I fattori collimanti che ad essa hanno concorso sono molteplici e meriterebbero ciascuno una trattazione speciale che non ci è consentita fra le pur virtuali (e dunque illimitate in numero e lunghezza) pagine di un blog.
Suggerisco di partire, nemmeno fosse una parola obbligatoria da utilizzare (come accade in certi concorsi che si dicono letterari), dal “luogo”.
Esso è ormai arcinoto agli interessati come “TBQ”. Direi anzi che è l’unico nome oggi calzante. Codesto acronimo, dopo aver inutilmente evocato nel lettore occasionale simili anglofone espressioni (come, per esempio, TBD, o anche TBC, che accogliamo come beneaugurante), in verità indica la in effetti tediosamente lunga ma inevitabile definizione Teatro Biblioteca del Quarticciolo, struttura ibrida di veltroniana (sigh) nostalgia, fino ad oggi sopravvissuta (incredibile ma vero, purtroppo per certi) con l’intero prezioso sistema delle biblioteche romane alla new age destrorsa capitolina. Trattasi di edificio di molto notevole architettura svettante nel cuore del quartiere sulla via Prenestina, e composto di ingresso, numero una biblioteca, numero un teatro e servizi annessi. Bistrot con vista, per giunta. Un vero gioiello nel cuore della periferia, per nulla inferiore ai blasonati ritrovi recitatizi del centro (N.B. la terzultima parola della frase precedente è frutto di gustoso neologismo, non si perda tempo a mandare e-mail di protesta). Il TBQ è un luogo che ce ne fossero di più, l’Italia sarebbe quello che in molti vorremmo che fosse. Quando poi la direzione è affidata a gente come Marina De Tommasi, allora capita che vengano persino usati egregiamente. Ne avevamo avuto prova in marzo (e non prima, come sarebbe stato possibile, solo a causa dell’ignoranza crassa di chi gestisce il presente blog), in occasione di un reading nel quale chi sta ora scrivendo queste righe ha avuto l’onore di essere letto insieme al molto sacro Ray Bradbury e al nostrano campione fantascienziaco (vedasi sopra in merito ai neologismi) Donato Altomare.
Ma torniamo all’amato tredicigiugnoduemilanove.
Il progetto teatrale è stato sapientemente diretto dalla regista Lisa Ferlazzo Natoli, ed eccellentemente eseguito da una compagnia di attori (Simone Càstano, Fortunato Leccese, Valentina Morini, Alice Palazzi, Aida Talliente, Tania Garribba) che si sono cimentati (il termine è quanto mai appropriato) con la lettura di brani a causa dei quali altri, molti altri, al loro posto avrebbero potuto subire danni psichici, probabilmente permanenti. Nel loro caso, invece, abbiamo notato una bianca fioritura progressiva, per cui germogliando una appresso all’altro, i sei giovani hanno trasformato otto scritti in voce potente e movimento del corpo, schiudendo altrettante messe in scena, ciascuna del tutto diversa dall’altra.
Un pronunciamento, forte e chiaro, va fatto sull’argomento “Rillini”, quelle misteriose creature fantascientifiche che popolano porzioni elette di Roma e si industriano per far capire alle masse che il “fantastico” è una parte (importante, accidenti) dell’essere umano, e non una cosa strana, piccola, melmosa e da evitare con attenzione (non vi vengono in mente varie cose rispondenti a quest’ultima definizione, non tutte propriamente pregiate?), come ancora alcuni pensano. Le strane creature, cui va un sincero grazie, rispondono ai nomi di Francesco Ruffino, Valeria De Caterini (direttamente coinvolti nell’organizzazione di questo evento), Alberto Panicucci (a cui va il consiglio di darsi alle Pierre nella vita, a vari livelli per giunta) ed Edoardo Cicchinelli. RiLL, per i muri che non lo sapessero ancora, sta per Riflessi di Luce Lunare (quindi la “i” va minuscola, chiaro?).
L’esordio è stato frenetico: vi siete mai chiesti Perché non si dovrebbe costruire la linea C della metropolitana di Roma? Ce lo spiega Massimo Mongai (noto agli intimi come Magister Maximus) convincendoci a un punto tale che finalmente un mistero è svelato: è per questo dunque, che la prossima sotterranea che verrà inaugurata nella capitale ha quella sigla stramba; ci eravamo sempre chiesti perché mai l’avessero chiamata “B1”. Ma attenzione, una volta posta questa domanda, non ci si può esimere dall’affrontare la risposta, e non è detto che la mente umana possa... comprenderla tutta. La musica (Luca De Carlo, trombettista dei Tetes de Bois) fa quindi scivolare con dolcezza la compagnia nella travolgente pacatezza storico-fantastica delle Simulazioni, con cui Giovanni Bruni (presente in sala) detiene il primato invidiabile e non emulabile di vincitore del Primo trofeo RiLL (1995). Dietro alle sagome umane in libero movimento controllato, iniziano nel frattempo a comparire i primi tratti di pennello di Valeria De Caterini, e scopri quanto un segno isolato può essere umano mentre la tua memoria anamnestica se ne va a zonzo fra le pitture rupestri della nostra nascita collettiva. Si chiama arte, e l’artista prima o poi lo riconoscerà (ci auguriamo che sia già successo nelle ultime ore).
Dopo alcuni minuti la platea entra in un giardino illuminato dalla luna, la lettrice diventa un alto cipresso accusatore, e gli spettatori si muovono come gatti erranti nel buio. E’ l’effetto della Voce di Arion, (Alessandro Negrini, 1996), un sussurro, che non può non raggiungere chiunque, perfino nei pressi di un lago che tutti confidiamo vicino. Forse lo è anche più di quanto crediamo.
L’incanto si rompe perché ne nasca un altro (immodestamente affermo); è la mia storia (Tempus Fugit, 2008). E’ quel che capita quando cerchi di dimenticare, rimuovere, eliminare, aggirare (rendo?) alcune cose della tua vita, ma quelle ti ritornano addosso e ti rimettono in riga. L’ho detto tante volte, prima o poi io mi sveglierò in un’altra epoca. Della mia vita o di quella altrui. Del resto, chi mi garantisce che non sia già successo stamattina? Ma cosa vedono i miei occhi... mentre io chiacchiero l’artista lì dietro, in silenzio, ha partorito una donna.
Magia femminile. Ah...
Fumo di sigaretta. Ma siamo in teatro (e io ho appena smesso di fumare, dannazione). Be’, se lo fa lui, possiamo starci. Humphrey Bogart (Bogey, Emiliano Angelini, 2001) è sul palco. O meglio, lui si lamenta perché sostiene di non essere esattamente se stesso (l’avevo detto che qui si rasenta la follia, no? Oh, poveri attori, non li invidio). Non più, o non proprio. Be’, insomma, la storia è complicata. Da qualche parte poi c’è pure Marilyn. Ovviamente in un letto. Roba da non crederci. Sotto Il peso degli angeli (Guido Alfani, 2000), l’aria diventa tagliente e cupa, e forse molti pensano al padre. Io un po’ sì, lo confesso. Un padre da cui non riusciamo a separarci, o magari non vogliamo. Un padre che avrebbe voluto che anche noi portassimo lo stesso peso che ha condizionato la sua vita, e che ad esso ha vincolato ogni presunto privilegio. Attenzione, perché un tal figlio, sì facendo, mette in gioco... la sua stessa vita.
Una stoccata improvvisa scuote tutti: se è vero che gli invasori Arrivano! (Andrea Angiolino, 2006) sempre dal mare, non è detto che tutte le case del villaggio verranno distrutte, e allora... qualcuno potrà dar loro una mano, cinica e beffarda. E’ un tocco fugace di ironia di gran classe, dunque una perfetta entree per il Gran Finale.
Eh sì, l’ora della fine è vicina (in senso buono, dunque astenersi da apotropaismo, prego), ce lo grida divertita la rappresentazione corale di una Pari opportunità (Francesca Garello, 2007) concessa ad un aspirante strega beneventana (la mancanza dell’apostrofo dopo l’articolo non è un errore, non seccatemi!) made in USA. Indubbiamente la teatralizzazione è la più riuscita fra le otto prodotte, quella in cui i sei attori esprimono il meglio di sé, in una successione di trovate esilaranti per le quali l’autrice è ben nota, e che tradotte in scena diventano poesia comica. Un nuovo sottogenere del fantastico. Genere Garello. E mentre aumenta il numero di pennacchi stregoneschi nell’immagine disneyana che riempie lo sfondo, ci par di vedere calare il sipario. Ma siamo nel fantastico, e allora... chissà che non sia un’illusione.
Speriamolo , va’.
I RACCONTI:
Perché non si dovrebbe costruire la linea C della metropolitana di Roma, di Massimo Mongai (giurato del Trofeo RiLL)• Simulazioni, di Giovanni Bruni (vincitore del I Trofeo RiLL, 1995)• La Voce di Arion, di Alessandro Negrini (vincitore del II Trofeo RiLL, 1996)• Tempus Fugit, di Francesco Troccoli (secondo classificato al XIV Trofeo RiLL, 2008)• Bogey, di Emiliano Angelini (vincitore del VII Trofeo RiLL, 2001)• Il peso degli angeli, di Guido Alfani (vincitore del VI Trofeo RiLL, 2000)• Arrivano!, di Andrea Angiolino (giurato del Trofeo RiLL)• Pari Opportunità, di Francesca Garello (vincitore dell’XI Trofeo RiLL, 2005)
5 commenti:
Caspita, è stata una serata davvero magica!
Che invidia... ;-)
In effetti, sì.
...dev'essere stata una serata veramente "fantastica" !!!
Chissa' che emozione vedere la propria storia rappresentata.
Un abbraccio
AR
E bravi! :-)
Io c'ero... bella serata davvero!!!
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