La piccola folla assiepata attorno al tumulo fumante iniziò a disperdersi, mentre brandelli di silenzio si posavano fra coloro che avevano gridato, applaudito e mandato lodi ai santi. Il cielo era livido, e una cenere grossa si librava nell’aria, che sapeva di marcio e di bruciato.
Yusuf vide un branco di ragazzini allontanarsi dalla radura correndo verso di lui, alla ricerca di un altro spettacolo da consumare, e tirò su il bavero della casacca, per nascondere il volto. Il colore della sua pelle era giusto di una tonalità più marcata di quella di un andaluso, o di un castigliano del sud, ma di quei tempi la prudenza non era mai troppa. Le bestiole tirarono dritto, e lui riprese fiato.
Quando la catasta fu libera dagli avventori, Yusuf scoccò uno sguardo intriso di rabbia e pietà verso l’informe bozzolo residuo di quell’essere umano, che pure non stentò a riconoscere colpevole di esser nato donna, e vivere libera e sola.
Ora doveva pensare soltanto a se stesso. Per tutte le vagabonde, le povere in ispirito e le fuggiasche che sarebbero state dichiarate esposas de Satan, lui non poteva far nulla, se non compiangere la loro sorte.
Nemmeno pregare per raccomandare l’anima di quelle povere disgraziate ad Allah, Jahvé o Cristo sarebbe servito a molto; nella sua vita Yusuf aveva conosciuto troppi dei per sceglierne uno a cui votarsi, e l’unica vera fede che aveva ereditato da suo padre, mercante di spade in Cordova, era nella dottrina di Avicenna e Averroè.
Mosse le briglie e riprese il trotto, lasciandosi alle spalle il bosco vicino alla città di Oviedo, nel quale suo malgrado aveva assistito all’orrendo sacrificio.
Lungo il percorso non era difficile imbattersi in gruppi di pellegrini o in penitenti solitari, che talora procedevano strisciando, prostrati a terra, o trascinandosi sulle ginocchia, e un’andatura lenta e posata era garanzia di pace e innocuità per chiunque avesse incontrato sul sacro suolo del Camino.
Ai fedeli che incontrava durante la marcia, Yusuf non trascurava mai di presentarsi, scendendo da cavallo e condividendo con essi il pane o l’acqua, e dando prova del suo spirito caritatevole.
-Mi nombre es Don José Rincòn. Marqués de La Ribeira.- precisava sempre, sottolineando il suo lignaggio, eppure mostrandosi umile come l’ultimo dei postulanti. Raccontava a tutti una fantasiosa storia che aveva inventato e che vedeva la sua nobile moglie uccisa dalla peste in quel di Toledo, e il voto fatto a San Giacomo affinché il morbo risparmiasse la figlioletta di pochi mesi, che quello stesso giorno era stata battezzata con il nome della madre. Come un petalo, diceva quasi in lacrime, che si era staccato e risorgeva dalla corolla di una rosa che appassisce. Qualche giorno dopo, la piccina, pur salva dalla malattia, gli era stata strappata da una belva che nel cuore della notte si era intrufolata nel lazzaretto, e di lei non aveva ritrovato che le povere ossa, il giorno seguente, e una rosellina bianca e solitaria che fra esse aveva attecchito e sembrava trarre linfa vitale. Ma il voto a Santiago era bell’e fatto, e lui, invece di tornare a combattere in terrasanta (ove aveva già dato guerra ai saraceni per quasi cinque anni) aveva dovuto mettersi in marcia, poiché non gli era parso il caso di violare il patto col santo in tempi di cattiva sorte. Il suo resoconto della tragedia traboccava di cristiana pietà a un punto tale che anche i viandanti più poveri, e perfino gli storpi, e i ciechi, si sentivano dei fortunati al suo confronto. Si guadagnava il loro rispetto e ispirava simpatia. E ogni volta che aveva così finito di abbindolare qualcuno, si congedava con cortesia cavalleresca e balzava al galoppo avanti fino al gruppo successivo, correndo più veloce della sua stessa fama. E così, disseminava il cammino della leggenda del nobile e sfortunato guerriero votato alla pia marcia verso la redenzione.
A giudicare dal numero di impiccagioni di viandanti dalla pelle troppo scura, delle quali era venuto a conoscenza, era legittimo pensare che la notizia del mourisco in fuga si fosse sparsa in fretta persino lassù, nel Nord. Yusuf provava un brivido ogni volta che rammentava che in fondo tutte quelle morti erano dovute a lui. Ah, se solo quei poveri pellegrini del Redentore avessero saputo che il nobile José era il fuggiasco che tutti cercavano!
Aveva lasciato la sua città, Lisbona, quasi un anno e mezzo prima, e per far perdere le sue tracce si era diretto a oriente. Aveva solcato l’altopiano dell’Alentejo e poi, risalendo i deserti dell’Estremadura e della Castiglia settentrionale, aveva raggiunto l’Atlantico e si era nascosto nella fitta boscaglia che ammantava la costa. Da lì aveva intrapreso lo stanco cammino verso occidente che nessun ricercato dalla santa inquisizione dotato di un minimo di senno al posto suo avrebbe deciso di percorrere, ovvero diritto verso il cuore della cristianità di Spagna; e questo pensiero era quanto di più rassicurante a cui poteva aggrapparsi, a parte la sella di Cruz, la sua cavalla e, all’occorrenza, l’elsa della sua spada lusitana.
Gli sgherri di Torquemada avrebbero ucciso le loro madri pur di mettere le mani addosso a “O Alfacinha”, “il lisbonese”, e condurlo alla corte di Ferdinando; se vivo, o morto, poco importava. I piccoli curati di campagna, dal canto loro, bramavano di potersi fregiare del rogo di un eretico e offrire alle loro greggi un fulgido esempio dell’ira castigatrice di Dio.
Nel regno unificato dalle sante nozze fra l’Aragona e la Castiglia, erano rimasti pochi luoghi ove rifugiarsi per un “converso”. Yusuf sperava che Santiago di Compostela fosse fra quelli. Per di più, la sua colpa era ben più grave del semplice essere un moro convertito.
Egli aveva sposato una strega.
E per giunta, il matrimonio era stato regolarmente celebrato secondo il rito cattolico romano, da un priore ubriaco in punto di morte che poi, prima di spirare, si era dato la piena assoluzione per quello e per svariati altri peccati. Il giorno dopo, per proteggere la fuga del suo amato, la donna aveva sedotto il vescovo Anton Perequil di Granada, confessato la sua stregoneria e mentito sulla direzione che Yusuf aveva preso. Benché il priore fosse stato in seguito dichiarato eretico dal vescovo, il matrimonio fra i due era rimasto valido a tutti gli effetti; nemmeno Sua Santità in persona avrebbe potuto scioglierlo.
Yusuf aveva appreso il destino della consorte solo molti giorni dopo il rogo che restituì all’inferno l’anima di Mariposa. E sempre in quell’occasione aveva saputo che la donna appena sposata gli aveva salvato la vita e che... era una strega. Quest’ultima parte, se non fosse stata la ragione della morte della donna, lo avrebbe fatto sorridere.
Dentro quella vicenda, come si vede, ce n’era abbastanza per ben più di una scomunica. Secondo Torquemada, vi era in essa l’impronta della zampa sinistra del Diavolo fattosi uomo. E il diavolo portava il nome e le sembianze dell’infedele Yusuf O Alfacinha.
Quando il mourisco avesse raggiunto Santiago, il viaggio al porto di Vigo sarebbe stato breve, sperava, e laggiù, una volta trovata una nave in partenza, avrebbe tentato di realizzare il suo sogno di libertà, e tornare nel luogo dal quale i padri dei suoi padri erano provenuti, secoli prima di allora. La terra prospera e felice degli Omayyadi, degli Almoravidi e degli Abbasidi. La bianca terra dei califfi, di Abd-Al Ramahn, e di Maometto.
Su lugar. Il luogo.
Yusuf sapeva bene che l’antica gloria dei suoi avi era ormai sepolta sotto la polvere del tempo, e che le guerre agli infedeli stavano fiaccando sempre più la pur strenua resistenza del suo popolo natio. A sentire i menestrelli e i narratori erranti, i soldati con lo scudo crociato facevano carne da macello di quelli della mezzaluna, e le mura saracene si facevano sempre più fragili. Eppure, benché temesse di essere respinto anche da loro, i suoi lontani fratelli, non aveva altre speranze. Per lui non c’era più alcun posto nella terra di Cristo.
A quel pensiero, sfregò la piccola testa di legno del figlio di Dio, che era sfregiata in volto e che conservava nel taschino come fosse una reliquia della sua Mariposa, da cui l’aveva avuta. Era quanto di più prezioso portasse con sé nel viaggio verso la libertà.
Su objeto. L’oggetto.
Yusuf aveva viaggiato alla luce di diciassette lune, ed era stanco. In quel tratto di strada non v’era traccia alcuna di viandanti o pellegrini. Quella sera, il disco del sole calante pareva più grande del consueto, e stendeva sui prati intorno un tiepido manto di velluto rosso.
Il mourisco sorrise al pensiero che in terra di Spagna la maggior parte dei cosmologi era convinta che l’astro ruotasse intorno al mondo, ma poi rammentò l’insegnamento di Averroè sulle inevitabili falsità dell’umana percezione, e sentì di dover essere più indulgente. Ma quando il profumo dei fiori selvatici invase le sue nari, Yusuf lo assaporò godendo appieno della materialità dell’essenza umana, e, per fallaci che fossero, in barba ai filosofi, si inebriò delle sensazioni che il corpo regalava alla sua anima. Preso dall’euforia, allentò le briglie e lanciò il cavallo al galoppo nella direzione da cui aveva visto alzarsi una colonna di fumo bianco; in quel momento avrebbe dato tutto il suo oro per un piatto di minestra e un letto. Possibilmente, caldi entrambi.
D’un tratto, un grido acuto raggiunse Cruz mentre galoppava senza freni; la cavalla si bloccò sulle zampe anteriori, si infossò, e per poco non lo disarcionò. Poi si impennò, e solo con molta fatica Yusuf ottenne che non si imbizzarrisse. Quando ebbe ripreso il controllo, il mourisco tese le orecchie e percepì un altro grido, e poi ancora un altro. Smontò e ne seguì l’eco nella boscaglia, e così giunse in prossimità di un ruscello, dove un uomo gigantesco e cencioso copriva con la sua mole quella che dalle urla soffocate non poteva che essere una donna che ne stava subendo le sevizie.
Yusuf non sopportava quel genere di fellonia; e sì che essa non era infrequente, in quelle desolate e fredde campagne. L’uomo non si era affatto accorto del suo arrivo, e con tutta probabilità nemmeno la donna. Yusuf sguainò la spada e tirò una vigorosa pedata sul di dietro del seviziante, che barcollò con tutto l’occorrente in bella mostra, e caracollò a terra sotto il suo peso, tradito dall’ebbrezza dei sensi e dalle braghe calate.
La donna, in lacrime, cercò di coprirsi. Benché fosse spaventata e ferita, Yusuf si accorse di quanto era bella, e giovane, ma poi si sforzò di non guardare il suo corpo violato.
Senza indugiare oltre presso di lei, Yusuf spinse la punta della spada sul gozzo dell’assalitore, poi allentò la presa e gli ordinò di alzarsi. Gli si rivolse dapprima in castigliano, poi, quando quello mostrò di non capire, ripeté il comando in gallego, lingua che l’uomo sembrava digerire con maggiore facilità; dunque si trovava già oltre il principato delle Asturie. Nella stessa lingua, il grosso maiale lo omaggiò allora con una generosa serie di bestemmie, insulti e minacce. Il mourisco le ignorò, e con la spada ancora tesa verso la gola dell’altro prese un sacchetto dalla sella della cavalla Cruz e costrinse il prigioniero ad un centinaio di metri di distanza. Poi gli si avvicinò, gli abbassò la spada sul basso ventre, e col polso applicò all’elsa un movimento secco di rotazione attraverso il quale, con una precisione millimetrica, recise un testicolo dello sciagurato. Barnabìn, così si chiamava il vile assalitore, emise un latrato sinistro e si accasciò a terra, sanguinante. A Yusuf quel lamento ricordò quando da bambino udiva il gemito dei porci sgozzati per le feste pagane.
Indifferente ai contorcimenti della bestia, Yusuf gli gettò il sacchetto accanto, e disse che con quella spezia avrebbe fermato il sangue e forse, con l’aiuto del suo dio (se ne aveva uno) si sarebbe salvata la vita. Quindi gli consigliò di utilizzare in modo migliore quanto gli era stato risparmiato fra le gambe, ma forse quello non lo udì perché gli sembrò che fosse svenuto.
-As alaikum salam.- mormorò infine il mourisco prima di andarsene.
Mentre Cruz procedeva al passo con il corpo della ragazza riverso sulla sella, Yusuf le parlava con tono dolce, perché quella si tranquillizzasse e capisse che era finita in buone mani.
-Una giovane donna dovrebbe guardarsi dal vagar sola nel bosco. Il camino è pieno di furfanti che vivono succhiando il sangue ai pellegrini, mia signora.
Il sole tramontò mentre gli occhi della donna, esausta, si chiudevano sul volto dello straniero.
Yusuf aprì gli occhi quel tanto che fu sufficiente a riconoscere l’alba dalla luce rosacea che filtrava attraverso le imposte. Un profumo morbido di lavanda gli addolcì il risveglio; seduta ai piedi del letto della miglior stanza della Pousada del Aguila, un ristoro per pellegrini facoltosi, la donna che aveva salvato lo stava guardando.
-Dunque è stata la buona sorte a farci incontrare. Avevamo bisogno l’uno dell’altro, signore.- aveva detto Yusuf la sera prima al locandiere, quando aveva appreso che quella che gli aveva riportato era Maria Luz, la sua unica figlia. -Ho salvato la virtù di vostra figlia, e in cambio non vi chiedo che un letto.
Maria Luz aveva sedici anni, e la sua pelle era scura almeno quanto quella del mourisco; Yusuf pensò che forse anche sua madre era una convertita, ma non osò chiedere. Ogni parte del suo volto sembrava sorridergli: i grandi occhi neri come una notte stellata, il nasino impertinente da ragazzina, e la perfetta bocca di donna. Aveva perso sua madre in tenera età, e così aveva dovuto crescere in fretta.
Yusuf quasi si vergognò della fitta al basso ventre che provò in quell’istante; istintivamente si coprì le gambe con le lenzuola. Il suo pensiero andò poi al padre della giovane, ma lei fu svelta nel rassicurarlo: -Mio padre è andato in paese e rimarrà fuori fino al tramonto.- disse senza pudore.
Maria Luz si distese su Yusuf, lo baciò, e dopo un cenno di resistenza il mourisco cedette all’attacco. Quelle che seguirono furono ore indimenticabili.
Benché non gli fossero certo mancate le occasioni, era da quando Mariposa aveva lasciato il mondo che Yusuf non faceva l’amore con una donna; Maria Luz gli aveva restituito il desiderio, e con esso la voglia di vivere. All’improvviso, il mourisco non fu più certo di voler continuare a fuggire. Perché, si domandava, la sua vita doveva essere costellata di addii? Forse era giunto il momento di fermarsi.
Maria Luz era avvolta dalle sue braccia mentre Yusuf rimuginava sul proprio destino e sentiva opposte pulsioni far della sua anima un campo di battaglia. Il sole era ormai alto, e il profumo dell’erba dei campi era intenso e tornava a solleticare il desiderio di entrambi.
Ma in quell’isola di gioia posta al riparo dai flutti del tempo, si insinuò all’improvviso un rumore stridulo e molesto. Si trattava in realtà di una voce, o meglio, del montare di molte voci urlanti che non lasciavano presagire alcunché di buono.
Maria Luz corse alla finestra e li vide arrivare. Era una banda di cenciosi abitanti del vicino villaggio, a cui sembrava che si fossero uniti anche pellegrini e altri straccioni di passaggio. Parevano preda del Fuoco di Sant’Antonio. Alcuni di essi erano armati di spada, altri brandivano forconi, roncole, e altri affilati attrezzi da contadino; fra loro la ragazza non tardò a individuare il prete, che teneva alto un crocifisso con le braccia e recitava il rosario a occhi chiusi, trascinato dalla piccola folla e scandendo le parole con l’isteria di un invasato.
-Per la regina Isabella!- gridò Maria Luz.
Yusuf la raggiunse, e riconobbe subito Barnabin, il grosso porco, alla testa del branco di pazzi. Avanzava zoppicando e reggendosi con la mano il poco che gli era rimasto appeso. Il mourisco si maledisse per averlo risparmiato e giurò che avrebbe fatto tesoro di quell’errore. Poi invece, pensò che non avevano importanza le facce, i nomi, le persone; chiunque fossero, quella gente era la stessa che aveva assassinato la strega nel bosco di Oviedo, e la sua Mariposa, tanto tempo prima di allora, e ancora molte, moltissime altre. Era la stessa, piccola folla omicida, capillare ed efficace strumento della volontà del Dio dei cristiani e del governo di Re Ferdinando.
-Siano maledetti. - digrignò. -E’ me che vogliono, luce mia. Vattene via!
A quelle parole, la ragazza non rispose e si avvinghiò alla vita di Yusuf, stringendolo in preda al terrore.
Il mourisco si svincolò con dolcezza dal suo abbraccio, aprì la madia e afferrò in fretta le sue cose. Voleva andarsene, e portare gli assassini lontano da lei. Fu così che la sua piccola testa di Cristo cadde in terra e rotolò fino ai piedi di Maria Luz. La donna si chinò e la raccolse. A Yusuf parve di leggere sul suo viso un’espressione sorpresa, come qualcuno che ritrovi un oggetto smarrito, o qualcosa che aveva sempre aspettato.
Maria Luz aprì un cassetto e ne estrasse un crocifisso decapitato. Yusuf era sbigottito, e si fissò a guardarla, mentre lei, lentamente, cominciò ad accostare le due parti, per ricongiungerle. I lembi spezzati combaciavano perfettamente.
Come se il suo corpo fosse diventato di un’altra, Maria Luz lasciò cadere il crocifisso in terra, aprì la bocca e con una voce che non le apparteneva iniziò a recitare:
-Que a ira de todos os deuses criados pelo homem caia sobre o homem! (1)
Yusuf rabbrividì. Erano esattamente le stesse parole che gli avevano riferito che Mariposa aveva gridato in punto di morte.
Sus palabras. Le parole.
E non le aveva dette in gallego, ma in portoghese, lingua che Maria Luz non conosceva.
-Que o triste destino do porco degolado pelo homen caia sobre o homem tornado carne para porcos! (2)
Il mourisco avrebbe voluto scuoterla, portarla con sé, ma era come se Maria Luz fosse avvolta da un’aria impenetrabile, soffocante, ribollente, che non gli permise di avvicinarsi. Yusuf comprese che quello era il calore di un rogo. Il rogo dei tribunali di Cristo.
-Que as chiamas que o homem quiz possam arder dentro de seu corpo! (3)
All’improvviso il crocifisso che la donna aveva ricomposto si accese come un fiammifero e prese vivacemente fuoco, e le fiamme si propagarono al pavimento, alla madia, e alle pareti. In breve tempo il fumo saturò la stanza, e Yusuf dovette aprire la porta e uscirne, mentre inutilmente implorava la giovane, pregandola di tornare in sé. Eppure, una parte di lui comprendeva perfettamente quanto stava succedendo.
Giunto sul corridoio, l’uomo vide un’altra finestra, e si affacciò. Con stupore osservò la cortina di fiamme che si erano alzate sul prato antistante la locanda, e gli invasati assalitori che si industriavano nell’inutile tentativo di sopirle usando l’acqua del vicino granaio; alcuni brandivano il forcone contro il fuoco, come se quello potesse temerli. Yusuf immaginò che stavano combattendo contro i loro demoni, fuori e dentro di sé. Poi guardò il prete, e vide il suo crocifisso anch’esso preso dalle fiamme, e il maiale cencioso, Barnabìn, che davanti ai suoi occhi s’attizzò come fosse stato una delle mille streghe che aveva stuprato.
E così accadde agli altri, a tutti. Uno dopo l’altro, i corpi di quei maledetti pazzi si incendiarono come micce fradice d’olio, e Yusuf non seppe decidersi se fosse più terrorizzato o sollevato da quanto accadeva dinanzi ai suoi occhi.
L’aria divenne presto irrespirabile, e l’istinto di sopravvivenza prese giocoforza il sopravvento sull’angoscia per la sua Maria Luz; Yusuf scese dabbasso, salì in groppa a Cruz senza nemmeno aver modo di sellarla, e fuggì via. Sembrò che l’intera foresta fosse stata presa dalle fiamme.
Per qualche istante, il mourisco dubitò delle proprie certezze, ed ebbe timore di Dio. Ma chiunque fosse, quello doveva essere un Dio molto diverso da quelli che lui aveva conosciuto e ripudiato.
Era un dio vendicativo con il volto di una donna. Con il volto di tutte le donne.
Yusuf galoppava in sella alla sua Cruz, e il vento asciugò le lacrime che gli rigavano il volto. Solo dopo alcune miglia tornò a sentire l’odore dell’erba, e infine riuscì di nuovo a respirare a fondo.
Sentiva dentro di sé l’amore di tutte le streghe che lo avevano amato.
Mise una mano nel taschino, e come fosse stata sempre lì, sentì una piccola testa di legno, che era sfregiata in volto e che conservava come fosse una reliquia. Era quanto di più prezioso portasse con sé nel viaggio verso la libertà.
Su objeto.
(2) Che il triste destino del porco sgozzato dall’uomo si abbatta sull’uomo fatto carne per porci!
(3) Che le fiamme volute dall’uomo possano ardere dentro al suo corpo!