La ripubblicazione del romanzo ucronico "La corona perduta", di Giampietro Stocco, romanziere, giornalista e fine conoscitore della storia al punto di divertirsi a immaginarne spesso versioni parallele o alternative, è stata l'occasione per immergersi nella piacevolissima lettura di questo romanzo e, successivamente, incontrarne l'autore nell'intervista che segue.
La trasformazione della storia in chiave fantastica può diventare uno strumento per approfondirne la conoscenza e, con l'occasione, divertirsi, sia nello scriverla, che nel leggerla. Un autore con le idee chiare, e non solo su questo. Ma andiamo nel dettaglio...
Ciao Giampietro, e benvenuto su queste pagine. È da poco uscita la riedizione de “La Corona perduta”. Si tratta anche in questo caso, come per tuoi precedenti romanzi, di una storia ucronica, ovvero ambientata in uno scenario di storia alternativa. Vuoi dirci qualcosa sulle ragioni che ti spingono a perseguire questo filone?
L'editore genovese Marco Cordero si è innamorato de La Corona Perduta dopo che questa uscì originariamente per i tipi di Short Stories nel 2008, cosa di cui ancora ringrazio gli amici Giorgio Sangiorgi e Luca Oleastri, che ne curò delle splendide illustrazioni. Quanto all'ucronia e del perché questo genere, bè, è questione ormai di un decennio circa, da quando cioè pubblico romanzi. Diciamo che è il mio modo di costruire mondi, giocare con la storia e con l'avventura. E divertirmi, shakerando, a vedere qual è il cocktail che ne viene fuori. In questo caso, la mancanza di Napoleone Bonaparte ci porta a un mondo di monarchi e di nobiluomini che si affianca a pulsioni avveniristiche. Ma mancando una dimensione democratica, ecco che la storia è storia di individui illustri, come dice l'ottimo Nico Gallo nell'interessantissima prefazione al mio romanzo. Un piccolo saggio che secondo me vale da solo l'acquisto del libro.
È possibile che una narrazione ucronica, soprattutto se organica e piena di precisi riferimenti come nel tuo caso, rischi di pregiudicare o alterare la conoscenza della storia (quella “del nostro universo”)?
E perché mai? Il cosiddetto revisionismo storico funziona, o dovrebbe funzionare solo nel caso si ignorino, e pesantemente, le basi reali della storia nella nostra linea temporale. Io scrivo ucronie raccomandando sempre a chi legge di documentarsi. Ragionare controfattualmente è per me uno stimolo alla conoscenza della storia, non alla sua negazione e tantomeno a operazioni ideologiche di stampo nostalgico.
Il che significa che bisogna conoscere la storia per scrivere un romanzo ucronico... Che consiglio daresti a chi intenda affrontare un simile genere?
Bisogna conoscerla bene, o quantomeno documentarsi per bene. Quindi il primo consiglio è leggere. Non limitarsi a quanto c'è su rete, che comunque è molto, ma andare per biblioteche, tirare fuori aneddoti, insomma, fare ricerca. Una solida base è fondamentale, esattamente come accade per chi scrive romanzi storici. Poi creare una linea temporale, uno schema, da cui provare, per esempio, a togliere di mezzo Napoleone Bonaparte e a far caso a quanti eventi di capitale importanza, primo tra tutti la Rivoluzione Francese, ne vengano drasticamente influenzati. Poi selezionare, per evitare di perdersi, e cercare la storia da cucire dentro questo schema. Ci si stupirà di quante ne possano uscire. La Corona Perduta è solo una delle contro-storie possibili.
Ne “La corona perduta” la deviazione della storia dal suo flusso canonico scaturisce appunto dall’assassinio di Napoleone per mano di un italiano. Pensi che le moderne democrazie occidentali non sarebbero mai nate senza il suo contributo? Voglio dire, alla lunga gli ideali laici, egualitari e anti-monarchici che animavano la rivoluzione francese furono traditi anche dal Bonaparte, che si dichiarò Re d’Italia e Imperatore dei Francesi, e il Congresso di Vienna mirò in ogni caso a rimuovere sistematicamente gli effetti del suo passaggio e della sua esistenza. A cambiare così drasticamente la nostra storia, insomma, è stato davvero Napoleone?
Direi di sì. Senza l'affermazione di un assolutismo laico quale il suo, gran parte dello Stato contemporaneo non sarebbe stato possibile. Di sicuro non la Francia che conosciamo. De Gaulle senza Bonaparte non è immaginabile. Così come la “grandeur” francese. O le basi del nostro stesso diritto. L'impero di Napoleone è poi quanto di meno monarchico e legittimista si può immaginare; è più vicino a una dittatura con commistioni ereditarie che non a una forma imperiale classica. E l'esperienza fu così devastante per le monarchie, che non a caso il Congresso di Vienna tentò di rimuoverla. Ma ormai era troppo tardi. Fosse stato stroncato sul nascere, invece, questo tentativo, sono convinto che la Restaurazione sarebbe stata più radicale e conservatrice, un po' come la descrivo io ne La Corona Perduta.
Veniamo più dalle nostre parti: nello scenario che hai creato, Genova è una metropoli moderna e multiculturale, e svolge un ruolo centrale dal punto di vista della politica europea, fino a farsi promotrice di un “Risorgimento italiano alternativo”. Roma, ancora capitale dello Stato Pontificio, è una città tutto sommato ancora poco integrata nella modernità. Da romano di nascita e genovese di adozione, sono scelte esclusivamente dettate da esigenze narrative o c’è dell’altro?
Ho cercato di sviluppare una Genova che da periferia d'Europa, ma ricca repubblica aristocratica, si evolva in una sorta di Stato plutocratico che si avvantaggi dei nefasti del decaduto vicino francese. Con l'aiuto di qualche politico di rilievo e le amicizie giuste fra le grandi Potenze, una Genova così si sarebbe potuta levare qualche soddisfazione diplomatica e geopolitica. A patto di essere meno riservata sulle proprie aspirazioni, ovviamente. Roma senza l'esperienza repubblicana, carbonara e garibaldina, cosa poteva essere se non periferia d'Europa e del mondo? Non a caso il mio papa alternativo, Giulio VI, prova a scagliare un masso nella palude. E che masso...
Hai affidato un ruolo primario a un aristocratico genovese, un personaggio intrigante, divertente e ben riuscito. Perché hai scelto un nobile, un rappresentante, suo malgrado, dell’ancien regime e non un popolano, un uomo oppresso, per dirigere le fila della ribellione all’oppressione? Per inciso, anche uno dei suoi fidi aiutanti è in realtà un nobile sotto copertura...
La risposta la dà Nico Gallo nell'introduzione: come accennavo prima, senza la dimensione borghese e democratica, che si devono per converso alla figura di Napoleone, il primo a incarnare il despota del XX secolo, ecco che tutto deve passare necessariamente per l'individuo. Se un moto di popolo viene represso da una guerra di monarchi, quale è stata quella delle grandi Potenze contro Napoleone – simile in parte a quella della coalizione che si mobilitò un secolo dopo contro la Russia bolscevica – ecco che a voler cambiare le cose rimangono i singoli illuminati. Gian Filippo Spinola a suo modo è un progressista, ma dentro di sé non mette in discussione il fatto di essere anzitutto un aristocratico. Una doppia faccia che, secondo me, senza la Rivoluzione Francese, avrebbe mantenuto tutta la “upper class” colta europea. La spinta progressista ci sarebbe stata, certo, ma non sarebbe stata verso la rottura completa del sistema di valori. Si sarebbe dovuto aspettare ancora parecchio, forse con meno traumi per il nostro mondo, e con un'attenzione maggiore verso le riforme graduali. O forse no. Il bello dell'ucronia è proprio la pluralità di mondi che può generare il verificarsi o no di un singolo fatto-chiave.
Le rivoluzioni le fanno i popoli o gli individui?
Io punto sugli individui che trascinano i popoli. E soprattutto sulle idee. Se l'idea funziona, ci vuole anche qualcuno che la sappia veicolare, e a quel punto una massa che la segua e la faccia propria. E forse anche la congiuntura giusta, la crisi sufficientemente pesante, una maggioranza di gente giovane e disposta a cambiare le cose in maniera radicale, un potere centrale fragile, governanti poco attenti. Non è che il popolo a un certo punto si svegli all'improvviso. Ci vuole un'opera assidua, pluriennale e sotterranea di più persone, un solido impianto ideologico di base e anche tanta fortuna...
Sembra evidente che tu ti sia divertito a giocare con i ruoli immaginari che hai attribuito a personaggi a noi ben noti: Elton John primo ministro inglese, il re Guglielmo d’Inghilterra che piange sua madre Diana, il generale Franco al servizio del Re di Borbone per guidare il massacro in Europa Orientale, e non hai dimenticato nemmeno Hitler, Mussolini e Salazar, che pure in uno scenario alternativo svolgono ruoli credibili, se non di primo piano come quelli che purtroppo hanno storicamente incarnato...
È l'altro aspetto creativo dell'ucronia, divertirsi coi personaggi realmente esistiti, immaginare vite parallele in quello che qualcuno chiama Multiverso. E' anche una debolezza comune a tutti gli scrittori ucronici, il complesso del Demiurgo. Insomma, in fondo creiamo mondi alternativi, perché non andare oltre e impastare i protagonisti della storia “vera” della materia che noi stessi abbiamo confezionato? E poi a me il signor Reggie Dwight sta simpatico...
Il conflitto che descrivi nel romanzo mi è parso un ibrido storico fra le due guerre mondiali, scatenato in sostanza da una perdita dell’equilibrio fra lo strapotere borbonico e le potenze più “democratiche”, in particolare la Gran Bretagna, gli Stati Uniti d’America e la Confederazione Americana. In sostanza il mondo che hai creato è arrivato alla nostra epoca senza aver attraversato la prima e la seconda guerra mondiale. La tesi di fondo è forse che la persistenza di regimi monarchici avrebbe garantito più a lungo un relativa stabilità evitando i conflitti?
Più che una tesi è un'ipotesi di lavoro. Tempo addietro il buon
Stefano Baccolini mi intervistò sul tema ucronia e didattica storica e già allora si parlò di come le due dimensioni potessero interferire al fine di una migliore comprensione della storia che si studia a scuola e all'Università. Ero e sono convinto che il metodo sia assolutamente proponibile, e che anzi si scoprirebbero tante pieghe interessanti di eventi fondamentali e no, che sono stati strumentalizzati dalla politica e che la politica non gradisce si studino in modo critico, perché ciò le toglierebbe legittimità. In un Paese rassegnato al tronismo televisivo e sempre meno familiare con la lettura critica un mezzo simile potrebbe essere cruciale per cambiare le cose. Non è un caso, penso, se l'ucronia sia vista con fastidio da certuni e certi altri cerchino di mettervi sopra il cappello per puro spirito revanscista: due posizioni che sono lontane mille miglia dalla mia, come spero si sia capito.
Quali sono i tuoi riferimenti, italiani e stranieri, nella narrativa storica alternativa?
Molti parlano di P.K.Dick: bè direi di sentirmi senz'altro più vicino a scrittori come Harry Turtledove, ma anche a Kim Stanley Robinson. Nella mia narrativa sono peraltro ravvisabili altre fonti: l'amico scrittore Claudio Asciuti ha chiamato in gioco Sturgeon, io mi sento onorato e un po' inadeguato. Continuando con gli autori di sf, visto che credo di appartenere anche a quel genere, inserirei anche un tributo a Robert Silverberg e a Harry Harrison. Direi che di ucronici italiani non ne vedo come modello personale. Mi è piaciuta molto però la trilogia di Enrico Brizzi che è iniziata con L'inattesa piega degli eventi. E, ovviamente, Il Canto oscuro dell'amico Alessio Brugnoli.
Se applichiamo una definizione rigorosa, condivisibile o meno, la fantascienza sfrutta un’invenzione più o meno originale nel campo scientifico; salvo i casi in cui vi sia una causa spiegabile che crei universi alternativi, in una pura ucronia, come la tua, questo non succede. Semplicemente si immagina che un dato evento o flusso storico sia accaduto in modo diverso o non sia accaduto affatto. Questo tipo di ucronia, la fanta-storia, è davvero fantascienza?
Non mi piace ragionare per schemi. Un romanzo ucronico può anche essere fantascientifico. Per esempio, ne La Corona Perduta si ipotizzano armi progettate su studi dello scienziato Nikola Tesla. In questo senso la storia alternativa può assolutamente ibridarsi con altri generi e reinterpretarli. Lo ha fatto anche Mario Farneti col fantasy, e certe ambientazioni distopiche di China Mièville sono una meraviglia da cui ogni scrittore ucronico dovrebbe trarre lezioni preziose. Se solo si riuscisse a uscire dal pantano del fantastico italiano, dove prima di aprire bocca devi dichiarare a quale parrocchia appartieni, si potrebbe, ne sono convinto, fare e scrivere di molto. Si guardi Tullio Avoledo: un grande scrittore fantastico che è costretto a travestirsi da mainstream perché altrimenti non venderebbe. Il segreto di Tullio è stato questo, oltre a tenersi fuori dalle polemiche; così come tenersi fuori dalla mischia ha giovato a Dario Tonani, che dalla sua ha però anche un grande romanzo come Mondo 9. Insomma, forse il futuro è in queste poche indicazioni: buone idee, poche chiacchiere, molti fatti. E, aggiungo io, niente schemi da scuola di partito o da salottino letterario in dodicesima.
Sono d’accordo. Alla luce della tua notevole esperienza editoriale in questo genere di narrazione, trovi che l’editoria italiana sia ricettiva ad essa? E cosa pensi in generale del panorama editoriale di genere nel nostro paese?
E allora dillo che vuoi provocare... Scherzi a parte, chi mi conosce sa che non mi tiro indietro e che in passato, anche insieme con altri che purtroppo non ci sono più, ho contribuito, con vivacità, a esprimere la mia. Detto con franchezza, l'ucronia come scuola di revanscismo destrorso secondo me non ha futuro. Lo ha se si ibrida con altri generi, come dicevo prima. Generi che aprano le famose porte dell'immaginazione: di nuovo China Mièville insegna. Però occorre tanta immaginazione, ci vogliono idee e tanta applicazione. Con una buona idea nasce spesso anche un buon romanzo e sfido a trovare un editore che fiuti l'affare e si tiri indietro. Poi però c'è la questione dei costi, e tanti altri problemi che sarebbe noioso elencare, ma che poi sono le ragioni per cui un editore lascia anziché lanciarsi. C'è, inoltre, la questione pubblicazione-autopubblicazione: molti ottimi autori escono oggi dal self-publishing, ma per adesso sembra più un ghetto che un'opportunità. Quindi l'universo ebook, che in molti stanno esplorando, non sempre con soddisfazione, ma siamo ancora agli inizi. Quel che conta però secondo me è un'altra cosa: se in Italia ci fosse un gruppo di scrittori di genere agguerrito e propositivo, sono sicuro che si affermerebbe. Invece prevale la stagnazione e tutta la carica sembra risolversi nella sindrome dei polli di Renzo: la guerra tra poveri. In pochi si sottraggono a questo triste schema, rimuginano e razzolano nel proprio ristretto cortile e tendono a una litigiosità patologica. Nessuno o quasi è indenne, ci sono passato anch'io. Fino a rendermi conto di quanto le polemiche servissero a poco. Adesso è giunto il momento di fare un salto di qualità. Creare una cesura, cercare di fare della narrativa credibile, che possa affacciarsi con convinzione a un mercato che cambia. Vedremo se sarà la strada giusta.
Ce lo auguriamo. A cosa stai lavorando adesso?
A dire il vero a un progetto di sf molto particolare, una space opera rivisitata. Procede, si ferma, riprende. Mi diverte molto. E poi, con l'amico Alessio Brugnoli stiamo elaborando un'interessante linea temporale che può a mio avviso diventare una favolosa ucronia. Staremo a vedere.
Grazie del tuo tempo.
Grazie a te.