale?
—«Drakcelona», mi piace. Dovrò procurarmi una copia di questo libro. La mia affezione per i dragoni non si placa. Continuo ad adottarne ovunque li incontri e, nonostante il crescente numero, conviviamo in pace e armonia.

—Lei ammira il lavoro degli sceneggiatori televisivi e afferma che abbiano un talento maggiore di molti autori di letteratura.
—Be’, si tratta di una generalizzazione che avrebbe in realtà molte sfumature. Mi sembra che in più di un’occasione su questo argomento mi siano state attribuite parole che non erano esattamente quelle che avevo pronunciato, spesso con malizia e intenzioni poco onorevoli. Detto questo, e mettendo da parte le ovvie differenze che esistono fra scrivere narrativa o letteratura e scrivere serie televisive drammatiche o comiche per la televisione, sì, penso che si debba riconoscere che negli ultimi dieci anni siano state prodotte numerose serie televisive, spesso nate in canali via cavo come HBO e Showtime, nelle quali la qualità drammatica e la fattura formale sono impeccabili e spesso molto superiori a quel che troviamo nel cinema di stampo commerciale. Nonostante il paragone fra letteratura e televisione sia difficile, se non impossibile, è anche vero che spesso si apprezzano in queste serie un talento e un impegno narrativo che è molto difficile riscontrare in buona parte della produzione narrativa che considera se stessa raffinata e letteraria.

—Quali serie raccomanderebbe al telespettatore spagnolo?
—Direi «The Wire», «The Sopranos», «Mad Men», «Weeds», «DeadWood», «Entourage», «The Good Wife», «House», «The West Wing», e molte altre. In verità io vedo poca televisione e scopro queste serie sempre in ritardo, a volte anche anni dopo che sono state prodotte, finisco per vederle in DVD e quasi mai nell’orario commerciale di trasmissione, per cui di certo i lettori saranno molto più aggiornati di me su quel che merita fra i vari programmi trasmessi. Le mie ore di ozio sono più dedicate alla lettura e alla musica, che è il mio maggiore interesse.

—Continua a considerare Dickens e Stephen King come autori di punta? Cosa ha letto negli ultimi mesi?
—Stephen King è un autore che lessi soprattutto negli anni della mia adolescenza e Dickens lo rileggo regolarmente, ma questi sono solo due fra i tanti autori con cui mi sono dilettato nel corso degli anni. Leggo un po’ di tutto e non presto troppa attenzione alle etichette né ai preconcetti che spesso accompagnano i libri. Posto questo, preferisco farmi una mia idea e decidere per me stesso cosa penso e cosa mi interessa. Negli ultimi anni la mia tendenza è stata quella di leggere più saggistica, soprattutto la storia, benché stia tornando a poco a poco ai romanzi. In questi ultimi mesi ho scoperto alcuni nuovi autori interessanti come Victor Lavalle o Dexter Palmer e ho anche ritrovato un grande scrittore, Ian MacDonald. In genere leggo un libro alla settimana, più o meno, per cui queste sono solo alcune delle mie letture… ho letto di tutto e quasi tutto è risultato interessante.


Ruiz Zafón e le nuove tecnologie.
Per essere ben informato, Carlos Ruiz Zafón dice che è solito consultare le edizioni digitali di vari quotidiani con il caffè del mattino, «New York Times», «Los Angeles Times», «The Guardian», e numerose altre pubblicazioni digitali. «Le cose che mi interessano davvero preferisco leggerle sulla carta che tengo in mano. Per i rumori passeggeri mi basta lo schermo del computer», afferma lo scrittore.
In quanto al libro elettronico, lo scrittore ha l’impressione «magari sbagliata, che porterà beneficio non all’industria editoriale che la promuove quanto ai produttori del supporto elettronico, che ci venderanno ogni anno un modello nuovo. L’industria editoriale cadrà in una trappola da cui credo che uscirà molto malridotta. E questo senza entrare nel merito della pirateria, che è già un cancro culturale senza rimedio».