mercoledì 19 novembre 2008

Per amore

Questo breve racconto è giunto terzo al Premio Alois Braga, edizione speciale 2008.

Non avrei mai pensato che sarei stato felice di entrare in una Chiesa.
Eppure quel giorno lo ero, e molto. Sono sempre stato un ateo impenitente, e se fosse stato per me Helene non avrebbe dovuto sposarsi in Chiesa. Fosse stato per me Helene non avrebbe dovuto sposarsi affatto. Ma non era da me che poteva dipendere quella scelta.
Lasciando da parte il mio pensiero sull’argomento, devo riconoscere che fu proprio una bella giornata. Una splendida giornata di sole nel cuore delle alpi, lassù, a milleduecento metri; era lì che si trovava la piccola cappella degli alpini che lei aveva voluto. Gli invitati mormoravano che lui aveva accettato con gioia tutte le scelte che lei aveva fatto riguardo quella giornata. Non ho alcuna difficoltà a capirlo. Anch’io al posto suo l’avrei lasciata fare.
Helene è sempre stata così. Persino quando era in difficoltà enormi; difficoltà che spero che ora lei non ricordi neppure nei suoi peggiori incubi. Voleva sempre decidere in prima persona; non lasciava mai che qualcun altro lo facesse al posto suo, nemmeno se era convinta che fosse per il suo bene.
L’avevo conosciuta molti anni prima. Era difficile dire esattamente quanti, e lo è tuttora. L’avevo amata, e forse quel giorno la amavo ancora. Ma chi voglio prendere in giro… la amo ancora oggi.
L’aria era ferma, il sole era caldo, e l’odore dell’erba fresca e dei fiori dei monti mi stordiva, tanto era forte. Sono abituato all’odore acre del solfuro, a quello pungente dell’ipoclorito, a quello dolce del permanganato, io; per me il puzzo del gas dei becchi buntsen usati per scaldare le provette è stato un compagno di gioventù. Sono sempre stato un animale da laboratorio, e per fortuna, dico oggi; poi a lei questa mia vocazione era sempre piaciuta, tutto sommato.
L’altro topo da laboratorio, mi chiamava sempre.
Tutt’intorno, il vociare diffuso dei pochi invitati si confondeva con il ronzio delle vespe; a tratti, le campane del vicino pascolo delle vacche facevano il solo rumore che interrompeva quella monotona, dolce e soporifera sinfonia. Avrei potuto addormentarmi sereno, disteso sul prato fiorito.
Ma quella giornata, per il Dio di Helene, non l’avrei mai persa per nulla al mondo.
La cerimonia era già finita, in realtà; c’era stato anche il lancio del riso, e lei ora stava girando fra gli invitati, per i saluti, gli auguri, i sorrisi.
La vidi camminare. La vidi correre. La vidi persino saltellare come una bimba verso il vecchio zio che tanto amava, da sempre.
Quando mi vide, feci in tempo a strofinarmi e asciugare le lacrime sotto i provvidenziali occhiali scuri. Si avvicinò a me, titubante, indecisa. Continuava a fissarmi, e conoscendola sapevo benissimo quanto si stava sforzando di ricordare, per arrivare da me con un nome e un saluto pronti fra le labbra. Per un attimo pensai che mi avesse riconosciuto. Sarò sincero, lo sperai. In fondo non ci sarebbe stato nulla di male.
Naturalmente non fu così.
-Buongiorno.- dissi io per primo per rompere il ghiaccio.
Aveva i capelli corti, come se in quella nuova vita avesse deciso di trasformare anche il suo aspetto. Era ancora più bella di come la ricordavo, e non poteva che essere così.
-Buongiorno…- ricambiò.
-Io sono Jean. Jean Blisset.
Avevo mentito, ma solo in parte. Non so perché, ma non ce la feci a presentarmi con il mio vero nome. Quel giorno non potevo permettermi di essere me stesso. Altrimenti avrei rischiato di provarci gusto, e avrei potuto rovinare tutto.
-Allora lei è…
-Sono il fratello di Antoine.
-E dov’è lui? Antoine… è qui?
-Purtroppo Antoine non è potuto essere presente. Si trova all’estero per un appuntamento di lavoro. Non poteva mancare; mi ha mandato personalmente, per farsi perdonare.
Sorrise.
-Antoine non ha proprio nulla da farsi perdonare da me. Mai.
-So che è stato molto importante nella sua vita.
-Antoine me l’ha salvata, la vita. Avevo solo quattro anni. Se quel giorno lui non fosse stato lì a prendermi e strapparmi via all’improvviso, io sarei stata investita da quel pirata. E ora sarei morta.
No, non saresti morta, piccola mia. Sarebbe stato peggio, molto peggio.
-Sa- aggiunse -è il ricordo più lontano che ho dentro di me. Il primo ricordo, forse, dalla mia nascita. Sento ancora le sue braccia calde che mi stringevano. Lui è il mio eroe. L’unico vero eroe della mia vita.
Arrossì.
-Sono venti anni che non lo vedo- aggiunse -Lei gli somiglia tanto, sa?
Sentivo che la piccola che avevo salvato quel giorno si era davvero innamorata. Non poteva che essere così. Peccato che in quella vita io avessi trentaquattro anni più di lei.
Ora aveva un uomo. Era giusto, era bello così. Lui era uno a posto. E io fui ancora più pieno di lei, dei miei ricordi, dei nostri momenti infiniti a guardare le stelle sui monti.
Io avevo faticato ad adattarmi, all’inizio. Avevo faticato immensamente. Ero arrivato laggiù solo un paio di giorni prima dell’incidente, appena in tempo per iniziare il viaggio con cui raggiunsi il posto preciso, per intervenire all’ora giusta.
L’avevo vista sulla curva, all’alba, e mi ero lanciato verso di lei. Sapevo chi guidava quell’auto. Ma questa volta non sarebbe stato importante che lo prendessero.
Mi bastava che lei si fosse salvata.
Helene non sarebbe finita su una maledetta pietosa sedia a rotelle per il resto della sua vita.
Per inciso, non mi avrebbe nemmeno mai conosciuto, non ci saremmo mai innamorati, non avremmo vissuto insieme. E, ora lo so per certo, io non avrei mai conosciuto il mio compagno di stanza all’università, Didier, il mio complice in questa pazzia; il topo da laboratorio, come lo chiamava lei, l’amico comune che ci aveva fatti incontrare.
La lasciai il giorno prima della partenza. Pensavo che così sarebbe stato più facile, anche per lei.
Facemmo l’amore quella sera, e poi le lasciai un biglietto; le spiegavo quanto l’amavo, ma anche che era finita. Diedi la colpa ai miei studi, alla mia carriera all’università.
Era l’unico modo in cui potevo farlo; non avrei mai potuto dirle dove andavo, né perché. Mi avrebbe considerato pazzo, o peggio ancora, mi avrebbe creduto e sarebbe forse anche riuscita a fermarmi. No, l’unica maniera fu lasciarla, con amore, ma senza dubbi. Sperai che avrebbe tentato di odiarmi, e temetti che non ci sarebbe mai riuscita.
Si stava alzando il vento.
La voce di Helene, lassù in montagna, mi risvegliò da questo turbinare di ricordi.
-Si sente bene?- mi domandò.
-Certo. Mai stato meglio di oggi, mi creda. E’ stato davvero bello conoscerla.
Chiacchierando, avevamo passeggiato per alcune centinaia di metri verso valle. Eravamo lontani dagli sguardi degli altri e mi salutò con un bacio sulle labbra. Rimasi sorpreso, ma da parte sua fu un atto spontaneo e naturale; per me invece fu travolgente, quasi come un altro balzo nel tempo.
-Porti il mio bacio ad Antoine- sussurrò.
Poi, senza guardarla, mi girai e iniziai a scendere.
Annegai nelle lacrime.
Ora, mi rimane l’unica parte divertente di tutta questa assurda storia.
Chissà se Didier mi crederà, quando domani gli dirò che il suo esperimento è riuscito. Mi riconoscerà, così invecchiato? Penserà ch’io sia un impostore? Chiamerà la polizia? Non sarà facile convincerlo che la sua macchina assurda ha funzionato.
Chissà se anche in questa vita Didier sta provando a realizzare il suo sogno; chissà se sta cercando qualcuno da spedire indietro nel tempo, come ha fatto con me.
Un pazzo, che pur sapendo che non c’è ritorno, si offra volontario.
Magari, per amore.

lunedì 3 novembre 2008

Premiazione Ri.L.L. e Presentazione Antologia

A Lucca, quest'anno la manifestazione "Comics and Games" ha totalizzato 130.000 presenze, di cui ben 58.000 nella sola giornata di sabato 1 novembre.

Durante la manifestazione ho avuto il piacere di ricevere il premio per il piazzamento come secondo al Trofeo RiLL - Riflessi di Luce Lunare, per il racconto "Tempus Fugit", consegnatomi dal Magister Maximus Massimo Mongai, amico, scrittore di FS, e docente di scrittura creativa presso la scuola Omero di Roma cui partecipai a suo tempo.
(http://it.wikipedia.org/wiki/Massimo_Mongai).


Come ha detto Massimo nel corso della presentazione, è bello ritrovarsi fra amici in simili occasioni. E' la seconda volta che un autore partecipante ai suoi corsi ottiene un risultato al Ri.L.L., dopo il secondo posto dello scorso anno dell'amica scrittrice Luigina Sgarro, il cui racconto "I miracoli di Porta Metronia" fu quindi pubblicato nell'antologia 2007 dal titolo "Schegge di mondi incantati". (Qui: http://www.rill.it/?q=node/140)

Desidero ringraziare gli organizzatori, Alberto Panicucci e Francesco Ruffino, la giuria, che nell'occasione è stata rappresentata da Massimo Mongai, Donato Altomare e Andrea Angiolino, e l'intero comitato di lettura o pre-giuria, all'interno della quale saluto Edoardo Cicchinelli che ho conosciuto in occasione della cena.

La mattina di domenica 2 novembre è stata presentata la relativa antologia "Fuga da mondi incantati", Nexus Editrice 2008 (qui: http://www.rill.it/?q=node/167)


Onore al vincitore, Euro Carello (con il racconto "I corvi sono lì che aspettano") e complimenti alle simpaticissime e bravissime terza classificata, Francesca Garello (già vincitrice lo scorso anno) con il racconto "Case History"e quarta classificata, Maria Francesca Zini, con il racconto "Zed".

Davvero due giorni indimenticabili... speriamo di ripetere l'anno venturo con il XV Trofeo Ri.L.L.!

venerdì 31 ottobre 2008

Un'altra vita

Racconto selezionato per l'antologia "Nuovi Autori Science Fiction" - NASF - Numero 4. (Comunicato organizzatori: NASF 4)

Ripenso spesso al giorno in cui me ne andai.
Ancora oggi, non saprei dire perché mai, nel pieno di una notte insonne, mi balenò in testa l’idea di partire, lasciare tutto e tutti, e cambiare completamente la mia vita.
Non c’era davvero un motivo preciso.
In fondo io a casa mia ci stavo più che bene. Le mie giornate erano abbastanza monotone, questo è vero, e la temperatura a volte era insopportabile per uno che, come me, a quel caldo infernale non aveva mai fatto l’abitudine.
A volte penso che, semplicemente, mi trovavo nel posto sbagliato.
E allora, quando me ne sono accorto, devo aver deciso di mettermi in marcia, per trovare il luogo dove sarei stato felice. Felice come se ci fossi nato e poi ci fossi vissuto felice di esserci nato.
Felice.
Ecco, deve essere così che è andata. Volevo sentire in me qualcosa che a casa non mi era mai riuscito, e che nei miei amici laggiù invece vedevo, beati loro.
Deve essere per questo che succedono certe cose. Vivi la tua vita e un bel giorno, bam! Se hai il coraggio di non chiudere gli occhi, ti accorgi che non è quella giusta e cominci a cercare. Ammesso in effetti che il termine, vita, sia quello corretto per l’esistenza che conducevo io a quel tempo.
Il problema è che non hai la più pallida idea di quale sia quella giusta. E così, una volta che hai cominciato, rischi di girare per secoli senza trovare niente di meglio. D’altronde, non era certo il tempo che a me mancava.
Comunque sia, ti convinci presto che cercare qualcosa di meglio è meglio che accettare quel che non vuoi più. Non so se mi spiego.
Quando lo raccontai ai miei amici, loro mi dettero del pazzo.
Lucy, Aleppo, Andreina, persino la piccola e dolce Fiammella. Quando dissi loro dove volevo andare a cercarla, la mia nuova vita, tentarono in tutti i modi di dissuadermi. Mi parlarono di insidie, pericoli, ostacoli a non finire.
-Sono dei bastardi quelli!- aveva persino gridato il caro Asmodeo, nella misura in cui gli era permesso dalla voce rauca da vecchio fumatore incallito.
Roba da far impallidire quelli che noi consideravamo i normali problemi della nostra quotidianità. Un conto, mi dicevano, è andare lassù per lavoro, e un altro è trasferirsi!
Era una vera follia. Perfetto dunque, proprio ciò di cui avevo bisogno.
Il primo problema che dovetti affrontare fu il mio aspetto. Non potevo certo andar lì come nulla fosse, e pretendere di essere accettato dalla gente. Fu una regola che mi imposi da subito: niente apparizioni, niente ricatti, nessun effetto speciale. E soprattutto, nessun patto con chicchessia.
La storia è piena di simili tentativi finiti male, molto male.
Dovevo prima rendermi il più possibile simile a loro, e non sapevo se avrei avuto qualche speranza di farcela. Ma era tale il mio desiderio, che le provai tutte, quando proprio fra gli abitanti del posto trovai chi era disposto a darmi una mano, naturalmente dietro cessione di una notevole quantità di soldi. All’inizio le mie fattezze spaventavano quella gente, poi, quando capivano che non c’era nulla da temere da uno con il mio carattere, e soprattutto dopo che avevano visto il contante, finivano sempre per sopportare di buon grado la mia presenza.
Ero preparato; conoscevo bene le loro debolezze; dopotutto, la mia professione mi aveva portato ad accumulare una notevole esperienza in tal senso.
Si trattava di lavorare, per così dire, su alcuni elementi particolarmente appariscenti, che avrebbero destato sospetti e risvegliato antichi pregiudizi.
Il chirurgo si rifiutò di darmi garanzie, ma mi disse che, se un giorno ci avessi ripensato, avrebbe potuto cercare di rimettere tutto a posto come prima. Ma io non sentivo di aver bisogno di una simile rassicurazione; a quel tempo volevo davvero tagliare tutti i ponti con il passato.
Lo ringraziai comunque per quella premura.
Per i primi giorni me ne dovetti andare in giro sorretto da una stampella e con una vistosa fasciatura intorno alla testa. Ancora però non avevo dolore, benché la lesione alla mia identità fosse evidente. Su ogni spalto, balaustra o ringhiera, dovevo sempre ricordare la mia nuova situazione, e lottavo con istinti ancestrali per costringermi a scegliere la via di terra.
Non potete immaginare quante volte, all’inizio, caracollai rovinosamente sul suolo prima di realizzare appieno che l’unico modo per potermi muovere erano le mie gambe, così sottili, e pensate al più per mantenere la posizione eretta in condizioni di riposo.
Penserete che chiamarle gambe è un eufemismo, ma il rispetto e la stima che ancora nutrivo per i nativi del luogo mi costringevano a rendere appropriato anche il mio vocabolario. Insomma, di quelle non mi preoccupavo troppo, dopotutto con quel clima freddo avrei sempre portato i pantaloni e nessuno ci avrebbe fatto mai caso.
Evidentemente dovevo ispirare molta pietà a tutti, perché ovunque andassi, in autobus, nei ristoranti, mi lasciavano sempre un posto per sedermi e si offrivano di aiutarmi. Era quello il loro lato buono, e non capii che si trattava di mera apparenza.
Poi c’era il problema del denaro, naturalmente, al quale però avevo pensato già prima di trasferirmi definitivamente. Averne a sufficienza era quanto mai opportuno, per non dire necessario.
Nelle mie ultime trasferte di lavoro avevo, diciamo così, forzato un po’ la mano a un paio d’amici, un killer professionista ed un rapinatore dalla mano pesante, e potevo quindi vantare un discreto conto in banca. Inoltre, con la mia ormai lunga esperienza in fatto di finanza creativa, avevo provveduto a farmi rilasciare una mezza dozzina di carte di credito.
Vi starete domandando come abbia potuto assumere un’identità a cui fatturare tutti questi servizi. Be’, pensate davvero che per uno come me fosse difficile? Dovevo solo essere molto attento ad utilizzare qualcuno che non fosse troppo in vista, qualcuno che nessuno avesse voglia di cercare.
Un reietto, uno dimenticato dal suo mondo, per trascuratezza, per superficialità, senza neanche un briciolo d’odio; uno così poco importante da non meritare nemmeno d’esser diseredato.
Uno come me.
Scelsi un giovane molto simpatico, ormai depresso cronico a causa della malattia incurabile. Aveva lasciato la sua famiglia in un altro paese, senza dir loro nulla, e viveva ai margini della società cosiddetta civile.
Ora che ci ripenso, era davvero un bravo cristo.
Da allora mi chiamai John.
John Johnson.
Cosa posso farci? Erano quelli, il suo nome e il suo cognome, e unica ragione del suo trapasso al mio cospetto.
Non gli feci male. Ho sempre detestato la violenza in ogni sua forma. Lui voleva morire, ed io lo accontentai. Pensate che quando mi vide e capì che razza di tipo fossi, disse che nel posto in cui lo avrei mandato finalmente ne avrebbe viste delle belle, e che gli stavo facendo davvero un gran favore, e che poteva smettere di pregare il suo dio.
Bah.
Io invece non sarei mai tornato laggiù, e per niente al mondo. Doveva essere una questione di punti di vista.
Più i giorni passavano, più speravo di abituarmi a quel clima, che trovavo ancora decisamente piuttosto freddo per la mia primitiva biologia corporea. E’ strano a dirsi, ma devo ammettere che il caldo di casa, proprio quel caldo secco che avevo sempre detestato, a tratti, e in qualche modo, mi mancava. Immaginai che al mio fisico sarebbe occorso ben più di qualche giorno per adattarsi.
Per non parlare degli sbalzi termici fra giorno e notte. Indecenti.
Per fortuna, riuscivo a riscaldarmi abbastanza, grazie al cappotto in cui nascondevo le ferite dell’intervento chirurgico, e le fasciature che ancora proteggevano le numerose cicatrici da virus e batteri. Prima o poi dovevo decidermi a perdere quel senso di vergogna che mi faceva sentire ancora un diverso, ma non potevo nemmeno essere troppo avventato.
Prudenza, amici, ci voleva prudenza.
Non vi nascondo che le ferite mi davano uno sgradevole senso di fastidio che sapevo si sarebbe presto tramutato in autentico dolore; soprattutto all’osso sacro. Mi rifiutavo sistematicamente di poggiare il mio di dietro su sedie di legno o metallo che non fossero addolcite da uno strato di stoffa sufficientemente alto e morbido. Ricordo che mi comprai perfino un piccolo cuscino, che tiravo fuori al momento opportuno.
Dopo un paio di settimane iniziai a far a meno della benda che mi avvolgeva la testa. Potete immaginare le battute idiote della gente alla vista dei due grossi lividi che avevo in fronte, che avevo tenuti ben celati fino a che c’era stato del sangue. E che sangue, il nostro. Rosso come il fuoco.
Cominciai a grattarmeli continuamente; doveva essere un tic nervoso. Quando da un giorno all’altro ti tolgono qualcosa che hai sempre sentito tuo, istintivamente continui a cercarlo, un po’ per abituarti alla nuova condizione, un po’ perché in fondo in fondo c’è una parte di te, nell’inconscio, che si oppone sempre e comunque al cambiamento.
Ma certo, che ce l’ho anch’io un inconscio. E bello sviluppato, per fortuna.
Dovetti cercarmi una casa.
Da quelle parti vagabondi, nomadi e senza tetto sono guardati con diffidenza, e di buone ragioni per essere emarginato come un povero disgraziato io ne avevo già abbastanza di mio; per fare più in fretta mi rivolsi quindi ad un’agenzia immobiliare.
Scelsi un vecchio seminterrato quasi abbandonato in periferia, una via di mezzo fra una cantina dismessa ed un box per automobili, che fino a poco tempo prima era stato il ricovero di un gruppo di profughi clandestini che ci erano vissuti in sette. Ci faceva talmente caldo che ci stavo bene, e poi era il modo migliore per non dare nell’occhio. C’era sempre tempo per progredire nella gerarchia sociale, e io volevo iniziare dal basso.
Non c’era molta luce, ma per me quella non era certo una novità.
Avrei potuto pagare in contanti l’intera somma, ma per la già citata esigenza di discrezione preferii seguire la via della gente comune, e mi rivolsi ad una banca per ottenere un mutuo.
Ne scelsi una a caso, una piccola filiale a soli tre isolati dalla mia futura casa.
Mi imbattei presto in un problema che mi doveva accompagnare per molto tempo ancora: non riuscivo ad entrare a causa della cellula fotoelettrica della porta automatizzata all’ingresso.
Quella maledetta fotocellula non mi vedeva. Ero ancora troppo diafano. E così, approfittando del fatto che la cabina di controllo poteva ospitare due persone contemporaneamente, ogni volta che dovevo entrare ero costretto ad appostarmi in attesa che dovesse entrare qualcun altro, e lanciarmi in una vorticosa rincorsa del nuovo avventore per abusare della sua gentilezza e prodigarmi in scuse mentre invadevo con la mia goffaggine quello spazio angusto.
Potete figurarvi come il poliziotto di guardia osservasse la scena, anche considerato che indossavo un pesante cappotto invernale nel tiepido periodo primaverile. Durante la scansione di sicurezza, aveva occhi solo per me. Dopo un po’ ci fece l’abitudine e non ci badò più.
Anzi, alla quarta volta che mi recai lì scambiammo anche due chiacchiere, e io gli imbastii una storia inverosimile che mi vedeva reduce dalla guerra appena finita, costretto a nascondere le mie ferite, che lui, senza manco averle viste, definì onorevoli, Non sapevo nemmeno io a quale guerra mi riferissi, ma sapevo che ce n’era sempre una a cui lui avrebbe pensato.
Joseph, così si chiamava il brav’uomo, mi esortò a scoprirle e mostrarle con orgoglio, e io lo ringraziai e gli dissi che ci avrei pensato. Aggiunsi che quando avessi deciso lui sarebbe stato il primo ad avere questo piacere, e lui replicò che sarebbe stato un onore.
Ricordo come scandì le sillabe di quella parola: o-no-re. Gli uomini danno valore a cose strane e lo tolgono a quelle più ovvie.
Una volta entrato, ricordo che ebbi a che fare con un giovane rampante funzionario addetto alla concessione di mutui, prestiti, e finanziamenti di ogni tipo. Nell’attesa che arrivasse il mio turno, lo vidi cacciare a male parole prima una vecchietta sotto sfratto e poi un invalido civile che non aveva più soldi per pagare l’avvocato nella causa che aveva intentato contro la banca; qualche minuto dopo, lo osservai mentre accettava la proposta sessuale di una giovane donna sposata da poco, e disposta a tutto pur di non subire un ulteriore aumento del tasso di debito.
Mi guardai in giro per scrupolo, ma come sospettavo non c’erano i miei ex-colleghi a fomentarlo. Li avrei visti, se fossero stati lì, ma sapevo che la maggior parte di noi non fanno questo genere di cose, e infatti quella era tutta farina del suo sacco.
Un vero autodidatta. E poi dicono male di noi.
Avevo ancora qualche residuo delle mie vecchie facoltà, per cui ora posso confessare che diedi una mano a quei malcapitati, dopo che si furono allontanati. So che ancora oggi i primi due vivono felici nella loro casa, e ricevono una discreta pensione integrativa, mentre la donna è riuscita a far cuocere il tizio al punto tale che quello le ha bloccato il tasso al minimo possibile, e poi le ha abbonato l’ultimo anno. E senza nemmeno andarci a letto.
Insomma, il mutuo fu concesso anche a me, e per giunta con ottime condizioni di dilazione e rateizzazione, e così divenni un soddisfatto proprietario immobiliare. Cominciavo davvero a sentirmi un cittadino come gli altri e ne ero persino orgoglioso.
Ingenuità del principiante.
Dopo qualche giorno mi recai in un ufficio postale per spedire alcune lettere che avrebbero accompagnato un ambiguo curriculum vitae verso i grandi palazzi del potere e della finanza; volevo cercarmi un lavoro. Così, avrei saldato ogni debito sociale e culturale verso la mia nuova patria.
Manco a farlo apposta, cinque minuti dopo il mio ingresso apparvero quattro tizi imbavagliati e armati fino ai denti; uno di loro era imbottito di esplosivo. Gridavano di star fermi, contro le pareti. Io ero abbastanza tranquillo, di scene così ne avevo viste tante, e fu forse per questo che i rapinatori scelsero me come ostaggio.
Si fecero scudo di me, nel vero senso della parola. All’uscita, mi beccai la pallottola silenziata di un cecchino, ma i rapinatori nemmeno se ne accorsero. E nemmeno io, sulle prime, ad esser sincero. Mi sbatterono nel loro furgone e partimmo a tutta birra; dopo pochi chilometri cambiammo automezzo, ma vollero tenermi con sé.
Capii che avevano un appuntamento.
L’auto che avevano preso, una veloce Mercedes nera, accostò all’improvviso in una piazzola nel deserto.
Dannate coincidenze.
Ad attenderci, avvolto in un impermeabile, c’era Joseph, il brav’uomo, il poliziotto della mia banca. Chissà dove era finito il suo senso dell’onore. Mi riconobbe subito, credo più dalla mia andatura zoppicante e dall’aria malferma, che dalle mie fattezze fisiche, e notai come fosse mutato il suo giudizio dalle mie onorevoli ferite, quando si rese conto che la sua banda aveva preso un ostaggio che poteva avere seccanti difficoltà di movimento.
Disse che sarebbe stato difficile trovare un ostaggio più misero e inutile, e che dovevo star sempre zitto e obbedire ai loro ordini, altrimenti mi avrebbe tolto tutte le bende e avrebbe urinato sulle mie onorevoli ferite.
Tacqui, mentre nella mia mente alcune vecchie parole abbandonate acquistavano per me il loro senso più vero: delusione, amarezza, sconforto.
Solitudine.
Joseph aveva una faccia pulita, non lo avrei mai creduto capace di tanto. E volete saperne una? Alzai lo sguardo sulle dune intorno, e vidi un ex-collega dei piani alti. Ma sì, uno di quelli vestiti di tutto punto, di un bianco sgargiante, con quel sorriso stolido da ebefrenico che rappresenta il loro marchio di fabbrica. Era il suo custode, lo capii subito. Quell’idiota pensava che prima o poi l’uomo si sarebbe redento, e secondo la sua ferrea logica, doveva proteggerlo!
Non sto a dirvi il modo in cui mi guardava, l’imbecille; avesse avuto tempo, mi avrebbe sfornato un predicozzo fresco di stagione.
A volte ripenso alla nostra storia, agli albori della cosiddetta civiltà, e vado fiero delle scelte che fece lo zio Lucio. Un taglio netto con tutta quella beata ipocrisia.
Colletti bianchi. Bleah!
Mentre ci recavamo tutti insieme nel posto in cui avrebbero nascosto la refurtiva, sentii che quella maledetta pallottola mi faceva male. Iniziavo a comprendere appieno il significato del dolore fisico; dunque stavo davvero diventando uno di loro, e presto il mio corpo avrebbe avuto un impellente bisogno di un medico.
Giungemmo al vecchio Monastero sulla montagna; era lì che avrebbero nascosto i sacchi con il denaro, i titoli al portatore, i buoni, i lingotti e tutto il resto. Immaginai che il bianco custode del capo banda avesse messo una buona parola con i frati, pur di guadagnare la sua presunta redenzione.
Avevo decisamente visto troppo.
Mentre fitte lancinanti cominciavano a turbare prepotentemente i centri nervosi che non sapevo nemmeno di aver sviluppato, fui colto dal panico. Fu uno shock improvviso: realizzai che follia stessi compiendo, ripensai alle parole dei miei amici, mi sentii un idiota suicida e dentro di me nacque e crebbe irrefrenabile il desiderio di tornare sui miei passi e fare rientro a casa.
Il desiderio dovette essere davvero intenso, perché come usavo regolarmente fare quando ero in servizio attivo, scomparvi dall’auto e mi ritrovai nel mio box-appartamento.
Ricordandomi le sue parole, rintracciai il chirurgo che mi aveva aiutato inizialmente e mi feci curare. Poi gli dissi che in effetti volevo tornare indietro, e che lo avrei pagato profumatamente per riavere tutto quel che gli avevo chiesto di togliermi solo qualche settimana prima.
Lui si mostrò sinceramente imbarazzato, e disse che avrebbe fatto del suo meglio. In realtà, aveva già venduto buona parte delle mie cose a sedicenti collezionisti dai gusti che non esitai a definire dubbi, e che rinforzarono i miei propositi di dimenticare quel luogo infame che era la società degli uomini.
Non fui così sorpreso di quel comportamento così ambiguamente umano e mi adattai a quelle che lui definì le ‘misure d’emergenza’ che intraprese. Al pensiero di possibili ritorsioni da parte mia, si prese un grosso spavento, e quindi mi assicurò che sarei potuto tornare da lui più avanti, e che nel frattempo sarebbe certamente tornato in possesso di tutto quel che avrebbe potuto.
Senza mezzi termini, gli dissi che sarebbe stato meglio per lui.
Il giorno che feci rientro Lucy mi gettò le braccia al collo, e mi disse che gli ero mancato moltissimo. Credo che si fosse innamorata di me.
Ormai ero tutto un dolore, dalle zampe alle corna, e la scongiurai di far piano, quando, non aspettandoselo, urtò contro la goffa ala di cicogna che il medico aveva dovuto impiantarmi. Misure di emergenza. Era così bianca, soffice e rigida, uno spettacolo insulso sul mio corpo che, tutto sommato, non aveva perso il suo naturale tono rosso smagliante. Il dolore alle tempie era persino più forte di prima, e le due corna erano state rabberciate alla meno peggio; un corno era orientato verso il basso e così era entrato nel mio campo visivo, ed io avevo presto sviluppato un altro tic: il mio occhio lo puntava continuamente.
Sapevo che non ero un bello spettacolo.
La voce si sparse in fretta e vidi altri amici di lunga data venire a darmi il bentornato giù al vecchio fiume all’ingresso, mentre il barcaiolo, intento al suo lavoro come sempre, se la rideva della grossa da lontano. Dovevo essere diventato la barzelletta più divertente di tutti i gironi. E non avevano ancora visto il meglio. Da quando ero entrato, non riuscendo ancora a volare, avanzavo lento, a piccoli passi, a causa di quel peso morto che la mia splendida e virilissima coda era diventata; il chirurgo l’aveva venduta in pezzi, e aveva inframmezzato ai pochi che gli erano rimasti le ossa midollari scarnificate di animali selvatici avanzati dalla cena dei suoi cani.
Insomma, trascinavo a fatica il residuo semiaddormentato della mia identità, una specie di pappa di cane scaduta e fetida che riusciva a farmi sentire indegno del posto in cui mi accingevo a rientrare.
A ciò si aggiungevano il buco che aveva lasciato quella grossa pallottola, attraverso il quale, all’altezza del mio stomaco, si sarebbe potuto contemplare il panorama alle mie spalle, e tutte le fasciature per le piccole ferite riportate inconsapevolmente durante la mia breve mortalità.
Presi ciò che restava della mia coda fra le mani, abbassai umilmente lo sguardo, e cominciai a trascinarmi verso casa.
Quasi non notai il festone che gli amici avevano messo sulla porta:

Bentornato a casa Mefy!

Oggi posso dirlo con certezza.
Il mondo degli esseri umani si era rivelato un autentico inferno.

mercoledì 15 ottobre 2008

Dai dintorni...

Sei i miei occhi
che guardano dentro
sentono profumo
d’acqua sempre viva
sei la mia bocca
che parla i tuoi colori
sono tutti qui
virano ogni giorno
sei le mie mani
che ti disegnano nell’aria
stringono nel vuoto
afferrano il ricordo
sei la mia acqua
che è stata
fresca
dolce
striata dalla luce
che trema e stupisce
ruscello dei tuoi monti
sale del mio mare
sei, la mia
vita
di ieri.

Cerimonia di consegna del Premio Archimede

In un inatteso risveglio di questa lontanissima estate, in una città di pietra bianca, mare e papiri, ho ricevuto la scorsa domenica il Premio Archimede per il miglior racconto fantastico nell'ambito del Premio Letterario Internazionale Siracusa.
Ancora una volta il racconto è "Tempus fugit" (qui: http://raccontifantascienzaedintorni.blogspot.com/2008/10/tempus-fugit.html )

La cerimonia si è svolta in uno spirito tradizionale siciliano di ospitalità, che si lascia riscoprire ogni volta che si ha la possibilità di trovarsi in questa meravigliosa terra, nella sala consiliare di Palazzo Vermexio.E' la prima volta che questo concorso ha indetto un premio per il miglior racconto fantastico. Un grazie sincero a tutta la giuria, e fra gli organizzatori in particolare alla Regione Sicilia, alla Provincia di Siracusa e al comune di Siracusa, anche per aver voluto dedicare una sezione del concorso al genere fantastico.
Il comunicato ufficiale qui:
http://www.libera-aps.it/Foto/Vincitori%20X%20edizione%20Concorso%20Letterario.pdf


domenica 5 ottobre 2008

Dodici minuti in compagnia di Jasper Fforde...


Il 28 settembre del 2008 del mondo reale, e in occasione della manifestazione “La passione per il delitto” (dedicata alla letteratura di genere giallo) ho incontrato Jasper Fforde, il romanziere inglese ormai celebre in tutto il mondo per l’appassionante serie di romanzi che hanno per protagonista la detective letteraria Thursday Next.
I romanzi di Jasper Fforde rappresentano un genere ibrido e difficilmente classificabile; i suoi personaggi nuotano sereni in un mare di fantasia dal quale emerge un immaginario e surreale mondo ucronico, il tutto speziato con uno straripante ma discreto (e non è un paradosso) humor britannico, e non mancano spunti di genere poliziesco che tengono con il fiato sospeso in un’odissea che si svolge fra le pagine dei grandi classici della letteratura inglese o di una trama abbandonata di un autore in cerca di fortuna.
Il libro come realtà alternativa e preferibile, l’essere umano alla sua massima potenza.


In questa intervista a questo grande artista, ho cercato di sviluppare poche domande essenziali, diverse (mi auguro!) da quelle cui Jasper ha risposto in altre occasioni, e tentando di afferrare alcuni pensieri dell’autore, al di là della parola scritta.

F. Jasper, prima di tutto voglio dirti che ho letto e amato profondamente i tuoi tre libri ad oggi pubblicati in lingua italiana; non mi sono ancora cimentato con la tua prosa in lingua originale, ma prometto che lo farò.
J. Davvero? Bene…
F. Sarò molto diretto: hai mai letto “La Storia Infinita” di Michael Ende?
J. Veramente no, ma ho visto il film di Wolfgang Petersen, che ha anche firmato U Boot 96 se non erro… due film molto diversi fra loro indubbiamente!
F. Oh sì, è vero. Ecco, mi chiedevo (non senza malizia), se ti fossi ispirato a quella storia per l’idea di poter entrare all’interno dei libri…
J. No, proprio no, ma certamente bisogna riconoscere che l’idea di poter saltare all’interno dei libri era nell’aria da parecchio tempo; d’altra parte, quando scrivi storie di genere fantastico e sviluppi un’idea che pensi sia completamente nuova e originale, ti convinci che hai scoperto un territorio vergine ed inesplorato, ma poi ti devi rendere conto che stai percorrendo verosimilmente le tracce che qualcun altro potrebbe aver lasciato; il punto è come poi sviluppi quest’idea, in questo caso l’idea che qualcuno sia in grado di spostarsi all’interno dei libri e delle loro storie. Non penso infatti che nessuno abbia mai pensato in precedenza di descrivere l’esistenza di un corpo di polizia operante all’interno della narrativa, nel quale vi sono tutti questi personaggi che fanno tutto quel che fanno quando invece, nelle loro mansioni ordinarie di servizio, svolgono il ruolo, ad esempio, di Amleto. No, non mi pare che nessuno l’abbia mai fatto prima, in effetti.
F. Assolutamente, no.
J. Già. L’idea esisteva, ma questo sviluppo è del tutto nuovo.
F. Vorrei soffermarmi sul personaggio di Aornis Hades, la donna terribile che nel secondo e terzo libro (ovvero “Persi in un buon libro” e “Il pozzo delle trame perdute”, ndt) tenta continuamente di cancellare il ricordo che la protagonista, Thursday Next, ha dell’amato marito Landen, dapprima nella realtà, e poi anche insinuandosi in lei sottoforma di virus mentale.
J. Sì, esattamente.
F. Ne “La storia infinita” c’è un costante riferimento al “Nulla” che avanza, e che distrugge tutto, che divora questo mondo immaginario (“Fantàsia”, ndt) che è poi la fantasia infantile. Mi chiedevo quanto dietro idee come queste vi sia l’intenzione di rappresentare l’annullamento della vita, della creatività, della fantasia da parte delle “forze del male”, come se vi fosse un timore di perdere la propria fantasia a causa di persone che sono in grado di annullarla, come la Goliath (la multinazionale del male della serie, ndt), magari annullando il ricordo, o cancellando i libri…
J. La cancellazione dei libri... Penso che ci sia molto a proposito del tema della memoria nei miei romanzi. Credo che si tratti di un argomento molto emozionante. E in genere di fronte a idee di questo tipo, che mi stimolano, mi piace tentare di esplorarle nelle mie storie. In effetti la vicenda di Aornis non è molto legata a questo tema, della perdita della fantasia, è semplicemente un’idea con cui ho voluto giocare, però nel quinto libro della serie (“First among sequels”, ndt), che non è ancora disponibile in italiano, ad un certo punto della narrazione ci si trova all’interno di un libro che sta venendo cancellato. Tutto inizia a sparire finché ci si ritrova in piedi su di una piccola piattaforma circolare. Ma ancora una volta non c’è alcun collegamento con La storia infinita.
F. Deve esserci qualcosa di profondamente inconscio che genera alcune idee, in ogni caso, non pensi? Idee fra le quali poi si trovano delle similitudini.
J. Assolutamente sì. Ecco, in un certo senso gli autori formano una specie di grande piramide in cui ogni autore poggia sulle spalle degli altri; possiamo pensare a un’immagine simile, in cui alla base ci sono i più grandi, come, ad esempio, Omero, Orazio, e poi si procede sempre più in alto, verso autori sempre più recenti. Di conseguenza, quel che avviene è che ogni scrittore, benché inconsciamente, in ogni momento sta pensando anche alle cose che gli altri prima di lui hanno scritto, perché esiste questa coscienza collettiva, e le idee circolano al suo interno, e questo è il motivo per cui alle volte gli autori sviluppano determinate idee nello stesso momento, perché è quello il momento giusto, ovvero il momento in cui l’inconscio collettivo ha raggiunto quel particolare livello. I tedeschi hanno una parola molto adatta per definire questo concetto, lo Zeitgeist (“spirito del tempo”, ndt); quando si arriva allo zeitgeist adatto, l’idea in qualche modo emerge, per cui se non avessi avuto io l’idea di Thursday Next agente di polizia all’interno dei libri, un’idea piuttosto strana che è nata alla fine del ventesimo secolo, qualcun altro l’avrebbe avuta nello stesso periodo.
F. Puoi darmi una tua personale definizione di “Fantasia”?
J. La fantasia. Non ricordo che qualcuno ne abbia dato una definizione formale e strutturata, ad ogni modo la fantasia è quando prendi la vita reale e la guardi da un’angolazione leggermente diversa. E’ un po’ come quando torni a casa, entri nella cucina, e sali sul tavolo. Ti guardi intorno e dici “diavolo, è completamente diversa!”. E’ un altro modo di vedere. Guardi il mondo reale, questo mondo intorno a noi, e lo guardi con un’attenzione particolare, al punto che le cose divengono esagerate. In realtà non penso che esista una definizione specifica. Inoltre, è un po’ come la differenza fra quel tipo di lotta libera, priva di regole, e il pugilato, o lo judo; è senza limiti, ecco, scrivere il genere è così, senza regole, puoi fare quello che vuoi.
F. Molto irrazionale.
J. Sì, completamente.
F Jasper, è vero che possiedi e piloti personalmente un aereo?
J. Sì. Sono un pilota.
F. Lo eri in passato? Eri un pilota militare?
J. Oh, no.
F. Quindi è solo un tuo hobby?
J. Sì, un hobby. Volo in giornate di sole, come oggi. Non ho mai avuto la minima intenzione di volare nel cattivo tempo.
F. E cosa preferisci, volare o scrivere?
J. Uhm… be’, amo ovviamente tutt’e due le cose, ma certo non vorrei mai che volare fosse il mio lavoro, mentre in merito alla scrittura, la amo sia come hobby che come lavoro. No, il volo è giusto un hobby. E poi volare è bello mentre lo fai, mentre scrivere è più bello quando lo hai fatto; quando hai terminato il libro ed è pubblicato, è lì, e tu lo sai, e lo guardi. Attualmente provo queste sensazioni avendo terminato diversi libri, ma se mi metto a ricordare periodi in cui ho trascorso 8-10 mesi di attività intensa di scrittura, devo dire che si è trattato di duro lavoro; divertente, ma molto duro.
F. Lavori ancora come tecnico della messa a fuoco?
J. No.
F. Dunque sei uno scrittore a tempo pieno.
J. A tempo pieno, certo. Non era possibile continuare a fare due lavori. Fortunatamente guadagno abbastanza scrivendo, quindi non ho più bisogno del mio vecchio lavoro.
F. Un’ultima domanda: perché nei tuoi libri hai trasformato il Galles in una repubblica socialista?
Ah, è una bella domanda, questa. Mia moglie è gallese, ed abbiamo avuto un bimbo gallese. Quando stavo scrivendo il primo libro della serie, Il caso Jane Eyre, il cattivo, Acheron, nella stesura originale si nascondeva a bordo di un dirigibile. Il mondo di Thursday Next è una dimensione a basso sviluppo tecnologico, nel quale non esistono satelliti e viaggi spaziali, per cui i dirigibili sono utilizzati come stazioni di ripetizione per la TV e le comunicazioni, sospesi a migliaia di piedi di quota su tutta l’Inghilterra, ed Acheron si era rifugiato in uno dei tanti dirigibili, in particolare una vecchia portaerei riconvertita e proveniente da un universo parallelo in cui esistevano queste grandi aeronavi, sulle quali è possibile persino atterrare con un aereo. Questa era la prima stesura, secondo la quale Thursday per stanare Acheron doveva prendere un aereo, volare fino al dirigibile e agganciarsi per atterrare (come nella realtà delle portaerei) sulla pancia del dirigibile. C’erano tanti dettagli tecnici, piuttosto noiosi, ma il punto è che a me i dirigibili piacciono molto. Insomma, mia moglie, Mari, dopo aver letto la bozza nel 1999 mi disse ‘Il libro mi è davvero piaciuto, Jasper, è proprio divertente, ma la storia dei dirigibili è un po’ noiosa, una cosa per ragazzi, un po’ troppo zeppa di tecnologia…’. E io allora, guardandola, le risposi ‘Bene, e allora se non ti piace sistemerò Acheron nella tua… Repubblica socialista del Galles!’. E lei ne fu entusiasta.
F. Davvero incredibile il modo in cui nascono alcune idee….
J. Sì, e poi quando hai un’idea simile, capisci subito che puoi svilupparla; ho notato subito che la trovata era buona, e che si inseriva bene nella storia, perciò l’ho approfondita nei libri successivi, creando una frontiera, la necessità di un visto d’ingresso, insomma ne ho fatto qualcosa di simile alla Germania Est di una volta, così ho trasferito in Inghilterra la questione delle difficoltà di confine fra Germania est e ovest. Le idee nascono in questo modo, da una scintilla iniziale che poi cresce, e si sviluppa.
F. Grazie, Jasper, è stato un incontro grandioso.
J. Una bella intervista, grazie a te, Francesco.



mercoledì 1 ottobre 2008

Tempus fugit

Questo racconto, il primo di questa brevità che io abbia mai scritto, ha incontrato una serie piuttosto numerosa di successi:
-Vincitore del Premio Adeia 2008
-Vincitore del Premio Archimede per il miglior racconto fantastico nell’ambito del Premio Letterario Internazionale Siracusa Trofeo Papiro D’oro -Decadramma D’argento
-Secondo classificato al Premio Akery 2008 sezione fantascienza
-Secondo classificato al Trofeo RiLL 2008
-Segnalato ai Premi Loris Biagioni e Giorgio La Pira.
-Finalista al Premio Duerre 2008.
E' stato pertanto pubblicato in Fuga da Mondi Incantati (Nexus Ed. 2008), nella rivista Tangram, e successivamente online su Continuum.

Tempus fugit

Quel mattino, Marco faticò più del solito a svegliarsi.
Per qualche istante aveva pensato che quel trillo prolungato e pungente che sentiva fosse l’epilogo di un brutto sogno.
Poi invece si era reso conto che non aveva sognato affatto; a pensarci bene, sembrò che la notte fosse passata in un baleno, e nelle notti brevi, si sa, non c’è alcun posto per i sogni.
Si alzò e si gettò sotto la doccia fredda. Si vestì, poi fece colazione davanti alla finestra che dava sul Tevere.
Quella domenica d’inverno Roma era più bella che mai; mentre l’alba lambiva la città ancora addormentata, il ragazzo si preparò per uscire.
La giornata si preannunciava eccitante: la bella ragazza di Bucarest che aveva conosciuto a Villa Borghese il pomeriggio precedente gli aveva dato appuntamento davanti al suo albergo.
La sera prima, dopo la cena a Trastevere, quando si erano salutati, lui non aveva avuto il coraggio di farsi avanti per accompagnarla all’hotel.
Era un disastro con le belle donne, ma per fortuna le belle donne gli davano sempre una mano; quando era rientrato si era ritrovato in tasca un biglietto, scritto in stampatello con dolce ironia:

Evita questa donna: Tanya, Hotel Antico Impero, Piazza dell’Amore, ore 11.00.

Uscì di corsa, felice di recarsi da lei e poterla vedere di nuovo.
Alla sera, rincasò esausto.
Che giornata splendida. E quanto era bella Tanya! I suoi baci erano soffi di vento liquido e caldo sulle labbra, i fianchi stretti e morbidi sembravano fatti per le sue mani, i grandi occhi verdi gli toglievano il respiro.
Avevano fatto l’amore tutto il giorno.
Prima di addormentarsi, il ragazzo provò la sensazione che quella giornata si fosse svolta troppo in fretta. Come un film mandato avanti a velocità più alta del normale.
Quando stai bene, pensò, il tempo ti sfugge via.
Che peccato, con quella donna lui ci avrebbe passato giorni e giorni, possibilmente in un letto.
Il giorno dopo, di mattino presto, andò a cercarla, ma lei era partita. In albergo, stranamente, nessuno si ricordava di quella bella ragazza che il giorno prima occupava la stanza 777. Eppure non era di certo una che passava inosservata.
Ieri alla reception c’era un altro, pensò.
-Ho preso servizio stamattina, signore- aveva detto il nuovo addetto per giustificarsi.
Per un attimo Marco ebbe un brivido. Aveva sognato tutto? O, peggio, se lo era immaginato?
Ma no! Il ricordo di lei era reale, nitido, intenso, caldo.
Se la sentiva ancora addosso, quella pelle ambrata, eppure… era già passato un giorno, anzi, due.
O forse… tre?
Marco si ritrovò a cena con gli amici, mercoledì sera, in pizzeria. Era stordito, confuso. Pensava ancora a Tanya: perché se n’era andata in quel modo? Non lo aveva nemmeno avvisato.
Che giorno è oggi?, dovette chiedersi al mattino seguente, sempre più disorientato. Per stabilirlo ci volle del tempo: era già venerdì; ma della settimana successiva.
Erano passati undici giorni? No, non era possibile. Cercava di ricordare cosa avesse fatto per tutto quel tempo; c’erano delle tracce nella sua memoria, ma sbiadite e frammentarie.
Qualche ora in ufficio, una partita di calcetto, la visita in ospedale a sua sorella… pochi ricordi per riempire tutto quel tempo. Diamine, erano passati undici giorni! Cos’altro aveva fatto in undici giorni?
Le mie giornate si somigliano un po’ tutte, pensò, depresso e sconsolato.
Quella notte il caldo eccessivo lo svegliò; strana temperatura per essere febbraio, rifletté nella semi-incoscienza. Ne approfittò per alzarsi e andare in bagno.
Il mattino seguente, facendo colazione accese la TV per guardare il telegiornale; continuava a fare un gran caldo.
Lo speaker gli diede il buongiorno ed annunciò che era il sedici maggio.
Si alzò di scatto, gli occhi sbarrati, i brividi lungo la schiena, le mani tremanti, la voce strozzata in gola nel tentativo di gridare.
Ne era certo, era andato a dormire in una fredda sera d’inverno; aveva quasi perso il conto, ma doveva essere il 12 febbraio!
Che diavolo stava succedendo?
Chiamò il suo amico più caro, Andrea, e senza dare troppe spiegazioni gli chiese il numero di telefono del suo psicoterapeuta.
Dall’inizio alla fine della telefonata con l’amico si era già fatta notte.
Arrivò allo studio dello psichiatra ad agosto inoltrato, e quando ne venne fuori le foglie iniziavano a cadere dagli alberi; l’asfalto era arso dal sole al suo ingresso, ed era coperto di foglie gialle all’uscita.
Stava impazzendo? Delirava? Lo psichiatra aveva fatto delle strambe ipotesi, tutte poco piacevoli, e alla fine gli aveva dato delle gocce per la notte e un nuovo appuntamento per l’indomani.
Lui cercò di rispettare quell’impegno, ma tornò dal terapeuta che faceva già molto freddo; per strada gli alberi straripavano di palline colorate e festoni natalizi. E, quel che era peggio, lo psichiatra cercò di convincerlo che erano al quarto mese di terapia, ormai, e che i progressi erano stati ben pochi, per non dire… zero.
Questo lo vedo da me, pensò Marco.
Comprò un regalo per Tanya. Da qualche parte doveva avere il suo indirizzo, glielo avrebbe spedito in Romania.
Pochi giorni dopo, arrivò una lettera della ragazza. Lei lo ringraziava, si ricordava bene di lui, anche se era passato tanto tempo, e gli diceva che il fatto di aver ricevuto a Pasqua il suo regalo di Natale l’aveva divertita; forse di quel ritardo doveva incolpare le poste italiane o magari quelle del suo paese.
Marco aveva amato Tanya solo pochi giorni prima, ma era già passato più di un anno.
Non sapeva più cosa pensare.
Certe volte si alzava con la barba lunga, altre con un taglio diverso di capelli, spesso si ritrovava in luoghi o città dove non rammentava di essere mai arrivato; scoprì in ritardo che suo fratello era emigrato negli Stati Uniti, e mancò al secondo matrimonio di sua madre con quello che seppe esser diventato il suo amato patrigno.
Non c’erano molte alternative: o era pazzo, o l’intero universo stava prendendosi gioco di lui.
Dovette scegliere la prima opzione, ipotizzando che aver formulato la seconda fosse prova lampante di follia in fase già avanzata.
Si ritrovò quindi ricoverato in un centro di igiene mentale, nel maggio di tre anni dopo, e lì apprese che in realtà vi era entrato da molto tempo. Ma dopo due giorni era già luglio dell’anno successivo, ed era stato dimesso, e chissà da quanto.
I successivi trenta giorni furono un totale inferno.
Il tempo continuava ad accelerare sotto il suo sguardo impotente. Le sue mani invecchiavano, i suoi abiti cambiavano, tutto si muoveva ad una velocità impossibile.
Aveva ormai venticinque anni in più di quando aveva conosciuto Tanya.
Un giorno la donna, ormai matura e sempre affascinante, venne a trovarlo per una settimana, e fu l’unico momento felice per Marco, anche se durò pochi minuti, forse un’ora, per quel che lui fu in grado di ricordare.
Era prossimo ad esplodere.
Gli anni passavano travestiti da giorni, e la scienza progrediva; ormai vecchio, aprì l’elenco telefonico e si imbatté in un annuncio che attirò la sua attenzione:

Dottor Andreas Kronos Zeit
Riparazione Falle Temporali
Interventi urgenti a domicilio


Il campanello di casa suonò appena ebbe chiuso il librone, ma in realtà erano passate sei ore.
Un omino basso, calvo e con il naso all’insù lo guardò sull’uscio con pupille puntiformi perse in fondo a spesse lenti d’occhiali da miope.
-Mmmm. Lei deve essere quello che mi ha chiamato- disse, dando prova di eccellente intuito.
Entrò e poggiò in terra una pesante valigetta.
Spiegò che le forti emozioni possono causare l’improvvisa apertura di falle nel flusso del tempo. Nel suo caso doveva essere stata la travolgente avventura con Tanya, in gioventù.
-E’ come se lei stesse seguendo una linea retta che taglia tutte le curve della sua vita; lei vive solo i punti di intersezione, ma perde tutti i segmenti intermedi.
Era stato chiarissimo; andando avanti così, avrebbe continuato quella caduta libera nel mare del tempo, precipitando in pochi giorni verso la fine della sua vita.
Marco implorò di essere aiutato.
Il dottore spiegò che con i suoi strumenti poteva procedere in due modi: uno più semplice, l’altro più complicato.
Il metodo semplice consisteva nel ripristinare il flusso normale del tempo, e così la vita avrebbe ripreso la sua velocità fisiologica, ma solo da quel momento in poi. In tal caso tutto il passato sarebbe stato perso per sempre, ma l’efficacia dell’intervento era garantita.
Oppure, nel modo più complicato, il dottore poteva riportarlo indietro, nel passato, fino al tempo precedente l’incontro con la donna che aveva cambiato la sua vita. In questo caso tutto poteva riaggiustarsi, ma era fondamentale che lui evitasse a tutti i costi di fare l’amore con lei.
Non fu facile prendere quella decisione; Tanya aveva rappresentato la parte migliore della sua vita, ma Marco desiderava troppo riappropriarsi della sua giovinezza, ed optò per la seconda via.
Il dottore prese nota di tutto quel che Marco riuscì a ricordare della sua avventura di gioventù: il nome della donna, l’albergo in cui si erano visti, il giorno, l’ora.
Poi gli diede appuntamento.
-Ci vediamo fra un anno nel mio studio- gli disse.
-Come dice?!- gridò Marco in risposta, preoccupato sulle prime dall’idea di una lunga attesa.
-Non si preoccupi, per lei saranno sei o sette minuti, alla sua velocità.
-Ah, già. D’accordo. Grazie, dottore.
L’anno dopo, tutto era pronto; Marco si stese sul lettino, chiuse gli occhi e iniziò a sperare. Poiché una volta tornato indietro avrebbe perso il ricordo di tutto, lasciò che il dottore gli mettesse in tasca un provvidenziale bigliettino:

Evita questa donna: Tanya, Hotel Antico Impero, Piazza dell’Amore, ore 11.00.

sabato 30 agosto 2008

Premi della narrativa italiana

Qui sono riportati, in ordine di tempo, i premi e i piazzamenti dell'autore relativi a concorsi letterari non legati al genere. Per quelli di FS, vedere qui


Ottobre 2005: Finalista al premio di Narrativa “Il Prione”

Dicembre 2005: terzo classificato al concorso “Interrete Shorts” edizione 2005 (NB nonostante quanto riportato nel bando pubblico, a mia conoscenza non è mai avvenuta la pubblicazione della relativa antologia a cura della casa editrice Statale 11).

Dicembre 2005: sesto classificato al concorso “Città di Melegnano” 2005

Gennaio 2006: finalista al concorso “Racconti In Viaggio”

Luglio 2006: Vincitore del premio letterario “Parco Majella” - sezione narrativa inedita.

Agosto 2006: 4° classificato al concorso “Insieme nel Mondo”.

Settembre 2006: finalista al XII premio Energheia

Settembre 2006: secondo classificato al Premio Internazionale “Alla luce delle Mainarde”.

Settembre 2006: finalista al premio di Narrativa “Il Prione”

Novembre 2006: menzione d’onore al concorso Prader Willi 2006

Dicembre 2006: menzione al concorso “La Voce delle Donne”

Dicembre 2006: vincitore del concorso “Rasa Calogero”

Maggio 2007: finalista al Premio “Merano Europa”

Giugno 2007: nota di merito in occasione del concorso “Zenone” (Runde Taarn Edizioni).

Settembre 2007: finalista al Premio “Liberalia -Città dei Sassi”

Ottobre 2007: menzione al Premio “Chiave di Svolta”

Novembre 2007: menzione al Premio “Pubblica con noi” - Fara Editore.

Gennaio 2008: vincitore del concorso Zacem-Pennacalamaio

Giugno 2008: vincitore del Premio Adeia

Luglio 2008: finalista al premio Nemo 2008

Agosto 2008: menzione di merito al premio Le Fenici 2008- Edizioni Montag

Settembre 2008: segnalazione di merito al Premio Garfagnana di Narrativa "Loris Biagioni"

Settembre 2008: segnalazione di merito al Premio Letterario Internazionale di Narrativa "Giorgio La Pira"

Novembre 2008: terzo classificato al Premio Alois Braga Edizione speciale 2008

Dicembre 2008: menzione speciale al premio “Per ricordare Patrizia 2008” .

Dicembre 2008: finalista al Premio "Duerre 2008"

Gennaio 2009: finalista al Premio “Una piccola storia in fuga”, Ass. Erga Omnes.

Febbraio 2009: vincitore del Concorso Zacem - Pennacalamaio 2008 .

Febbraio 2009: segnalato al concorso “Albero Andronico” come “quarto ex-equo”

Marzo 2009: selezionato fra i vincitori del concorso indetto dal “Blog di Out”

Aprile 2009 vincitore del concorso “Pensieri in versi”

Maggio 2009: segnalato al concorso Fara Editore 2009 “Pubblica con noi”

Ottobre 2009: finalista al Premio Nemo 2009

Cerimonia di consegna del Premio Nazionale di Letteratura "Adeia" 2008




Domenica 22 giugno 2008, alle ore 11, presso la Libreria Adeia, via Santovetti 18, a Grottaferrata, un altro lieto evento di premiazione, arricchito dal copione della mattinata che ha incluso la recitazione del racconto vincitore, di cui al momento non posso rivelare il nome per ragioni legate ad un altro concorso, da parte di un attore professionista e docente di teatro.
E' stato emozionante ascoltare la propria scrittura in forma recitata. A ciò si aggiunge che gli organizzatori hanno avuto la brillante idea di premiare i vincitori con un cospicuo buono per l'acquisto di libri. Una perla rara.
Le sezioni del concorso erano due, ed oltre a me per i racconti, per la sezione poesia viene premiata la poetessa Loredana Massaro.
La libreria Adeia, in pieno centro di Grottaferrata (Roma), si pone come un importante punto di riferimento culturale per l'intera area dei Castelli romani.
Segnalo pertanto il corso di scrittura narrativa che vi verrà svolto quest'autunno e includo qui di seguito il programma (per maggiori informazioni telefonare al numero: 069412743 e chiedere di Francesco - non sono io)
Libreria adeia
Via santovetti 18, grottaferrata

CORSO DI SCRITTURA NARRATIVA

Calendario


- 18 Settembre -
“APPROCCIO ALLA SCRITTURA”
La creazione di un mondo parallelo. Sospensione dell’incredulità. Incipit.

- 25 Settembre -
“IL PUNTO DI VISTA”
Opportunità, possibilità e limiti dei diversi punti di vista.
Prima, seconda e terza persona. Narratore interno ed esterno alla vicenda.

- 2 Ottobre -
“LA TRAMA”
Struttura, intrecci, colpi di scena, cliffhanger.

- 9 Ottobre -
“I PERSONAGGI”
Principali e secondari. Approccio alla delineazione.
Caratteristiche e comportamenti.

- 16 Ottobre -
“I DIALOGHI”
Coerenza tra dialoghi, personaggi e punti di vista.

- 23 Ottobre -
“LE DESCRIZIONI”
Mostrare e/o raccontare. Distanza del narratore
Descrivere attraverso i sensi.

- 30 Ottobre -
“LA REVISIONE DEI TESTI”
Tecnica, pratica e operatività della revisione.

- 6 Novembre -
“AUTOVALUTAZIONE E RIPRESA DEI TESTI”
Aspetti evidenziati, trascurati, sfocati. Ridondanze.
Appartenenza della storia. Questioni di “genere”.

Tutti gli incontri inizieranno alle 17 e termineranno alle 19




domenica 24 agosto 2008

An Interview to Richard K. Morgan




RICHARD K. MORGAN


he has just finished writing his first Fantasy novel, while the third chapter of Takeshi Kovacs' cycle will be released soon in Italy. Richard K. Morgan, one of the most interesting contemporary SF authors, reveals backstage and inedited aspects of his stories.


Interview by Francesco Troccoli, all rights reserved.



Hello Richard, let’s start with a simple question: any idea on how much we still have to wait in Italy for the translation of Woken Furies? And, is that the last chapter of Takeshi Kovac’s cycle?

Well, it is certainly the last chapter of the Kovacs cycle for the moment. I really feel that I’ve used up most of the potential in the character and the scenarios, and since these books have been as much about character as anything else, I think mining the potential any further is likely to have a weakening effect. Every single series character I’ve known and loved has ended up disappearing down a spiral of diminishing returns as the endless repeat novels wear them thin, and I don’t want that to happen to Kovacs. That said, if I ever have an idea for a truly strong, truly fresh novel with Kovacs in, I’ll certainly go ahead and write it. I miss the old bastard as much as anyone.

As for the Italian version of Woken Furies, if it’s not already out by the time this interview goes to press, it won’t be too long after. I’m in fairly regular contact with my Italian translator, the genre-famous Vittorio Curtoni, and others involved in the production of the book, and my understanding is that the translation is pretty much done and polished. So – not long to wait now!


Any news about the movie from Altered Carbon?

No, none really. The option has been renewed and the film is still in development – but of course that can mean anything or nothing. Keep your fingers crossed!


I think you said last year that you should hate P. K. Dick because every time you have an idea, you discovered he had it first. Furthermore, many people say the atmospheres you create can remind his - but, frankly, I can feel Kovacs is still a very decent human being, beyond his super-powers and his cynic approach to life. Do you believe in human beings?

Do I believe in human beings? Well, to be honest I don’t really have much choice – they’re all we’ve got. For me, the frustrating thing about humanity – and this is what comes out in Kovacs’ cynicism – is the appalling sense of waste, of wasted potential in how we behave. But of course that sense of waste is an illusion; we are the way we are as humans, and part of how we are is the way we aspire far beyond our (immediate) capacity to achieve. We dream of things like justice and equality for all, and then become very disillusioned when we can’t pull them out of the hat immediately. But that’s like me aspiring to run the marathon and being disappointed when I can only do a few kilometers before I collapse. Want to run a marathon? You have to train. Want a just and egalitarian society? You have to take the long view. It takes a long time to achieve anything worthwhile, and you have to be aware of your limitations as you do it. The problem is, of course, that the only cost of slow and steady training for a marathon is time and a few aches and pains (and maybe a slight decrease in my self esteem!) The cost of slow social progress, on the other hand, is measured in very real human misery, and human misery can be a hard thing to watch. The impulse to do something quick and violent to counter it is inescapable – but of course as history shows, that impulse is totally wrong-headed, completely counter-productive in ninety percent of cases. We have to understand that before we’ll get anywhere. So yes, I believe in the potential of humans to build a better world, but I think we’ll be a while getting there, and we’ll only manage it by becoming aware of our shortcomings – and that means all of us. This is a realism that has to being inside each individual.


In this dystopic future, mind can be up- and downloaded into/from the body. A certain degree of separation between body and mind is a pillar of so called western world philosophy, beginning with Plato (who believed that “ideas” are already there in the mind of a new born) and other ancient Greek philosophers, up to the XVI century with the concept by René Descartes of the separation between RES COGITANS (mind) and RES EXTENSA (body). On the other hand, in other cultures, like the Oriental ones, body and mind are much more linked to each other as to almost represent a single entity; upon this second idea, one could argue that separating body from mind (what we do in our western culture) could be cause of serious psychic diseases. Any comment? how does your thinking deal with all this?

Ultimately, Altered Carbon and its sequels are a variant on noir fiction, and noir tends to sidestep the big philosophical issues (in their overt forms, anyway) and to focus on smaller scale practicalities. Not the broad theoretical injustice of sexual oppression in general, but the suffocating sordid squalor of a single prostitute’s room. Not the injustice of war as an overarching concept, but the brutal personal experience of a single soldier in the field. And so forth…. The characters in the Kovacs novels may occasionally brood or meditate upon the bigger picture (Kovacs himself is after all highly intelligent and articulate) but they spend most of their time grappling with small-scale specifics. Hopefully, the books bring out some of the ground level impact that a separation of mind and body implies – what do you gain, what do you lose, what is the emotional and social cost of the technology? And of course, the books do imply that there is damage involved in this process at both a personal emotional and a social level – it isn’t a “clean” technology we’re talking about here.


Is mind something divine in your opinion? / Is it “superior” to body? do you believe in God?

No, I’m an atheist materialist. Mind is no more superior to body than muscle is to fat or cats are to dogs. Each serves its purpose, has its own validity, and there is a constant interrelation of influences back and forth. Our minds are formed by the bodies they find themselves in – that much is obvious. Borne into a strong body, you’re much more likely to develop a positive attitude to physical activity. Borne into a male body you’re likely to have an overdeveloped tendency towards confrontation and violent demands. And so on. But there is also feedback from this: as we get older we are constantly making mental choices which have a major impact upon the development of our physical being as well. Shall I become a boxer or not? Shall I eat too much sugary food? And so forth. It’s helpful, I think, to see mind and body not as two separate things, but as two aspects of a single ongoing physical event – that event being your life.


When mind is downloaded into a new sleeve, one could argue something very powerful happens when real light hits the eyes of a new body once again. Does this represent a sort of re-birth? how a mind will deal with a new body? what is your idea from a philosophical / psychological point of view?

Ah well, that would be telling. Gotta read the books and see for yourselves…..!

Let’s move to the other novels. Market Forces and Black Man: two types of nearest future earth. Are they intermediate steps on a way to next Kovac’s Protectorate world?

Not really, no. They have a number of ideas in common with the Kovacs books, it’s true – corporate power run wild, the colonization of Mars, central characters who are comfortable with violence. But that’s really just an indication of the areas in fiction that fascinate me. There is no intended connection beyond that.


What is the status of Land Fit for Heroes? Having read the other books, it is hard to figure out which kind of fantasy world such an author can imagine…

Land fit for Heroes
(now retitled The Steel Remains, in the UK at least) is finished. I handed in the final draft last week, and it should be out in August of this year. I think the best way to describe it is as a low fantasy novel – set in a fairly standard high fantasy landscape but with characters and attitude which are the antithesis of what you’d usually expect to find in a standard high fantasy novel. It’s brutal, amoral, noirish and deserves a soundtrack by the Rolling Stones - Street Fighting Man, Gimme Shelter, Respectable, Sympathy for the Devil, stuff like that…….


Are you also spending time working on graphic novels?

Not at the moment, no. My run on Black Widow for Marvel wasn’t hugely successful (at least not in terms of sales) and I haven’t been invited to continue it. Can’t really blame them!!! I do have some good ideas for GNs and some kind editorial offers from various places, but right up until a couple of weeks ago I was too busy with The Steel Remains to give much thought to side projects. Now I’m done, and have a bit of downtime, well, we’ll see……


In an interview, you said: "Society is, always has been and always will be a structure for the exploitation and oppression of the majority through systems of political force dictated by an élite, enforced by thugs, uniformed or not, and upheld by a willful ignorance and stupidity on the part of the very majority whom the system oppresses." Does this also apply to what we use to call democracy?

Well, you could see democracy, active democracy, as an antidote to that vision. But I think in most modern nations, democracy comes under constant threat from exactly the dynamics I’ve outlined there. Look at Bush in America, Berlusconi in Italy. They both fucked democracy up the arse, and the respective populations stood by and let it happen, in some cases even applauded the rape. (In the UK, Blair did something less violent but just as sleazy – more like date rape with Rohypnol, maybe). I’m very much afraid that humans seem to be hardwired for hierarchy, xenophobia and stupidity in the face of complex issues. It’s a constant struggle to beat that tendency, to fight it back with education and justice and intelligence.


Who are you favorite sf authors? other than PKD…

In fact, Dick really isn’t a favourite of mine – I mean, I have an immense amount of respect for his incredible inventiveness, but stylistically I think he’s quite limited, and of very varied quality. That’s to be expected – when a man is jacked up on amphetamines and turning out half a dozen books a year, quality control is going to be tough to do. So while I think Do Androids Dream of Electric Sheep and Flow My Tears, the Policeman Said are inspirational pieces of SF, I can’t say I’d ever go back and read either of them again from choice. William Gibson’s work, on the other hand, I can go back and read time and time again because there is an intense stylistic quality to the work that rewards repeated visits. I think Gibson still remains my favourite genre writer.


Do you see differences between the way men and women write sf stories? (I am thinking of Ursula K. Le Guin for example)…

Yes, definitely. We all bring our own individual sensibilities to the work, and I think there’s no doubt that male and female sensitivities, though often interlocking, are very different. Speaking of Le Guin, The Dispossessed is one of my favourite novels in any genre, the kind of book I would love to have written myself. But I think a male version of that novel would have been very different, and quite inferior. It would have been far angrier, far more violent, and probably ultimately far more despairing. The value of The Dispossessed is exactly that it short circuits those feelings, and gives you a sense of hope despite everything. Women are generally far better than men at hope, in life and in their writing.

Any impression about non-English language sf writers? S. Lem? M. Ende? others?

Well, possibly my favourite writer in any genre is Haruki Murakami – and I think it’s safe to say his stuff could be called SF, especially his last novel Kafka on the Shore (though saying that will no doubt scandalize a great number of mainstream critics). But in general I tend not to read that much SF in translation. It’s not a conscious choice, it’s just that there is so much genre stuff out there written in English, I’m statistically very unlikely to pick up non-English writers unless they come with very high recommendation. I have read some Lem – the Pilot Pirx stories – and thought they were pretty good, but that’s really about the full extent of my experience.


I can read in your website (which by the way I think it’s great, and the coolest thing is that it’s also a blog): “Wow - how much did some people hate Black Man/Thirteen? They hated it a LOT!” - how do you deal with readers?

As respectfully as I can. For me writing is an act of (or at least an attempt at) communication. My books have things to say as well as a story to tell, and the hope is that the reader picks up at least some of that along the way. You’re trying to provoke an emotional response, but also some thought, some reflective consideration. When that works, when readers “click” with the book, it’s a great feeling. When they don’t, when a reader gets angry with something I’ve written, it’s usually for one of two reasons – either they disagree violently with what I’m saying, or they’ve missed the point. If they’ve missed the point, then that’s a great shame and I do attempt now and then, on the site or in responses to e-mails and on convention panels, to explain what I think they’ve missed, in other words to try and re-open the line of communication. But if the anger comes from a disagreement over what I’m saying, then there’s not much you can do.


what is the nicest thing a reader told you about a book you wrote? what is the worst (if any bad was said)?

One reader told me that the positive ending of Woken Furies had inspired him to fight off a long term illness he’d been suffering from – and that really moved me. Someone else told me the Kovacs books were helping him get through his divorce (which, to be honest, I found a bit alarming!) Also, I had a huge number of readers contacting me after Market Forces telling me how much the book spoke to their own nightmarish working lives inside corporate America – nice to know I hit the nail on the head there – though again I was a bit alarmed by the one who asked if I really believed that Chris Faulkner’s brutally nihilistic violence was the only option I saw for someone in that situation. Eeeek. No. Put the shotgun down…..slowly….and let’s talk this through…..

As to the worst, well, check out Amazon.com or Amazon.co.uk – there are plenty of them! Market Forces and Black Man in particular came in for some heavy insults, largely I think because of the politics. But to be honest with you, the thing that hurts an author most is not a furious negative review – that just means you’ve succeeded, you’ve managed to get an emotional response out of that guy. No, the worst review you can have is the shrug, the “Meh….’s alright…” Because that means you’ve failed. The opposite of love isn’t hate – it’s indifference.


When and where do you write? night/day? home/holidays? drinking/smoking?

I’m incredibly disorganized, unfortunately. I tend to write whenever I feel the urge, whatever time of day or night that happens to be, or when a deadline is approaching and I really have to get the work done. The truth is I tend to work better under stress than not. You’d think at my age I would have developed a more mature approach to this, but, uhm, no….forty two years old and still doing my homework last thing on the bus into school…………


Have you got personal “counselors” (friends, wife, whoever) to whom you submit your chapters to taste reactions before getting ahead in a story or do you first get straight to the end before letting sbdy read the story?

I certainly don’t mind people reading my stuff while I’m producing it, I’m not a prima donna about that kind of thing. My wife sometimes reads over my shoulder – but she’s not really into SF or fantasy, so that doesn’t happen very often. And I’ll occasionally let a friend or industry acquaintance have a look at a couple of chapters if they’re interested and I happen to have the stuff to hand. But to be brutally honest, I’m rarely interested in what anyone else thinks about the work until it’s done. If they like it, that’s nice; if they don’t, too bad. You have to have a sense of your own vision when you write a novel, and while it doesn’t hurt to hear other opinions, you can’t afford to keep chopping and changing to please other people. I usually have a pretty good idea of where I’m going (in terms of themes and subject matter if not actual plot) and it’s not a path anyone else can walk for you.


Is it more important to finish a story or to publish it? I mean, which is the most emotional part?

First time around, it’s publication – no question. Nothing can match the thrill of getting published for the first time. It’s like losing your virginity under the very best of sexual circumstances. But after that first time, I’d say it’s the completion of the work that counts more. When you type the last words and know it’s done, you’ve said what you wanted to say – that’s a very powerful feeling indeed.


Did you ever write a novel and decide not to publish it?

No – well, in fact yes, sort of; my first ever completed novel, Ethics on the Precipice, written back in 1988-9, now no longer exists. It was just too embarrassing to look at, so I destroyed it. But to be honest I don’t think my editor would have been happy to publish it either – it really wasn’t very good. As to writing something acceptable to my publisher and holding it back – no, I wouldn’t do that. I don’t have that kind of money, or that much free time to waste!


What would you say to someone whose dream is to become a sf writer?

Prepare yourself for a long, hard and lonely road. Make sure this is really what you want. If you’re hoping for money or fame, forget it. Your chances of making a lot of money from novel writing are next to zero – you’d be better getting a job in banking or broking. And if it’s fame, well, you’ll get more of that just from showing your tits (or whatever) on national TV. The truth is that I have been incredibly lucky – 80% of writers never get to give up their day-job, and even those who do can find themselves struggling to make a decent living from their books. This is doubly the case in genre. Robert Sheckley, one of the finest imaginers of Golden Age SF, died a pauper, desperate for charity to pay his hospital bills. That’s an extreme case, of course, but so is the story of my success. The truth lies somewhere in between.

But if you can accept all that, and still want to write SF – then I wish you the very best of luck; and you’re going to need it.
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Per visualizzare la versione in italiano cliccare il link di seguito / For the Italian translation go to:

sabato 23 agosto 2008

Pubblicazioni

Diversi racconti sono stati pubblicati in raccolte antologie, riviste e fanzine.

Nuovi Autori Science Fiction - N.A.S.F. 1
I Racconti del Prione edizione 2005, Edizioni Giacché, La Spezia 2005 - ISBN 88-86-999-71-2
I Racconti di Energheia 2006, Edizioni Energheia, Matera, settembre 2007 - ISBN 88-89313-02-1
I Racconti del Prione edizione 2006, Edizioni Giacché, La Spezia 2006 - ISBN 88-86999-80-1
Space Prophecies Episodi I & II, Yavinquattro, Nov. 2006
Nuovi Autori Science Fiction - N.A.S.F. 2
La Voce delle Donne, Edizioni Fiori di Campo, Mandriano (PV) - ISBN 978-88-7350-336-5
Braviautori, antologia visual-letteraria, prima edizione
Nuovi Autori Science Fiction - N.A.S.F. 3, ISBN 978-88-6259-000-6
Fuga da mondi incantati, Nexus Editrice 2008 - ISBN 8889926236
Be(a)st of GHoST, Area 31 - Ferrara Edizioni, 2009
Rivista Anonima Gidierre, 2009
Legenda, Fara Editore 2009, ISBN 978-88-95139-65-4 
Rivista Living Force, n. 24, settembre 2009
Cronache da mondi incantati, Nexus Editrice 2009, ISBN 978-88-89926314
Semhain 2009, Area 31 - Ferrara Edizioni
Continuum n. 32, dicembre 2009 
Rivista Tangram, n. 22, marzo 2010
Onda d'Abisso, Ed. Orecchio di Van Gogh 2010, ISBN 978-88-87487-87-9
Rivista IF, n. 5, ottobre 2010
Chronicles on the Moon, Libellula Edizioni 2010 - ISBN 9788896818084
Rivista Altrisogni n. 1, 2010 
Melissa e Dintorni, Delmiglio Editore 2010 – ISBN 978-88-96305-10-2
Nuovi Autori Science Fiction - N.A.S.F. 6
Rivista Living Force, n. 29, dicembre 2010 
Peccati di gola, Giulio Perrone Editore 2011- ISBN 978-88-6316-210-3
Trame fantastiche, Delmiglio editore 2011 - ISBN 9788896305133 
Ali della fantasia, Demito Editore 2011 - ISBN 978-88-904425-8-2
Strani, Nuovi Mondi 2011, Edizioni della Vigna 2011 - ISBN 978-88-6276-087-4 
Visioni fatate, Delmiglio editore 2011 - ISBN 9788896305157
Continuum n. 35, agosto 2011
Un calice di soli, un piatto di pianeti, Edizioni della Vigna 2011, ISBN 978-88-6276-095-9
Scritture Aliene, Albo n. 2, Edizioni Diversa Sintonia 2011, ISBN 978-88-96086-26-1 
Improbabili Universi, Delos SF 146, luglio 2012